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Bancarotta fraudolenta: onere della prova dell’amm.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta fraudolenta. La Corte ha ribadito che spetta all’amministratore l’onere di fornire una prova specifica e dettagliata della destinazione dei fondi prelevati, non essendo sufficienti giustificazioni generiche. Anche l’autoliquidazione dei compensi in fase di dissesto societario configura il reato di distrazione.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta: onere della prova a carico dell’amministratore

L’amministratore di una società ha precise responsabilità nella gestione del patrimonio aziendale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di bancarotta fraudolenta: spetta all’amministratore accusato di distrazione di fondi fornire la prova rigorosa della loro destinazione a scopi sociali. Giustificazioni vaghe o generiche non sono sufficienti a esonerarlo dalla responsabilità penale. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Un amministratore, in qualità di presidente del consiglio di amministrazione di una S.r.l., veniva condannato in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e bancarotta preferenziale. Le accuse riguardavano specificamente il prelievo di 60mila euro senza adeguate giustificazioni e il pagamento di compensi a sé stesso per oltre 110mila euro, in un periodo di difficoltà economica della società, poi dichiarata fallita.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di aver fornito spiegazioni sulla destinazione dei 60mila euro, asserendo che fossero stati utilizzati per la restituzione di spese anticipate per conto della società per una “start-up”. Contestava inoltre la qualificazione del prelievo dei compensi, ritenendoli legittimi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la condanna. La decisione si fonda su principi consolidati in materia di reati fallimentari e sulla mancanza di specificità delle doglianze presentate dall’imputato.

L’Onere della Prova nella Bancarotta Fraudolenta per Distrazione

Il punto centrale della pronuncia riguarda l’onere della prova. La Corte ha ribadito che, di fronte a un’accusa di distrazione, è l’amministratore a dover dimostrare in modo inequivocabile che i beni o le somme prelevate dalle casse sociali siano stati impiegati nell’interesse dell’azienda. Non è sufficiente fornire una spiegazione generica, come il riferimento a una non meglio identificata “start-up”, senza allegare alcuna documentazione o elemento concreto che permetta al curatore fallimentare e al giudice di verificare la veridicità e la pertinenza dell’operazione.

Nel caso specifico, gli stessi organi sociali (consiglio di amministrazione e assemblea dei soci) avevano già considerato ingiustificato il prelievo, tanto da appostare un credito nei confronti dell’amministratore. Questo ha reso ancora più debole la sua posizione difensiva.

La Questione dei Compensi dell’Amministratore

Anche per quanto riguarda i compensi, la Cassazione ha chiarito un aspetto cruciale. Il prelievo di somme a titolo di retribuzione da parte dell’amministratore, quando la società si trova in una fase di dissesto, integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e non quello, meno grave, di bancarotta preferenziale. Questo perché, in assenza di una specifica e formale delibera assembleare che determini l’importo esatto (“quantum”) del compenso, il credito dell’amministratore è da considerarsi illiquido. Di conseguenza, l’autoliquidazione del proprio compenso in un momento di crisi aziendale equivale a una sottrazione di risorse ai danni dei creditori.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile principalmente per difetto di specificità. L’imputato, sia in appello che in Cassazione, non ha adeguatamente contestato le ragioni di fatto e di diritto della sentenza di primo grado, limitandosi a riproporre giustificazioni generiche. La giurisprudenza è costante nell’affermare che l’onere di specificità di un’impugnazione è direttamente proporzionale alla chiarezza con cui il giudice di merito ha esposto le sue motivazioni.

La sentenza impugnata aveva correttamente applicato il principio secondo cui la prova della distrazione può derivare dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni. Le informazioni fornite devono essere concrete e tali da consentire il recupero dei beni o l’individuazione della loro effettiva destinazione aziendale, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma la linea rigorosa della giurisprudenza in tema di bancarotta fraudolenta. Gli amministratori di società devono essere consapevoli che ogni prelievo di risorse sociali deve essere non solo lecito, ma anche e soprattutto tracciabile e documentato. In caso di fallimento, l’onere di dimostrare la corretta gestione e la finalità aziendale di ogni operazione ricade interamente su di loro. Affermazioni generiche e non supportate da prove concrete non hanno alcun valore e non sono sufficienti a evitare una condanna per un reato così grave.

Su chi ricade l’onere di giustificare i prelievi dalle casse sociali in caso di accusa di bancarotta fraudolenta?
Secondo la sentenza, l’onere di giustificare la destinazione dei beni o delle somme prelevate ricade sull’amministratore imputato. È lui che deve fornire la prova che tali risorse sono state impiegate per scopi aziendali.

Una giustificazione generica, come un investimento in una “start-up”, è sufficiente a escludere la responsabilità dell’amministratore?
No. La Corte ha stabilito che le giustificazioni devono essere specifiche, concrete e verificabili. Un riferimento vago a una “start-up”, senza fornire indicazioni precise che ne consentano l’identificazione e la verifica dell’investimento, è considerato insufficiente.

Il prelievo di compensi da parte dell’amministratore da una società in dissesto può configurare bancarotta fraudolenta?
Sì. La sentenza chiarisce che l’autoliquidazione dei propri compensi da parte di un amministratore, quando la società è in crisi e il credito non è liquido (cioè non determinato nel suo ammontare da una specifica delibera), integra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, in quanto sottrae risorse alla massa dei creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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