Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 24586 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 24586 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato ad Arezzo il 31/03/1963, avverso la sentenza del 28/06/2024 della Corte di appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del 9 febbraio 2021 del Tribunale di Arezzo che aveva affermato la penale responsabilità di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, soci illimitatamente responsabili della RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 4 luglio 2016, per le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta semplice documentale, così riqualificato il fatto originariamente contestato al capo 2) come bancarotta fraudolenta documentale, e, unificate le due condotte a fini sanzionatori in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, l. fall., li aveva condannati alle pene ritenute di giustizia, nonché al
risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della curatela fallimentare, costituitasi parte civile.
In particolare, la Corte di appello ha prosciolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’imputazione di bancarotta semplice documentale per non aver commesso il fatto, ritenendo sussistente l’esclusiva responsabilità di NOME COGNOME e ha confermato nel resto la sentenza impugnata.
All’esito del giudizio di appello NOME COGNOME risulta, quindi, condannato esclusivamente per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Più precisamente, secondo l’ipotesi accusatoria, i tre imputati, soci illimitatamente responsabili della società fallita, negli anni 2011 e 2012 avrebbero prelevato dalle casse sociali la complessiva somma di euro 900.000,00 che sarebbe stata contabilizzata come «prelevamenti soci», ossia come crediti vantati dalla società nei confronti dei soci e poi, nel bilancio relativo all’esercizio dell’anno 2013, stornata ed inserita quale posta di patrimonio passivo netto, senza che la somme fossero state mai restituite alla società.
In particolare, nella sentenza di secondo grado si è evidenziato che i prelevamenti risultavano provati e che essi avevano sconfinato la quota destinata a riserva di utili; l’appostazione «riserva di utili» era rimasta immutata all’interno del patrimonio netto della società ed i prelevamenti erano stati iscritti come crediti verso soci sino al bilancio relativo al 2013, quando erano stati riqualificati come poste del patrimonio netto passivo della società; per effetto di tale riqualificazione, il patrimonio della società ha assunto un valore negativo di euro 91.373,00; in sostanza, da tale riclassificazione emerge la rinuncia della società ad ottenere la restituzione delle somme prelevate dai soci negli anni precedenti.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Egli sostiene che la Corte di appello ha fondato la sua decisione esclusivamente sulle dichiarazioni rese dal Curatore fallimentare sulla base delle risultanze delle scritture contabili, ritenendo che le stesse ben rappresentassero le operazioni gestionali che quotidianamente venivano compiute, mentre in realtà, come confermato dal commercialista della società, le somme prelevate non rappresentavano un credito della fallita verso i soci, ma costituivano la retribuzione loro spettante per l’attività da essi prestata nei molti anni precedenti.
Per errore le somme erano state contabilizzate come crediti verso soci e non quali retribuzioni e solo nel 2013 si era cercato di porre rimedio a tale errore attraverso una diversa appostazione contabile.
Il COGNOME, sebbene socio illimitatamente responsabile, era un mero idraulico e non aveva le competenze tecniche necessarie per avvedersi di tali irregolarità contabili e gestionali e nel corso degli anni aveva sempre ritenuto di aver semplicemente riscosso la sua retribuzione, cosicché non poteva ritenersi sussistente il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Peraltro, se il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale derivava dalla diversa appostazione contabile effettuata nell’anno 2013, di questa il COGNOME non poteva essere ritenuto responsabile, come del resto riconosciuto dalla stessa Corte di appello che aveva prosciolto il COGNOME ed il COGNOME dalla condotta di bancarotta semplice documentale riconoscendo che della tenuta della contabilità si era occupata in via esclusiva NOME COGNOME e non i coimputati.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità della motivazione sostenendo che egli doveva essere prosciolto per non aver commesso il fatto.
Il ricorrente segnala che la Corte di appello ha affermato che i prelevamenti dei soci risultano provati e che essi negli anni 2011 e 2012 non hanno determinato un depauperamento del patrimonio della società, in quanto il patrimonio netto alla chiusura di detti esercizi non risultava intaccato; solo nel 2013 i crediti verso i soci erano stati diversamente contabilizzati attraverso una riclassificazione che aveva inciso sul patrimonio sociale.
Egli torna, quindi, a ribadire che i prelevamenti erano avvenuti anche negli anni anteriori al 2011 e sin dal 1998 e che egli aveva sempre ritenuto di avere percepito tali somme a titolo di retribuzione per l’attività da lui prestata in favore della società. Solo nel 2011 le somme oggetto di prelevamento anche negli anni precedenti erano state contabilizzate quali crediti verso i soci e poi nel 2013 era stata operata la riclassificazione ritenuta avente natura distrattiva dalla Corte di merito, ma questa era ascrivibile esclusivamente ad NOME COGNOME ed al commercialista della società, i soli che disponevano delle necessarie competenze tecniche.
2.3 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in ordine all’effettivo ruolo di NOME COGNOME all’interno della società.
Egli torna a ribadire che, sebbene nel 1998 avesse assunto la posizione di socio illimitatamente responsabile, egli aveva sempre, nella sostanza, svolto l’attività di manovale ed i suoi compiti effettivi erano rimasti quelli di un mero dipendente, incaricato di organizzare le maestranze di lavoro tra i vari cantieri,
ma privo di reali poteri gestionali; il suo stipendio veniva fissato dai reali amministratori della società ed egli si limitava a ricevere il relativo assegno e ad incassarlo.
Tali circostanze erano state implicitamente riconosciute dalla stessa Corte di appello che aveva prosciolto il COGNOME ed il COGNOME dal delitto di bancarotta semplice documentale, ritenendo provato che la tenuta delle scritture contabili fosse stata affidata in via esclusiva alla socia NOME COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente non contesta la sua qualità di socio illimitatamente responsabile e, laddove egli sostiene che nella sostanza i suoi compiti erano rimasti quelli di un mero manovale impegnato in attività meramente esecutive e manuali, le sue censure attengono esclusivamente al merito, in quanto dirette a sovrapporre all’interpretazione delle risultanze probatorie operata dal giudice una diversa valutazione dello stesso materiale probatorio per arrivare ad una decisione diversa, e come tali si pongono all’esterno dei limiti del sindacato di legittimità. La decisione del giudice di merito non può essere invalidata da ricostruzioni alternative che si risolvano in una ‹‹mirata rilettura›› degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507).
Peraltro, non può sostenersi giuridicamente che egli si sia limitato a percepire il proprio stipendio come un qualsiasi lavoratore dipendente della società atteso che il rapporto di immedesimazione organica che lega il socio illimitatamente responsabile alla società di persone non è assimilabile ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato.
Questa Corte di cassazione ha già affermato che configura il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, segnatamente di persone
(oltreché di capitali, alla luce di Sez. U. Civ. n. 1545 del 2017, Rv. 642004-03), non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, COGNOME Rv. 279103 – 01).
Nel caso di specie, sulla base della motivazione delle due sentenze di merito, non emerge che l’odierno ricorrente, oltre a svolgere le funzioni connesse alla sua qualità, abbia anche solto l’attività di operaio idraulico per la società fallita, cosicché non può sostenersi che egli abbia percepito dalla società le somme di denaro quale sua retribuzione.
Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che possono essere trattati unitariamente in quanto strettamente connessi, sono complessivamente infondati.
La Corte di appello ha precisato che i prelevamenti di somme di denaro dalla cassa della società ad opera anche del Rossi sono documentalmente provati e del resto lo stesso ricorrente li ammette, sostenendo tuttavia di avere ritenuto che tali prelievi non integrassero condotte distrattive, ma rappresentassero la periodica corresponsione della sua retribuzione.
Quanto alla natura distrattiva di tali prelievi, la Corte di appello ha avuto altresì cura di evidenziare che l’ importo dei prelevamenti operati dai tre soci è stato ben superiore agli utili loro distribuibili, cosicché essi neppure possono trovare giustificazione nella riscossione degli utili da parte dei soci.
La Corte di appello ha quindi correttamente motivato in ordine alla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato.
Quanto all’elemento soggettivo, del tutto correttamente la Corte di appello ha ritenuto sussistente il dolo del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, atteso che per la sussistenza di tale reato è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza di appropriarsi di somme di denaro della società in assenza di giustificazione.
Laddove il ricorrente sostiene di avere creduto di percepire la retribuzione a lui spettante quale manovale della società, deve ribadirsi quanto già sopra motivato in relazione al terzo motivo di ricorso.
Né sussiste contraddittorietà nella motivazione della sentenza qui impugnata per avere la Corte di appello desunto dalla diversa appostazione contabile la sussistenza del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico anche del
COGNOME e al contempo prosciolto l’odierno ricorrente dal l’imputazione di bancarotta semplice documentale per non aver commesso il fatto, ritenendo che della tenuta della contabilità si occupasse in via esclusiva la coimputata COGNOME.
La condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale è stata realizzata non attraverso la diversa appostazione contabile, ma mediante i prelevamenti di somme di denaro che il COGNOME ammette di avere incassato e che non trovavano giustificazione in un credito di pari importo del Rossi, a titolo di distribuzione di utili o ad altro titolo.
La iniziale appostazione di tali prelevamenti quali «prelevamenti soci» e la successiva loro riqualificazione come poste del patrimonio netto passivo della società hanno solo rappresentato degli espedienti contabili che dissimulavano le condotte distrattive che erano già state attuate in precedenza dai tre soci.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 13/05/2025.