Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29443 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29443 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Roma il 05/10/1956 avverso la sentenza del 02/12/2024 della Corte d’appello di Torino; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, come da requisitoria scritta già depositata; sentito il difensore dell’imputato, avv. NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per il suo accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Torino, con sentenza del 20/9/2021 ha condannato NOME COGNOME quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e principale ideatore delle operazioni compiute, per aver cagionato, con operazioni dolose, il fallimento di detta società, dichiarato il 29/5/2014 : reato aggravato dall’aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante entità.
La condanna è stata confermata dalla Corte d’appello di Torino, con sentenza del 2/12/2024, con cui la pena principale è stata ridotta a tre anni di reclusione e
quelle accessorie di cui all’art. 216 r.d. 267/1942 a cinque anni.
In particolare, secondo i giudici di merito, tali operazioni dolose sarebbero consistite nell’acquisizione di un ramo d’azienda della RAGIONE_SOCIALE, sopravvalutato (in quanto corredato in bilancio di crediti inesistenti), e nell’aver incorporato due società (la detta RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE) totalmente ‘ svuotate ‘ di qualsivoglia elemento attivo, a favore di altre società: di fatto acquisendo, in sede di fusione per incorporazione, un formale patrimonio netto di € 204.451,30 in realtà inesistente. Al riguardo, è stato ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE avesse ricevuto il conferimento di ramo d’azienda dalla RAGIONE_SOCIALE sulla base di dati contabili mendaci, riportati in tal modo in una perizia di stima redatta dal ragioniere NOME COGNOME il quale, tuttavia, è stato assolto, nelle more, dalla stessa accusa.
La RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata, in definitiva, un mero “contenitore” per le passività delle società anzidette in essa confluite, “svuotate” di ogni utilità e gravate di sole ingenti passività. In tal modo, la medesima RAGIONE_SOCIALE, che non ha, poi, compiuto più nessuna altra operazione, era “inevitabilmente destinata al fallimento sin dalla sua costituzione” (p. 14 sentenza d’appello) , con un passivo fallimentare di oltre 4 milioni di euro, derivante proprio dalla “confluenza delle esposizioni debitorie delle due società fuse per incorporazione” (p. 4 sentenza d’appello) .
L ‘ COGNOME ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza d’appello, articolato in sette motivi.
2.1. Col primo si sostiene che l’assoluzione irrevocabile del ragionier COGNOME, autore della perizia di stima della RAGIONE_SOCIALE, con la formula “il fatto non sussiste”, rendeva illogica l’ affermazione che l’ COGNOME fosse, comunque, a conoscenza della falsità della perizia. Questi avrebbe agito in buona fede, senza alcuna consapevolezza dei dati falsi riportati nella detta consulenza. Si sottolinea, in proposito, che le falsità contabili erano presenti nei bilanci già dal 2009, ovvero da prima che l’ COGNOME entrasse in contatto con la famiglia COGNOME, gerente la RAGIONE_SOCIALE. Ci si duole, poi, del fatto che la Corte d’appello ha ritenuto ‘ eccentrico ‘ il suo suggerimento di un ” lifting finanziario”, finalizzato alla ricerca di risorse bancarie: essendo questo compito professionale dell’imputato, che era amministratore di una società leader nel leasing finanziario.
2.2. Col secondo motivo la difesa lamenta che la sentenza d’appello abbia ignorato che la qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE era stata esclusa dalla sentenza di primo grado in relazione ad altri capi d’imputazione. La condanna sarebbe in contrasto con tale giudicato.
2.3. Col terzo motivo si lamenta il difetto di correlazione tra accusa e sentenza. La condotta imputata al capo E) sarebbe stata unicamente la sopravvalutazione del ramo d’azienda conferito alla RAGIONE_SOCIALE laddove la sentenza d’appello avrebbe erroneamente incluso condotte successive, come la fusione per incorporazione, qualificandole come “completamento dell’attività illecita in itinere “: fatto diverso non contestato originariamente.
2.4. Col quarto motivo si denuncia la carenza di prova circa il concorso d ell’ COGNOME nella redazione della falsa perizia. Non sussisterebbe né quello materiale (non avendo l’ COGNOME partecipato alla sua redazione), né quello morale, non avendo egli avuto conoscenza “anche mediata” delle alterazioni.
2.5. Col quinto motivo si evidenzia che il reato di bancarotta impropria mediante operazioni dolose sia un “reato proprio” che richiede la qualifica di amministratore di fatto, negata a ll’ COGNOME dal detto giudicato assolutorio, sicché egli avrebbe potuto risponderne in concorso solo con un soggetto qualificato, non esistente nella specie. Inoltre, si contesta l’assenza di un nesso di causalità tra la condotta attribuita a ll’ COGNOME e il fallimento della RAGIONE_SOCIALE, essendo il dissesto derivato da fatti preesistenti (del 2009) a lui non riferibili: essendo, di fatto, la RAGIONE_SOCIALE rimasta inattiva, dopo le dette acquisizioni, sino al suo fallimento.
2.6. Col sesto motivo la difesa lamenta che la Corte d’appello non abbia fornito una concreta motivazione rispetto all’accertamento della sentenza di assoluzione d ell’ COGNOME, in particolare riguardo alla preesistenza dei dati di bilancio non corretti, esistenti fin dal 2009. L’assoluzione d ell’ COGNOME -si assume -avrebbe dovuto rendere “intangibile” la posizione d ell’ COGNOME.
2.7. Col settimo motivo, infine, si sostiene che la negata prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante sia basata su argomenti illogici e su un’erronea rappresentazione dei precedenti penali dell’imputato, gravato solo da una condanna per falso risalente agli inizi del secolo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato.
Tutte le doglianze volte a contestare, sotto vari profili, l’assenza di responsabilità dell’COGNOME o pregresse statuizioni, riguardanti lo stesso o l’COGNOME, che sarebbero ostative alla sua condanna , non tengono in considerazione le ragioni su cui la stessa si fonda.
I giudici di merito hanno ritenuto COGNOME colpevole basandosi su diversi elementi che ne attestano il ruolo di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e di
“ideatore e realizzatore” delle operazioni realizzate.
Tanto in base ai seguenti dati:
-la piena conoscenza da parte d ell’ Ortenzi delle condizioni finanziarie disastrate delle società coinvolte, avendo, peraltro, egli ammesso di aver suggerito ai titolari della RAGIONE_SOCIALE la costituzione di una nuova società per “una questione di lifting finanziario” a causa di “precedenti di natura concorsuale”, “ancora pendenti” (p. 6 sentenza d’appello);
-la sede della neonata RAGIONE_SOCIALE coincideva con il suo studio professionale;
-era stato lui a individuare amministratori solo formali per la RAGIONE_SOCIALE
-in una conversazione con COGNOME NOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE (una delle società incorporate), da questi registrata, emergeva che l’COGNOME si fosse attribuito la “paternità” dell’operazione di fusione (p. 12 sentenza d’appello);
-le uniche operazioni realizzate dalla RAGIONE_SOCIALE, ed oggetto di imputazione, erano riferibili all’COGNOME , tanto che l’incarico al notaio per le stesse era stato dato da costui, tramite una società a lui riconducibile, la RAGIONE_SOCIALE, che aveva pagato anche il dovuto per compensi al detto professionista (p. 15 sentenza di primo grado);
-l’COGNOME si era recato da Roma a Torino per la consegna della contabilità della RAGIONE_SOCIALE al curatore.
Trattasi di accertamento fattuale privo di vizi motivazionali.
Va ribadito che in sede di legittimità, ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è possibile esaminare il rapporto tra motivazione e decisione, non certo tra prove e decisione, essendo la valutazione del compendio probatorio riservata al giudice di merito: non potendosi, dunque, chiedere l’ adesione a un’ipotesi alternativa, ancorché plausibile come quella sposata dal giudice del merito.
Sono, pertanto, ammissibili solo censure per omissioni motivazionali, contraddizioni o illogicità manifeste e decisive: laddove, cioè, la ricostruzione alternativa proposta dal ricorrente sia inconfutabile e l’unica plausibile (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944-01; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621-01; Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rv. 285504-01; Sez. 4, n. 10153 del 11/02/2020, Rv. 278609-01), e non rappresenti solo un’ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza (Sez. 6, n. 2972 del 04/12/2020, dep. 2021, Rv. 280589-02).
Anche il travisamento della prova -che deve riguardare il suo contenuto testuale erroneamente riportato (“significante”), non la sua interpretazione (“significato”) -può essere oggetto di valutazione in questa sede se comprometta
in modo decisivo la tenuta logica della motivazione (Sez. 6, n. 10795 del 16/02/2021, Rv. 281085-01; Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 2019, Rv. 274816-07; Sez. 6, n. 45036 del 02/12/2010, Rv. 249035-01).
Nella specie, gli argomenti addotti non soddisfano i detti requisiti.
2.1. Quanto all’assoluzione del ragionier COGNOME, autore della perizia di stima della RAGIONE_SOCIALE, la sentenza assolutoria non ha ritenuto sussistente il concorso di costui al fatto mediante la perizia, evidenziando che i dati da questi riportati non fossero stati artefatti, ma semplicemente tratti dalla contabilità e che comunque la stessa non avesse concorso a cagionare il fallimento della RAGIONE_SOCIALE: dunque, non ha escluso in radice la sussistenza d ell’intero capo E).
Ciò, poi, senza considerare che, come affermato in tema di revisione, non sussiste contrasto fra giudicati agli effetti dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. se i fatti posti a base delle due decisioni, attribuiti a più concorrenti nel medesimo reato, siano stati identicamente ricostruiti dal punto di vista del loro accadimento oggettivo ed il diverso epilogo giudiziale sia il prodotto di difformi valutazioni di quei fatti – specie se dipese dalla diversità del rito prescelto nei separati giudizi e dal correlato, diverso regime di utilizzabilità delle prove dovendosi intendere il concetto di inconciliabilità fra sentenze irrevocabili non in termini di mero contrasto di principio tra le decisioni, bensì con riferimento ad un’oggettiva incompatibilità tra i fatti storici su cui esse si fondano (così Sez. 6, n. 16477 del 15/02/2022, COGNOME, Rv. 283317-01 in un caso in cui è stata rigettata l’istanza di revisione avanzata dall’istigatore del reato di turbata libertà degli incanti, condannato in sede di giudizio abbreviato, a fronte della assoluzione “perché il fatto non sussiste” pronunciata, in esito a giudizio ordinario, in favore dei soggetti istigati).
2.2. Palesemente infondato è il secondo motivo di ricorso, circa l’assunta esclusione del ruolo di amministratore di fatto della fallita, in capo al ricorrente.
In realtà, nella sentenza di primo grado si legge che ‘non emergevano sufficienti elementi utili ad attribuire al predetto imputato la qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE ‘ (p. 15), ma si scrive anche che lo stesso fosse ‘evidentemente amministratore di fatto RAGIONE_SOCIALE‘ (p. 16 sentenza di primo grado): sicché il dato su cui si basa la doglianza è semplicemente fallace.
2.3. Anche il terzo motivo (con cui si lamenta il difetto di correlazione tra accusa e sentenza, dovendo l’imputato rispondere unicamente della sopravvalutazione del ramo d’azienda conferito alla RAGIONE_SOCIALE e non delle condotte successive, come la fusione per incorporazione) è infondato.
In realtà, la pur non felicissima formulazione del capo d’imputazione rendeva, comunque, palese, che l’O rtenzi, ‘ quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE nonché principale ideatore delle condotte delittuose ‘, cagionava ‘il dissesto della RAGIONE_SOCIALE‘, sia ‘sopravvalutando il valore del ramo di azienda conferito’, sia per aver ‘conferito, in sede di fusione, un patrimonio netto asseritamente pari ad € 204.451,30 in realtà inesistente’. Dunque, è evidente che anche l’operazione di fusione sia stata oggetto di contestazione.
2.4. Il quarto motivo (circa la carenza di prova del concorso del ricorrente nella redazione della perizia COGNOME) è inammissibile per manifesta infondatezza e per genericità.
Anzitutto, il ruolo qui contestato non risulta neppure essere stato attribuito al ricorrente dal capo d’imputazione: sicché la doglianza è in radice manifestamente infondata.
Ad ogni modo, come già evidenziato, l’COGNOME è stato ritenuto amministratore di fatto della fallita e reale dominus dell’intera operazione , a prescindere da un suo ruolo attivo nella redazione della perizia di cui si tratta. Tanto si desume chiaramente già dalla sentenza di primo grado, poi integralmente confermata da quella d’appello , in cui si legge: «Non vi sono infatti, dubbi circa il fatto che l’COGNOME sia stato l’ideatore del complesso di operazioni che portavano alla costituzione di RAGIONE_SOCIALE la quale nasceva, evidentemente, non per svolgere una effettiva attività, ma con l’unico scopo di costituire un ‘contenitore giuridico’ per la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ormai palesemente decotte. … Il fatto che l’COGNOME fosse pienamente consapevole di ciò e che, anzi, l’intera operazione da lui ideata nascesse con il precipuo scopo di creare una ‘contenitore giuridico’ utile soltanto a recepire le rimanenze di due società ormai palesemente in stato di insolvenza, è ulteriormente dimostrato dal fatto che gli amministratori di RAGIONE_SOCIALE erano ‘teste di legno’ assolutamente irreperibili». In tal modo l’COGNOME, evidentemente amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, cagionava il dissesto di quest’ultima società. Peraltro, l’COGNOME confessava sostanzialmente tutto nel corso della conversazione registrata dal Bagnaia » (p. 16 sentenza di primo grado).
La censura mossa, in contrasto con i suddetti principi di diritto (sugli oneri deduttivi in questa sede di legittimità), non spiega per quale ragione l’assunta assenza di concorso nella redazione della perizia anzidetta smentirebbe i menzionati ulteriori dati e le conclusioni -circa la piena consapevolezza del ricorrente sulle sorti della RAGIONE_SOCIALE destinata al fallimento avendo acquisito solo passività -raggiunte in sede di merito.
2.5. Il quinto motivo (sulla necessità che il reato proprio contestato
coinvolgesse uno degli amministratori della fallita) è anch’esso, per quanto già evidenziato, manifestamente infondato.
L’COGNOME rivestiva la veste di amministratore di fatto della fallita e tanto è sufficiente a ritenere che lo stesso potesse rispondere del delitto in esame.
2.6. Il sesto motivo (con cui la difesa lamenta che la Corte d’appello non abbia considerato la preesistenza -rispetto all’intervento dell’COGNOME dei dati di bilancio non corretti e si torna a sostenere il valore ostativo del giudicato assoluto rio dell’COGNOME) è infondato.
Si sono sopra riportate le ragioni per le quali non è stato rilevato, dai giudici di merito, alcun contrasto logico tra la condanna dell’COGNOME e l’assoluzione dell’COGNOME.
Quanto, poi, alla circostanza che la decozione delle società inglobate dalla RAGIONE_SOCIALE fosse preesistente e fosse stata ‘mascherata’ contabilmente prima dell’intervento dell’COGNOME , la stessa è del tutto priva di rilievo.
Per quanto detto, secondo la ricostruzione, priva di vizi motivazionali, da parte dei giudici di merito, il ricorrente, preso atto dello stato di ‘reale’ decozione delle società che erano incorporate nella RAGIONE_SOCIALE, si rese protagonista, nonostante ciò, dell’operazione che comportava che la sorte di quest’ultima fosse, ab origine , segnata. Nell’ottica della società cessionaria del ramo di azienda ed incorporante, ovvero la RAGIONE_SOCIALE, è evidente che l’operazione fosse del tutto sconveniente e tale da portare, dolosamente, al suo inevitabile fallimento.
Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte ha già affrontato e qualificato ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. r.d. 267/1942 (per aver «cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società») fattispecie nelle quali, al fine di salvaguardare le attività di una società dall’aggressione dei creditori , le passività venivano lasciate in capo ad una destinata a fallire senza alcun elemento attivo.
In particolare, è stato ritenuto integrare il delitto di bancarotta fraudolenta impropria per operazioni dolose la scissione di una società con creazione di una “newco” sottocapitalizzata, finalizzata a esonerare la scissa da oneri economici non più sostenibili, così determinando per la nuova società, priva di adeguati mezzi economici, un immediato dissesto (Sez. 5, n. 846 del 04/10/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284015-01). Anche in tal caso, evidentemente, le passività preesistevano all’operazione di scissione e s’è ritenuto, nell’ottica della società che le acquisiva, senza le correlate attività, che l’operazione comportasse il voluto suo fallimento (al riguardo, si veda pure Sez. 5, n. 15715 del 28/11/2013, dep. 2014, P.m. in proc. Vigilante, Rv. 262762-01, che ha qualificato in termini di bancarotta fraudolenta per distrazione la scissione di società, successivamente dichiarata
fallita, mediante conferimento di tutti gli elementi attivi alla società beneficiaria, in quanto tale manovra assume i connotati dell’operazione distrattiva per l’assenza di un concreto vantaggio economico e per l’impossibilità di continuare l’attività di impresa; e si veda ancora Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 27983101, su un caso di fallimento per effetto di operazioni dolose di una società “cartiera”, destinata ab origine al fallimento per le ingenti passività tributarie cui era destinata).
Ed allora, nell’ottica della RAGIONE_SOCIALE che, come pacificamente acclarato dai giudici di merito, si è resa protagonista delle operazioni in esame, senza mai concretamente operare quale impresa, nella produzione di beni e servizi -è evidente che l’opera zione volta ad acquisire società oramai gravate solo di passività, ben note al suo amministratore di fatto, propulsore della detta operazione, non può che definirsi dolosamente volta a condurre inevitabilmente al fallimento.
In tale ottica, in definitiva, è stato ritenuto logicamente del tutto irrilevante che il passivo acquisito dalla RAGIONE_SOCIALE preesistesse all’intervento dell’COGNOME, essendo stata, per contro, valorizzata la sua volontà di gravare di detto passivo la menzionata RAGIONE_SOCIALE
2.7. Inammissibile, da ultimo, è il motivo incentrato sulla richiesta di una valutazione di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sull’aggravante del danno patrimoniale di rilevante entità.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica o arbitraria, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul bilanciamento tra attenuanti ed aggravanti (Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 24593101; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Rv. 270450-01; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, Rv. 236992-01), essendo sufficiente che il giudice del merito indichi come semplicemente ‘adeguata’ al caso la decisione presa.
La decisione censurata ha evidenziato, al riguardo, ‘la gravità dei fatti’, ‘la spregiudicata personalità del prevenuto, che ha agito nell’ambito dello svolgimento dell’attività professionale, piegando quest’ultima alla adesione piena ai propositi criminosi di interesse della clientela’. Dunque, la stessa si basa non solo sui precedenti penali, che, a dire di parte ricorrente, sarebbero stati diversi da quelli ritenuti dalla Corte d’appello: laddove, però, parte ricorrente non spiega per quale ragione tale dedotto ‘travisamento’ sarebbe, nella specie, decisivo a sovvertire il giudizio di bilanciamento operato, nonostante la decisione si regga anche sulle menzionate ulteriori rationes decidendi .
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di rigetto segue la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME