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Bancarotta fraudolenta: onere della prova

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’amministratrice condannata per bancarotta fraudolenta patrimoniale. La sentenza ribadisce che spetta all’amministratore fornire una prova specifica e documentata della destinazione dei fondi prelevati dalla società, non essendo sufficiente una generica affermazione di averli utilizzati per scopi aziendali.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta Patrimoniale: L’Onere della Prova Ricade sull’Amministratore

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale: spetta all’amministratore dimostrare in modo specifico e documentato la destinazione dei fondi prelevati dalle casse sociali. La semplice affermazione che tali somme siano state utilizzate per finalità aziendali non è sufficiente a escludere la responsabilità penale. Analizziamo insieme questa importante decisione per comprenderne le implicazioni pratiche per gli amministratori di società.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un’amministratrice per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in relazione a prelievi di somme di denaro per un totale di 8.700,00 Euro. La condanna, emessa in primo grado, era stata confermata dalla Corte d’Appello di Milano, che aveva rideterminato la pena principale in due anni di reclusione e le relative pene accessorie fallimentari.

L’amministratrice, tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione, contestando diversi aspetti della sentenza di secondo grado.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha articolato il ricorso su tre motivi principali:

1. Errata qualificazione giuridica del fatto: Si contestava la classificazione del reato come bancarotta fraudolenta patrimoniale, suggerendo una qualificazione meno grave.
2. Vizio di motivazione: Si lamentava una motivazione carente in merito all’affermazione di responsabilità.
3. Graduazione della pena: Si criticava la quantificazione della pena inflitta, ritenuta eccessiva.

In una memoria successiva, la difesa ha inoltre sostenuto che, a seguito della prescrizione di altri reati fallimentari contestati, non dovesse più applicarsi l’aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta, con conseguente necessità di ricalcolare la pena in modo più favorevole.

L’Analisi della Corte sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, dichiarandolo inammissibile. Il cuore della decisione si concentra sull’onere della prova in capo all’amministratore. I giudici hanno ribadito un orientamento consolidato secondo cui la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni sociali può essere desunta proprio dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione.

Nel caso specifico, l’imputata non ha fornito alcun elemento specifico e documentato a sostegno della sua tesi difensiva. Non ha dimostrato che i fondi prelevati fossero stati effettivamente utilizzati per finalità aziendali o per remunerare la propria attività. Di fronte a questa assenza di prova, il giudice non può ignorare l’affermazione dell’imputato solo se questa fornisce informazioni precise e concrete, tali da consentire alla curatela fallimentare di recuperare i beni o di verificarne l’effettiva destinazione. Poiché ciò non è avvenuto, la condotta è stata correttamente qualificata come distrattiva.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di principi giuridici solidi. In primo luogo, ha sottolineato come la graduazione della pena rientri nella discrezionalità del giudice di merito e non sia sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia frutto di un ragionamento palesemente illogico o arbitrario, cosa che nel caso di specie non è stata riscontrata. La Corte territoriale aveva, infatti, adeguatamente motivato i criteri utilizzati per la determinazione della sanzione.

In secondo luogo, riguardo all’aggravante contestata, i giudici hanno chiarito che essa trova applicazione anche in caso di reiterazione di fatti riconducibili alla medesima ipotesi di bancarotta. Poiché l’imputazione si riferiva a due distinti prelievi di denaro, l’aggravante era correttamente applicata. La Corte ha richiamato una pronuncia delle Sezioni Unite che ha stabilito come la disciplina speciale sul concorso di reati fallimentari si applichi sia in caso di commissione di reati diversi (es. bancarotta patrimoniale e documentale) sia in caso di più azioni della stessa tipologia di reato.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito fondamentale per tutti gli amministratori di società. La gestione delle risorse aziendali deve essere improntata alla massima trasparenza e tracciabilità. In caso di fallimento, non sarà sufficiente affermare genericamente di aver agito nell’interesse della società per giustificare ammanchi di cassa o prelievi di denaro. Per evitare di incorrere nel grave reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è indispensabile conservare una documentazione puntuale e specifica che attesti in modo inequivocabile la destinazione di ogni somma prelevata dal patrimonio sociale.

Chi deve provare la destinazione dei fondi prelevati da una società poi fallita per evitare un’accusa di bancarotta fraudolenta patrimoniale?
Spetta all’amministratore fornire la prova della destinazione dei beni. La Corte afferma che la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei fondi, a meno che non fornisca informazioni specifiche che ne consentano il recupero o la verifica.

Un amministratore può giustificare un prelievo di contanti sostenendo genericamente che sono stati usati per finalità aziendali?
No. Secondo la Corte, una giustificazione generica non è sufficiente. È necessario fornire elementi specifici e documentati che provino l’effettivo impiego delle somme per scopi legati all’attività d’impresa o per remunerare l’attività svolta in favore della società.

L’aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta si applica anche se si tratta di più prelievi della stessa tipologia di reato?
Sì. La Corte ha confermato che l’aggravante prevista dall’art. 219, comma 2, n. 1 della Legge Fallimentare si applica sia nel caso di commissione di diversi tipi di reati fallimentari, sia in quello di reiterazione di fatti riconducibili alla medesima ipotesi, come ad esempio due distinti prelievi di denaro che configurano bancarotta patrimoniale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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