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Bancarotta fraudolenta: onere della prova e distrazione

Un amministratore è stato condannato per bancarotta fraudolenta per aver distratto un ingente finanziamento bancario verso un’altra società da lui controllata. La difesa sosteneva si trattasse della restituzione di un precedente finanziamento soci, ma la Corte di Cassazione ha confermato la condanna. La sentenza chiarisce che, in assenza di prove contabili inequivocabili, spetta all’amministratore dimostrare la legittima destinazione dei fondi, e una semplice causale su un bonifico non è sufficiente.

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Pubblicato il 5 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: La Prova della Restituzione del Finanziamento Soci

La gestione dei flussi finanziari tra società collegate, specialmente quando una di esse versa in difficoltà economiche, è un terreno minato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione getta luce sulla sottile linea che separa una lecita operazione di restituzione di un finanziamento da una condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione. Il caso analizzato riguarda un amministratore che, dopo aver ottenuto un cospicuo finanziamento bancario per una società, lo ha immediatamente trasferito a un’altra entità da lui stesso controllata. La difesa? Si trattava della restituzione di un precedente finanziamento soci. La Cassazione, tuttavia, ha confermato la condanna, ribadendo principi fondamentali sull’onere della prova in capo all’amministratore.

I Fatti di Causa

Un imprenditore, amministratore di fatto di una società alberghiera (Società A) e amministratore unico di un’altra società (Società B), veniva condannato per bancarotta fraudolenta. Il reato contestato era la distrazione di quasi quattro milioni di euro. Questa somma proveniva da un finanziamento erogato da una banca alla Società A, ma, invece di entrare nelle casse di quest’ultima, era stata immediatamente dirottata tramite bonifico alla Società B.

L’amministratore si è difeso sostenendo che l’operazione non era distrattiva, ma costituiva la legittima restituzione di un precedente finanziamento soci infruttifero, erogato in passato dalla Società B alla Società A. A supporto di questa tesi, venivano prodotti alcuni documenti contabili e la ricevuta del bonifico, che riportava come causale proprio la “restituzione del finanziamento soci infruttifero”.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno respinto questa ricostruzione, ritenendo la documentazione insufficiente a provare l’esistenza del presunto credito della Società B e giudicando l’operazione come una pura e semplice distrazione di fondi ai danni dei creditori della Società A, che peraltro si trovava già in uno stato di dissesto economico.

La Decisione della Corte sulla bancarotta fraudolenta

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che le censure dell’imputato miravano a una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità, specialmente in presenza di una “doppia conforme”, ovvero due sentenze di merito che concordano sulla ricostruzione dei fatti e sulla responsabilità.

Il punto cruciale della decisione riguarda l’onere della prova. La Corte ribadisce un principio consolidato: nel reato di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni o delle somme sottratte al patrimonio sociale.

L’Onere di Giustificazione dell’Amministratore

L’imprenditore ha una “posizione di garanzia” nei confronti dei creditori. Ciò comporta un dovere di conservare il patrimonio sociale e, in caso di fallimento, un onere di collaborazione e giustificazione. Quando un bene o una somma di denaro esce dalla società senza una chiara ragione commerciale, spetta all’amministratore fornire una spiegazione credibile e, soprattutto, documentata. Affermazioni generiche o documenti auto-prodotti, come una causale su un bonifico disposto dallo stesso imputato, non sono sufficienti a vincere la presunzione di distrazione.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda sulla carenza di una prova contabile robusta e inequivocabile del presunto finanziamento originario. I giudici hanno evidenziato che, per giustificare un’uscita di cassa così ingente, sarebbe stata necessaria una documentazione idonea a dimostrare non solo l’esistenza del credito, ma anche la sua data e il suo preciso ammontare, cosa che nel caso di specie mancava. Anzi, le stesse scritture contabili presentate dalla difesa mostravano delle incongruenze negli importi.

La Corte ha ritenuto irrilevante la causale del bonifico, considerandola una dichiarazione unilaterale dell’imputato, priva di valore probatorio autonomo se non supportata da altri elementi. Anche se il finanziamento fosse esistito, il suo rimborso in un periodo di grave tensione finanziaria per la società avrebbe comunque potuto integrare il reato di bancarotta, secondo le regole sulla postergazione dei crediti dei soci (art. 2467 c.c.).

Inoltre, la Corte ha confermato la correttezza della valutazione operata dai giudici di merito nel negare le attenuanti generiche, valorizzando l’elevato importo distratto, la rilevante influenza che tale atto ha avuto sul dissesto della società e la condotta non collaborativa tenuta dall’imputato.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per gli amministratori di società. La gestione dei rapporti finanziari infragruppo o con i soci deve essere improntata alla massima trasparenza e documentata in modo ineccepibile. In caso di fallimento, l’assenza di una chiara giustificazione per la fuoriuscita di ingenti risorse finanziarie espone l’amministratore a una quasi certa condanna per bancarotta fraudolenta. Non basta creare una parvenza di legittimità con causali o registrazioni contabili isolate; è necessario poter dimostrare, con prove concrete e coerenti, la reale natura economica e la liceità di ogni operazione che incide sul patrimonio sociale.

Quando la restituzione di un finanziamento a un socio può essere considerata bancarotta fraudolenta?
Quando l’operazione manca di un’adeguata e inequivocabile documentazione contabile che provi l’effettiva esistenza del finanziamento originario. Una semplice causale auto-dichiarata su un bonifico è insufficiente, specialmente se la società si trova già in una situazione di difficoltà finanziaria.

In un processo per bancarotta fraudolenta, su chi ricade l’onere di provare la destinazione dei fondi?
Una volta che l’accusa ha provato la sottrazione di beni dal patrimonio sociale (la distrazione), sorge in capo all’amministratore un onere di fornire una spiegazione credibile e documentata sulla loro destinazione. La mancata o insufficiente giustificazione costituisce un elemento di prova a suo carico.

La condotta processuale dell’imputato può influire sulla determinazione della pena?
Sì, i giudici possono tenere conto della condotta complessiva dell’imputato, inclusa la sua personalità e la sua collaborazione con gli organi della procedura fallimentare, per decidere sulla concessione delle circostanze attenuanti generiche e sulla quantificazione della pena.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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