Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 32061 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 32061 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 09/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
uditi i difensori:
AVV_NOTAIO si riporta alla memoria difensiva, depositata a mezzo PEC il 27 marzo 2024, a firma dell’AVV_NOTAIO; chiede l’inammissibilità o il rigetto del ricorso; deposita conclusioni scritte e nota spese.
AVV_NOTAIO DAL BEN espone i motivi di gravame e insiste per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza della Corte d’appello di Milano, indicata in epigrafe, che ha confermato la condanna nei confronti di NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta preferenziale, di cui ai capi da A) a G) dell’imputazione, commessi in qualità di amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, dalla data della sua costituzione (1°dicembre 2017) fino al fallimento, dichiarato il 24 maggio 2019. Nell’incipit dell’impugnata sentenza, i giudici dell’appello hanno ricordato che la RAGIONE_SOCIALE era stata costituita in funzione di un’operazione specifica, ossia il rilevamento di asset aziendali di una grande impresa in amministrazione straordinaria (d’ora in poi: RAGIONE_SOCIALE), il RAGIONE_SOCIALE, con cui stipulava un contratto preliminare in data 1°giugno 2018. Tuttavia, già a fine luglio 2018, la RAGIONE_SOCIALE non era in grado di sottoscrivere il contratto definitivo, avendo perso il supporto dei finanziatori esteri sui quali credeva di poter fare affidamento. I commissari dell’A. S. individuavano un nuovo finanziatore, la RAGIONE_SOCIALE, cui la RAGIONE_SOCIALE cedeva tutte le quote della RAGIONE_SOCIALE, società controllata della fallita. Il 9 agosto 2018, le parti stipulavano un accordo in cui era previsto che i corrispettivi della merce venduta nei punti vendita della fallita andassero accreditati su un conto corrente della RAGIONE_SOCIALE, gravato da pegno in favore della RAGIONE_SOCIALE, con previsione di girare, a termine di ogni giornata, il totale dell’incasso su un conto corrente intestato alla RAGIONE_SOCIALE. Per effetto di tale accordo, la COGNOME si indebitava, in due mesi, per circa 8 milioni di euro, senza incassare quasi nulla dalla RAGIONE_SOCIALE., perdendo la fiducia del sistema bancario. Seguiva, di lì a poco, la dichiarazione di fallimento.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a otto motivi, di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod proc. pen.,
2.1 II primo motivo ha a oggetto la contestazione del reato di cui al capo a). Si deduce violazione di legge, in relazione agli artt. 216 e 223 I. fall., e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale considerato distrattivo il pagamento di euro 420.000, mediante due bonifici a favore della società -amministrata dallo stesso imputato- RAGIONE_SOCIALE, pagamento giustificato come caparra del 30% del prezzo complessivo dell’acquisto di un ramo d’azienda del RAGIONE_SOCIALE, impresa all’epoca in amministrazione straordinaria.
La Corte territoriale non avrebbe considerato né la stretta pertinenza dell’operazione di acquisto di ramo d’azienda con le attività sociali della fallita, né l’immediata disponibilità con cui detto ramo d’azione è stato acquisito, peraltro a
fronte del solo pagamento di un terzo del prezzo complessivo pattuito per la cessione. Ciò dimostrerebbe l’utilità dell’operazione, per la fallita, dell’operazione in parola, non animata da intenti distrattivi.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale considerati distrattivi i pagamenti della fallita a favore della società -amministrata dallo stesso imputato- RAGIONE_SOCIALE, a titolo di rimborso spese (capo B della rubrica). La motivazione sarebbe carente, dato che il solo riferimento, operato dalla Corte, all’assenza di documenti giustificativi delle spese rimborsate non basterebbe a provare il carattere distrattivo dei pagamenti; a tal scopo, la Corte avrebbe dovuto dimostrare il carattere fittizio degli esborsi. È stato omesso il confronto con le deduzioni difensive, specificamente indicate anche nel presente ricorso, tese a dimostrare la veridicità e l’attinenza dei pagamenti con finalità strettamente sociali, come desumibile dal contratto di servizi stipulato tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE il 20 maggio 2018.
3 Il terzo motivo ha a oggetto la valutazione operata dalla Corte territoriale dell’operazione di cui al capo c) della rubrica, in cui è descritta un’operazione di compensazione di crediti, ritenuta erroneamente distrattiva dai giudici territoriali. A tal proposito, la difesa rimarca la liceità di detta operazione, evidenziando che, alla data consumativa dell’ascritto reato, i debiti della fallita verso l’RAGIONE_SOCIALE erano divenuti esigibili almeno dal febbraio 2019; pertanto, legittimamente la NOME decise di estinguere parzialmente detti debiti per il tramite di crediti prededucibili acquisiti dalla RAGIONE_SOCIALE La Corte d’appello, per valutare se l’acquisto dei crediti verso l’A. S. fosse o meno di utilità per la fallita, e se gli stessi potessero essere utilizzati in compensazione, avrebbe fatto erroneo riferimento alla data del contratto di cessione, oltre a valorizzare incongruamente la mancata notifica al debitore ceduto dell’avvenuta cessione del credito.
4 Col quarto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 438 e 442 del codice di rito. La Corte d’appello ha erroneamente ritenuto distrattivo il versamento della somma, di cui al capo d) della rubrica, nonostante il ricorrente abbia provato che la somma di euro 27.000 – giustificata come rimborso spese effettivamente sostenute da NOME COGNOME, succeduto all’imputato quale amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE – fosse stato restituita dalla società beneficiaria (la RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal predetto COGNOME) dell’accredito.
Inoltre, la mancata indicazione di una data precisa di restituzione è stata erroneamente valorizzata dalla Corte d’appello come prova della responsabilità dell’imputato, in violazione dei criteri in tema di valutazione delle prove e del canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio. Dagli atti acquisiti al fascicolo prima
dell’accesso del COGNOME al giudizio abbreviato, non risulta documentata la circostanza che la restituzione sia avvenuta dopo la dichiarazione del fallimento, come invece ritenuto dai giudici di merito in violazione dell’art. 442 del codice di rito.
2.5 Col quinto motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, anche per travisamento della prova, in relazione all’affermazione di responsabilità per i delitti di bancarotta preferenziale, di cui al capo e) ed f) dell’imputazione, per avere la Corte erroneamente sostenuto che il consulente della difesa avesse condotto un esame soltanto parziale dei creditori. Altro dato ignorato dalla Corte d’appello è quello relativo alla soddisfazione di molti creditori che vantavano crediti anche inferiori rispetto a quelli vantati dalla due società asseritannente preferite, vale a dire la RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE
Neppure risulta verificata la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’ascritto reato, posto che non è stato dimostrato il dolo specifico di preferire le predette società rispetto alla massa creditoria, con l’accettazione dell’eventualità del danno per gli altri creditori.
2.6 Col sesto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta preferenziale ascritto al capo g) dell’imputazione, per avere la Corte mancato di valutare l’effettività del lavoro svolto a tempo pieno dal ricorrente per la RAGIONE_SOCIALE, nonché la parzialità dei compensi incassati rispetto all’attività dal lui profusa e rispetto all’integrale soddisfazione dei dipendenti.
2.7 Con il settimo motivo, si deduce carenza assoluta di motivazione in relazione alla provvisionale liquidata alla parte civile in assenza di specificazione del criterio di determinazione della stessa.
2.8 L’ottavo motivo ha a oggetto la mancata, adeguata valutazione dei motivi d’appello riguardanti il trattamento sanzionatorio e, in particolare, le ragioni poste dalla Corte d’appello alla base della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Inascoltate, infatti, sono rimaste le deduzioni difensive relative alle cause giustificative della condotta del ricorrente, in particolare riferite all’influenza negativa del rapporto negoziale imposto da RAGIONE_SOCIALE e da una vicenda fallimentare fortemente condizionata, in negativo, dall’RAGIONE_SOCIALE.S. e dai gestori della RAGIONE_SOCIALE
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME, ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. E’ pervenuta memoria scritta dell’AVV_NOTAIO, difensore di fiducia della parte civile RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore, AVV_NOTAIO, con cui si sottolinea, in generale, il carattere reiterativo dei
motivi di ricorso rispetto alle censure espresse nell’atto d’appello e l’infondatezza delle censure relative ai pretesi vizi motivazionali; si rimarca, inoltre, che molte delle eccezioni sollevate sono versate in merito. In maniera più dettagliata, viene esposta la manifesta infondatezza di tutti i motivi di ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, non confrontandosi il ricorrente, in maniera critica ed effettiva, con il percorso motivazionale dell’impugnata sentenza (ex plur., Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01), teso, nella sua interezza, a valorizzare un’eloquente serie di indici di fraudolenza della condotta dell’imputato (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01), già individuati dal giudice di primo grado.
A fronte dell’analitica ricostruzione dei giudici d’appello, il ricorrente tenta di disarticolare l’iter motivazionale, insistendo su uno soltanto dei molteplici aspetti evidenziati dalla Corte, vale a dire la violazione, da parte della società RAGIONE_SOCIALE, del divieto di stipulare contratti onerosi con parti correlate fino al 10 agosto 2020; su tale base argomentativa, si afferma che la Corte territoriale avrebbe illogicamente ravvisato «la condotta distrattiva nella stipula del contratto d’acquisizione del ramo d’azienda di cui era proprietaria RAGIONE_SOCIALE in ragione del fatto che tale stipula non sarebbe stata in linea con le obbligazioni che RAGIONE_SOCIALE aveva assunto con i commissari dell’A.S.» (p. 4 del ricorso).
Ora, tale profilo, per quanto dotato senz’altro di rilievo nell’economia generale della motivazione, non è tuttavia decisivo (cfr. Sez. 5, n. 48872 del 14/07/2022, Rv. 283893 – 01; Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830 – 01, a proposito della non decisività della natura dell’atto negoziale con cui il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito si compie); determinante, invece, a giudizio della Corte territoriale, è stata la scelta imprenditoriale stessa -definita dalla Corte d’appello azzardata e poco razionaledi sottoscrivere un contratto preliminare di cessione di ramo d’azienda con RAGIONE_SOCIALE (con cui la RAGIONE_SOCIALE acquisiva un sito web di vendite del RAGIONE_SOCIALE con avviamento e rimanenze). In altre parole, il profilo su cui i giudici di merito hanno concentrato i propri rilievi non è tanto la forma del contratto, né quello attinente alle singole violazioni degli obblighi ivi previsti, bensì la sostanza del contratto stesso, avendo l’imputato inteso sottrarre -per il tramite di quel contratto e con i due bonifici a favore di RAGIONE_SOCIALE– risorse della fallita a vantaggio di un’altra società, amministrata dall’imputato stesso.
Gioverà allora ricordare che «in tema di ricorso per cassazione per vizio di motivazione, il necessario onere di confronto con la motivazione della sentenza impugnata impone al ricorrente, a pena di inammissibilità, di non limitare il proprio esame alla sola parte del provvedimento specificamente riferita alla questione posta, ma di considerare anche le argomentazioni contenute in altre parti comunque rilevanti rispetto al giudizio devoluto sul tema» (Sez. 3, n. 3953 del 26/10/2021, dep. 2022, COGNOME NOME, Rv. 282949 – 01).
Più precisamente, si osserva che il mancato confronto concerne, da un lato, la premessa da cui muove la Corte d’appello, relativa alla difficile situazione in cui la fallita già versava al momento della stipula del contratto definitivo di acquisto dei compendi aziendali del RAGIONE_SOCIALE; d’altro lato, il ricorrente aggira l’aspetto, evidenziato dalla Corte territoriale, del ruolo svolto dal COGNOME stesso nell’ambito società RAGIONE_SOCIALE (a favore della quale la fallita RAGIONE_SOCIALE aveva versato il pagamento di 420.000 euro a titolo -asserito- di caparra del 30% del prezzo complessivo dell’acquisto di un ramo d’azienda del RAGIONE_SOCIALE, impresa all’epoca in amministrazione straordinaria).
Riguardo al primo aspetto evidenziato, la Corte d’appello ha osservato che il già precario contesto in cui la RAGIONE_SOCIALE operava al momento del contratto con la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, derivante dalla perdita del supporto economico dei finanziatori, rendeva significativo, alla luce dei dati sopra ricordati, quella che, isolatamente considerata, appare una evidente assenza di cautela nelle scelte imprenditoriali: cautela a fortiori necessaria, posto che tra gli obblighi contrattuali a carico della NOME figurava il divieto di concludere contratti onerosi fino all’agosto del 2020, salvo consenso scritto dei commissari straordinari.
Ebbene, come ricordato dai giudici di merito, l’operazione ritenuta distrattiva fu invece realizzata in epoca anteriore (maggio del 2019) a quanto previsto dal contratto (agosto 2020) e senza consenso -del resto, mai sollecitato- dell’A. S.
Vi è un poi il dato, valorizzato dalla Corte territoriale e significativamente non contrastato dalla difesa, relativo alla riconducibilità della società RAGIONE_SOCIALE all’imputato, il quale ne era l’amministratore. Vi erano dunque palesi cointeressenze dell’amministratore della fallita NOME rispetto ad altre imprese direttamente coinvolte (RAGIONE_SOCIALE) nell’acquisto del ramo d’azienda del RAGIONE_SOCIALE, la cui proprietà, peraltro, mai veniva trasferita alla fallita. Infine, la Corte territoriale ha ricordato la sproporzione tra gli utili effettivamente conseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE in seguito all’operazione di cui al capo a) e il valore effettivo del ramo d’azienda, sovrastimato dalle parti.
L’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo di cui al capo a) è stato svolto, dunque, in piena coerenza col metodo d’analisi suggerito da questa Corte nella sentenza già citata (Sez. 5, 38396 del
23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01), dove si è ricordato al giudice la necessità di valorizzare, al fine di quell’accertamento, la «ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa.
La molteplicità di tali indizi – ritenuti gravi, precisi e concordanti sulla base, come si è detto, di un’attenta tematizzazione del complessivo sfondo delle vicende economiche e gestionali della fallita – ha portato la Corte territoriale a disattendere la tesi difensiva incentrata, del tutto genericamente, sulla vantaggiosità dell’operazione di acquisto di ramo d’azienda, sulla sua pertinenza rispetto alle attività sociali della fallita e sull’immediata disponibilità con cui detto ramo d’azione è stato acquisito, peraltro a fronte del solo pagamento di un terzo del prezzo complessivo pattuito per la cessione.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, dacché il suo assunto (secondo cui incombeva sui giudici di merito l’onere di dimostrare il carattere fittizio dei pagamenti stessi), già motivatamente disatteso dalla Corte territoriale, viene in tal sede reiterato, senza tener conto del contrasto in cui esso si pone rispetto ai consolidati orientamenti di questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale. A tal proposito, va ricordato che la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei suddetti beni (Sez. 5, n. 8260/16 del 22 settembre 2015, COGNOME, Rv. 267710; Sez. 5, n. 19896 del 7 marzo 2014, COGNOME, Rv. 259848; Sez. 5, n. 11095 del 13 febbraio 2014, COGNOME, Rv. 262740; Sez. 5, n. 22894 del 17 aprile 2013, COGNOME, RV. 255385; Sez. 5, n. 7048/09 del 27 novembre 2008, COGNOME, Rv. 243295; Sez. 5, n. 3400/05 del 15 dicembre 2004, COGNOME, Rv. NUMERO_CARTA).
Ora, i giudici di merito hanno appunto ricollegato la natura distrattiva dei pagamenti, indicati al capo b) della rubrica, all’assenza di qualsivoglia documentazione giustificativa delle spese rimborsate. A tal scopo, non valgono a contrastare efficacemente la motivazione gli argomenti difensivi, non sufficientemente specifici, secondo cui i due responsabili amministrativi della
NOME (dott. COGNOME) e della RGS (dott. COGNOME) mai posero in discussione la veridicità delle spese sostenute dalla prima; lo stesso vale per l’affermazione -non diversamente comprovata- che la RGS si fosse fatta carico dei costi relativi ai dipendenti della NOME e avesse fornito alla fallita un ufficio in Veneto.
Fermo restando il dirimente profilo – già ricordato – dell’identità di ruolo (amministratore di diritto) ricoperto dall’imputato nell’una e nell’altra società, il ricorrente, di fronte alla contestazione già formulata in primo grado, aveva l’onere -se non di dimostrare- quantomeno di dedurre in termini specifici elementi utili a contrastare le altrimenti univoche conclusioni dei giudici del merito; viceversa, egli si è limitato ad affermare, in termini generici, l’esistenza di un contratto di servizi tra la fallita e la RAGIONE_SOCIALE avente a oggetto una serie di prestazioni. Ma tali deduzioni sono del tutto insufficienti a contrastare -mediante prospettazione di un ragionevole dubbio- le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico.
Così argomentando, il ricorrente trascura la costante elaborazione giurisprudenziale seguita dal giudice di legittimità, la quale si ancora alla peculiarità della normativa concorsuale. In tal senso, è stato ricordato (Sez. 5, Sentenza n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 267710, in motivazione) che l’imprenditore è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali ripongono l’aspettativa dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa sul patrimonio di quest’ultima. Donde la diretta responsabilità del gestore di questa ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta. È in funzione della garanzia per il ceto creditorio che si spiega l’onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di sollecitazione al diretto interessato perché fornisca la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, COGNOME e altri, Rv. 249715, in motivazione).
In altri termini, a fronte del sicuro ingresso nel patrimonio dell’imprenditore di componenti attive e dell’assoluta impossibilità di ricostruire la destinazione delle stesse, del tutto ragionevolmente si può desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosità di tali condotte in vista del soddisfacimento delle loro pretese. E allora, a ben guardare, non viene in questione un ribaltamento dell’onere probatorio, ma la sollecitazione a fornire elementi idonei a scardinare, introducendo un
ragionevole dubbio, le conclusioni altrimenti univocamente raggiunte, sul piano logico, dai giudici di merito.
Ed è appena il caso di sottolineare che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Il terzo motivo è infondato. Le conformi sentenze di merito hanno ragionevolmente escluso che l’operazione descritta al capo c) della rubrica (vale a dire l’accollo, da parte della fallita NOME, di debiti, ammontanti a 253.652 euro, della RAGIONE_SOCIALE verso due fornitori esteri e verso le RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, e la controprestazione pattuita, vale a dire la cessione di crediti della RAGIONE_SOCIALE verso l’A.RAGIONE_SOCIALE.) potesse giustificarsi come un’operazione di compensazione dei debiti, effettivamente esigibili e liquidi.
Invero, premesso quanto sopra ricordato (Sez. 5, COGNOME, Rv. 270763 – 01, cit.) a proposito della natura di reato di pericolo concreto del reato di bancarotta fraudolenta distrattiva, si osserva che, a seguito dell’operazione oggetto di contestazione, concretizzatasi nell’ottobre 2018, la società RAGIONE_SOCIALE ha versato somme liquide -a fornitori esteri- per circa 88.000 euro, acquisendo dalla RGS crediti tuttavia inesigibili per la sostanziale incapienza del debitore (A.S.).
Il carattere pregiudizievole dell’operazione per i creditori della società RAGIONE_SOCIALE al netto di quanto si dirà infra a proposito dei profili di fraudolenza legati alle coincidenze soggettive dei protagonisti della vicenda – è confermato dalla mancata notifica della cessione del credito al debitore, ciò che avrebbe reso possibili operazioni satisfattive di qualunque tipo nei confronti del precedente creditore COGNOME e non è contrastato dalla dedotta possibilità, a partire da un momento successivo (febbraio 2019, data in cui sarebbe divenuto esigibile il credito di AS verso NOME), di operare una compensazione. La concreta ricorrenza dei presupposti di tale compensazione non è oggetto di alcuna specifica deduzione, in relazione alla natura dei crediti (asseritamente prededucibili) e della specifica disciplina operante per le imprese in amministrazione straordinaria (d. Igs. n. 270 del 1999)
L’identità soggettiva delle parti, protagoniste della asserita compensazione, rende, peraltro, il senso concreto dell’operazione che ha, da un lato, determinato il depauperamento di NOME (attraverso l’accollo dei debiti di RGS) e, dall’altra, beneficiato la RGS, riconducibile al medesimo imputato. Sul punto, gioverà
ricordare che qualunque operazione societaria (V. Sez. 5, n. 1984 del 2019, non massimata; Sez. 5, n.20370 del 10/04/2015, COGNOME, Rv. 264078 in materia di scissione; Sez. 5 , n. 12748 del 03/03/2020, COGNOME, in materia di “sale and lease back”, Rv. 279198) può assumere valenza distrattiva o dissipativa, e ciò tanto nel caso in cui non si configurino correlativi incrementi patrimoniali o economici in favore della disponente (Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 241830), quanto in quello in cui l’operazione stessa avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento (Sez. 5, n. 46508 del 27 novembre 2008, COGNOME e altri, Rv. 242614; Sez. 5, n. 3302 del 28 gennaio 1998, COGNOME, Rv. 209947; Sez. 5, n. 11207 del 29 ottobre 1993, COGNOME ed altri, Rv. 196456).
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato, perché aspecifico e reiterativo (v. Sez. 4, n. 38202 del 07/07/2016, COGNOME, Rv. 267611 – 01: «i motivi di ricorso per cassazione possono riprodurre totalmente o parzialmente quelli di appello, ma solo entro i limiti in cui ciò serva a documentare il vizio enunciato e dedotto con autonoma, specifica ed esaustiva argomentazione che si riferisca al provvedimento impugnato e si confronti con la sua motivazione»).
Come ricordato dalla Corte d’appello, il ricorrente non ha adempiuto all’onere di provare che l’operazione -asseritamente reintegrativa dell’ascritta sottrazione di euro 27.000- sia stata effettuata prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte (ex multis, v. Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Liparoti, Rv. 271922 – 01), «la bancarotta cosiddetta “riparata” si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori, sicché onere dell’amministratore, che si è reso responsabile di atti di distrazione e sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, provare l’esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati».
Rispetto alla ricostruzione della Corte distrettuale, in cui si è puntualmente ribadito l’onere che grava in capo all’amministratore (in considerazione della posizione di garanzia che grava sullo stesso al cospetto del patrimonio sociale), la difesa, anziché fornire precise indicazioni circa la data dell’avvenuta restituzione, si è limitata a dedurre l’assenza di “evidenze processualmente utilizzabili” (p. 19 del ricorso) comprovanti la data dell’operazione.
Il quinto motivo è inammissibile perché reiterativo e privo di specificità, in quanto insiste nel non confrontarsi con un dato sottolineato dalla sentenza impugnata, in coerenza con la giurisprudenza di legittimità e rimasto privo di specifica contestazione. Secondo la Corte d’appello, i pagamenti dei quali si discute integrano la bancarotta preferenziale, dal momento che sono stati posti in essere in una situazione di conclamata insolvenza (e il dato della titolarità dei crediti in favore della figlia dell’imputato serve solo ad illuminare i profili soggettivi della condotta) in pregiudizio di creditori di grado maggiore.
Tale soluzione, come detto, è coerente con le conclusioni di questa Corte, secondo la quale, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta preferenziale, è necessaria la violazione della “par condicio creditorum”, che consiste nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione dei creditori, sicché deve essere provata l’esistenza di altri crediti insoddisfatti per effetto del pagamento eseguito al creditore in via preferenziale, ma tale prova non può essere desunta sulla base del principio civilistico di “non contestazione”. (Sez. 5, n. 3797 del 15/01/2018, COGNOME, Rv. 272165 – 01).
Insistere, nel ricorso, come già nell’atto di appello, nell’affermazione secondo cui altri creditori di pari grado siano stati ugualmente -o in misura addirittura maggiore- soddisfatti dei crediti di cui ai capi di imputazione, vale solo a prefigurare, in astratto, altre – non contestate e perciò irrilevanti – ipotesi di bancarotta preferenziale, ma non anche a elidere l’illiceità penale dei fatti di cui ai capi di imputazione E) e F).
6. Il sesto motivo è manifestamente infondato, perché generico, privo di specificità oltre che carente di confronto, critico ed effettivo, con la motivazione dell’impugnata sentenza. In primo luogo, si osserva che le eccezioni difensive sono del tutto frammentarie, rispetto alle precipue notazioni della Corte territoriale, che ha sottolineato, in particolare, come i consistenti pagamenti a favore dell’imputato siano intervenuti in un momento in cui il dissesto della società ammontava a ben 90 milioni di euro, di cui 26 verso creditori privilegiati; peraltro – ha notato altresì la Corte- l’ultimo pagamento percepito risaliva a data successiva alla domanda di ammissione al concordato preventivo. Rispetto a ciò, il ricorrente altro non oppone se non l’avvenuta, integrale soddisfazione dei dipendenti della fallita RAGIONE_SOCIALE; ma, questi ultimi, costituivano evidentemente una quota assai marginale rispetto all’intero ceto creditorio.
Diversamente da quanto ritenuto dal ricorrente, dunque, il profilo dirimente, sul quale la Corte ha correttamente basato l’affermazione di responsabilità, non è la proporzione del compenso rispetto al lavoro svolto, bensì la lesione della par condicio creditorum (ciò che caratterizza, appunto, il delitto di cui all’art. 216,
terzo comma, I. fall.: v. ad es., Sez. 5, n. 21570 del 16/04/2010, COGNOME, Rv. 247964, in motivazione) arrecata dall’amministratore, che, in quanto tale, non poteva ritenersi svincolato dall’obbligo di tutela degli interessi sociali nei confronti dei terzi.
7. Il settimo motivo è inammissibile.
Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il provvedimento con il quale il giudice di merito, nel pronunciare condanna generica al risarcimento del danno, assegna alla parte civile una somma da imputarsi nella liquidazione definitiva non è impugnabile per cassazione, in quanto, per sua natura, insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (Sez. 2, n. 43886 del 26/04/2019, Saracino, Rv. 277711 – 01).
L’ottavo motivo è manifestamente infondato, dal momento che la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è stata motivata con argomenti (quali, segnatamente, l’esistenza di precedenti penali e l’assenza di positivi elementi di valutazione) scevri da manifesta illogicità, che si sottraggono, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419). Deve inoltre considerarsi il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento ai profili ritenu decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Ciò posto, si aggiunge -con riferimento alla valutazione di merito operata dalla sentenza impugnata- che la Corte d’appello non ha inteso stigmatizzare la strategia difensiva dell’imputato, ma soltanto rilevare l’impossibilità d’individuare elementi positivi di valutazione, anche sul piano della condotta processuale.
Per i motivi fin qui esposti, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; l’imputato è inoltre condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che sono liquidate in complessivi euro 6.000, oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 6.000, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 12/04/2024
Il consigliere estensore
Il
presidente