Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14560 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14560 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Empoli il 16/06/1963 avverso la sentenza del 14/05/2024 della Corte d’appello di Firenze; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore, NOME COGNOME che ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio principale, da rideterminare in anni 4 di reclusione, con rigetto nel resto del ricorso; sentito, per l’imputato, l’avvocato NOME COGNOME che si associa alla richiesta del procuratore generale e, per i rimanenti motivi, si riporta al ricorso presentato
Corte di Cassazione – copia non ufficiale e ne chiede l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte d’appello di Firenze ha confermato la condanna di COGNOME NOME, emessa dal Tribunale di Firenze il 19/10/2022, alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione per i delitti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale, in relazione al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 29/4/2015, ritenuta la
continuazione fallimentare ed esclusa l’aggravante del danno di rilevante gravità. Sono state applicate, per la durata della pena principale, le pene accessorie dell’inabilitazione all’esercizio di un’impresa e dell’incapacità di esercitarne uffi direttivi, nonché quella dell’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.
Avverso la detta sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato.
2.1. Col primo motivo lamenta l’erronea applicazione della legge penale e il vizio di motivazione in relazione agli artt. 219, comma 2, n. 1, r.d. 267/1942 e 64 cod. pen.
In sintesi, si rileva che le condotte di distrazione omogenee, integrando un unico reato, non comportassero un aumento di pena per ciascuna di esse: sicché, errata sarebbe la duplice irrogazione di pena per le condotte di distrazione di cui al capo A, dovendo applicarsi l’aumento previsto dall’art. 219, comma 2, r.d. 267/1942 solo in caso di fatti diversi (distrazione, dissipazione, occultamento) e non nell’ipotesi (ricorrente nella specie) di condotte omogenee.
Inoltre, ammesso che ciò non fosse, ci si duole dell’ulteriore aumento di pena disposto per la bancarotta documentale (di cui al capo B): dovendo l’aumento di pena, per le ritenute (da parte ricorrente) “aggravanti”, essere effettuato una sola volta, come previsto dall’art. 64 cod. pen.
Ci si duole, infine, del fatto che la pena non fosse (contrariamente a quanto asserito dalla Corte d’appello) prossima al minimo edittale, nonostante il Tribunale avesse escluso l’aggravante del danno di rilevante gravità.
2.2. Col secondo motivo, parte ricorrente lamenta l’erronea applicazione dell’articolo 216, comma 1, n. 2, r.d. 267/1942 e il vizio di motivazione circa la sussistenza del dolo della bancarotta fraudolenta documentale, ritenuto generico per una fattispecie (omessa tenuta delle scritture contabili) a dolo specifico.
Si sostiene che, mentre il Tribunale aveva accertato l’omessa tenuta delle scritture contabili, la Corte territoriale, dopo aver confermato trattarsi di tant aveva, poi, parlato di irregolare tenuta: omettendo, così, di motivare sul dolo specifico (il pregiudizio per i creditori o l’ingiusto profitto perseguito), prospettan la sussistenza del solo dolo generico.
2.3. Col terzo motivo lamenta, parte ricorrente, violazione di legge e vizi di motivazione, in relazione all’omessa riqualificazione del reato di bancarotta documentale specifica nella fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma 1 , r.d. 267/1942: ciò in ragione di quanto addotto col secondo motivo, circa l’assenza di accertamento di dolo specifico, nonché della giurisprudenza di questa Corte, che reputa integrata la bancarotta semplice qualora non sia accertato lo scopo fraudolento perseguito dall’agente nell’omessa
tenuta dei libri contabili.
Sul punto la Corte d’appello avrebbe fornito una motivazione inadeguata e contraddittoria, affermando che l’irregolare tenuta dei libri fosse funzionale all’occultamento degli atti depauperativi e che il dolo generico fosse desumibile, dunque, dalla provata responsabilità per bancarotta distrattiva patrimoniale.
2.4. Col quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione sia all’eccessività della pena, che alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Le decisioni prese al riguardo dai giudici del merito non avrebbero considerato: l’incensuratezza dell’imputato, la sua condotta collaborativa successiva al reato (concretizzatasi in una proposta transattiva alla curatela fallimentare, tradottasi in un accordo a tacitazione delle relative pretese) e, infine, l’esclusione dell’aggravante del danno di rilevante gravità.
Si assume che, se anche non era doveroso, per il giudice del merito, prendere “in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli rilevabili dagli atti, essendo sufficiente il riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti”, sarebbe stato, tuttavia, “necessario” tenere “obbligatoriamente conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’imputato” (pagina 10 del ricorso).
2.5. Col quinto motivo, la difesa del ricorrente lamenta violazione di legge e vizi di motivazione in relazione alla durata delle pene accessorie, sostenendo che la Corte territoriale non avrebbe motivato specificamente circa la durata di tali pene, omettendo di fare applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Il ricorrente non condivide la risposta all’analogo motivo d’appello data dalla Corte territoriale, secondo cui il Tribunale aveva comunque commisurato tali pene alla durata della pena principale e si era tenuto al di sotto della soglia che aveva comportato l’intervento della Corte costituzionale, così motivando circa la determinazione della durata delle dette pene. In realtà, secondo parte ricorrente ciò non s’era verificato e non erano, nella specie, stati richiamati i criteri di c all’art. 133 cod. pen.
2.6. Con motivi aggiunti, da ultimo, la difesa di parte ricorrente lamenta, nuovamente, l’erronea duplicazione di pena in relazione a due ipotesi di bancarotta fraudolenta distrattiva, nonché l’erroneo omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, le quali avrebbero dovuto, in sede di bilanciamento, elidere l’aumento di cui all’art. 219 r.d. 267/1942.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato, salvo che in relazione all’aumento per la continuazione interna relativamente al reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, che va eliminato.
Il primo motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito precisati.
È pacifico che l’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., non preveda una circostanza aggravante, ma detti, per i reati fallimentari, una peculiare disciplina della continuazione derogatoria di quella ordinaria di cui all’art. 81 cod. pen. (Sez. U, n. 21039 del 27/01/2011, Loy, Rv. 249665-01).
Orbene, come più volte ribadito, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è esclusa la configurabilità della continuazione nel caso di molteplici fatti di distrazione in quanto le singole condotte di cui all’art. 216 legge fal possono essere realizzate con uno o più atti, senza che la loro ripetizione, nell’ambito dello stesso fallimento, dia luogo ad una pluralità di reati, trattandosi di reato a condotta eventualmente plurima per la cui realizzazione è sufficiente il compimento di uno solo dei fatti contemplati dalla legge, mentre la pluralità di essi non fa venire meno il suo carattere unitario (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, Rv. 278156-01; confronta, negli stessi termini: Sez. 5, n. 41539 del 10/10/2024, Rv. 287170-01 e Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, dep. 2021, Rv. 281031-01; confronta, in termini analoghi: Sez. 5, n. 17799 del 01/04/2022, Rv. 283253-02, che tuttavia precisa che «si ha concorso ogniqualvolta le differenti azioni tipiche siano distinte sul piano ontologico, psicologico e funzionale e abbiano ad oggetto beni specifici differenti»).
Nella specie, trattasi di episodi omogenei, caduti su beni analoghi e, per quanto si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, coevi: sicché deve ritenersi che illegittimamente i fatti siano stati ritenuti integrare più reati, piutt che un reato a condotta plurima.
Ne consegue l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio, su tale punto, e l’eliminazione dell’aumento di pena correlato al capo A, n. 3.
Le doglianze di cui ai connessi secondo e terzo motivo (sull’omessa motivazione circa il dolo specifico della bancarotta fraudolenta documentale e sulla conseguente riqualificazione nella fattispecie di bancarotta semplice di cui all’art. 217, comma 2, r.d. 267/1942) sono infondate.
È noto che, nel caso di decisioni di merito conformi, queste si saldino tra loro in un unicum motivazionale da valutare nel suo complesso (Sez. 3, n. 13926 del 1/12/2011, dep. 2012, Rv. 252615-01; Sez. 2, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Rv. 197250-01).
Orbene, in tema di dolo specifico correlato alla bancarotta fraudolenta distrattiva, il Tribunale ha chiarito quanto segue: “alla luce delle distrazioni di cu ai capi A1-2) e A3) dell’imputazione e del fatto che, a fronte di debiti considerevoli, la curatrice non ha rivenuto alcun cespite attivo, si deve allora ritenere che l’imputato abbia omesso di tenere la contabilità al fine di precludere la successiva ricostruzione degli affari, per potersi così procurare un ingiusto profitto con danno per i creditori. Sussiste dunque il necessario dolo specifico. Una conferma in tal senso si ricava altresì dal fatto che la RAGIONE_SOCIALE abbia conservato e registrato (nel registro Iva 2014) le fatture di acquisto emesse nei suoi confronti dalla RAGIONE_SOCIALE per operazioni in realtà inesistenti, al solo scopo di giustificare la distrazione dell attrezzature e in generale dell’azienda. Benché tale falsificazione non sia oggetto di specifica imputazione come bancarotta documentale nel capo B (un riferimento in fatto vi è nel capo A, ove si accenna alle fatture fittizie della ICS e al compensazione), la circostanza è comunque indicativa della finalità fraudolenta che muoveva l’imputato anche con riguardo alla gestione della contabilità. Una ulteriore conferma del ricorso dell’imputato a meccanismi fraudolenti si ricava dal fatto che egli non abbia esitato ad avvalersi – per la neocostituita società ICS – di mere “teste di legno” (il Muratore e poi la madre COGNOME)”.
La Corte d’appello, nel confermare la sentenza di primo grado, ribadisce che oggetto di imputazione fosse la “omessa tenuta” della contabilità e che la stessa risultasse “comprovata dal dato fattuale della consegna alla curatrice delle scritture contabili aggiornate solo fino al 31/12/2012; del libro giornale relativo al 2013; di alcune fatture di acquisto di vendita degli anni 2013, 2014, 2015” e dei registri Iva relativi al 2014. Il giudice d’appello ha, altresì, evidenziato non foss neppure stato consegnato il libro inventari (“da cui la curatrice avrebbe potuto rilevare le consistenze patrimoniali della società”), mentre fossero “state prodotte le fatture emesse dalla ICS che erano relative ad operazioni fittizie e strumentali a giustificare la distrazione oggetto del sottocapo Al”.
Dunque, pure la Corte d’appello ha chiaramente accertato, non solo che, nella specie, si fosse verificata l’omessa tenuta delle scritture contabili, ma anche che vi fossero elementi da cui desumere l’intento fraudolento sotteso, in capo all’imputato, conformemente a quanto acclarato dal primo giudice.
Allorché, poi, la medesima sentenza d’appello parla di “irregolare tenuta dei libri e delle altre scritture contabili” e della sua finalizzazione “all’occultamen degli atti depauperativi del patrimonio sociale oggetto del reato di cui al capo A)”, la stessa altro non fa che confermare la sussistenza del dolo specifico richiesto nella specie.
È evidente che con tale definizione di “irregolarità”, la Corte territoriale
intendesse rimarcare l’incompletezza della documentazione consegnata: il che non esclude affatto che si fosse nell’ambito della omessa tenuta.
Al riguardo va rammentato che, come si desume dalla norma incriminatrice (che parla di sottrazione, distruzione o falsificazione, “in tutto o in parte” dei libri o delle altre scritture contabili) anche la parziale carenza di documentazione integra la fattispecie di cui alla prima parte dell’articolo 216, comma 1, n. 2, r.d 267/1942.
Tanto, peraltro, è stato di recente ribadito da questa Corte: «… non è necessario che detta omissione annotativa sia perdurata per tutta la vita dell’impresa, né che essa riguardi tutte le scritture contabili, ben potendo essere parziale, sia in riferimento all’oggetto che in riferimento allo sviluppo, potendo essa manifestarsi sia in senso diacronico che sincronico. Ciò, peraltro, emerge inequivocabilmente dal testo della disposizione normativa, che chiarisce come la condotta riguarda “…in tutto o in parte …” le scritture contabili, potendo, quin manifestarsi attraverso la radicale carenza di tutte o di parte delle scritture e dei libri contabili e non in una loro tenuta lacunosa, connotata da omissioni annotative, come già detto in precedenza. Si è, inoltre, spiegato, ad ulteriore individuazione del discrimine tra le due fattispecie delineate dalla disposizione di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, che la fraudolenta tenuta delle scritture, a dolo generico, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi» (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Rv. 284677-02, in motivazione).
Nella specie, allora, la Corte d’appello ha correttamente (e conformemente all’accusa) rilevato (non la fraudolenta tenuta delle scritture consegnate, bensì) l’incompletezza della documentazione consegnata al fallimento: così restando pienamente nell’alveo della contestazione formulata e confermando la valutazione del Tribunale circa la finalizzazione della condotta all’occultamento delle distrazioni nel contempo poste in essere.
Sicché, allorché successivamente parla di dolo “generico”, senza altro argomentare e, anzi, specificando al contempo di desumere l’elemento psicologico proprio “dalla responsabilità dell’imputato per i fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale” (correlando, dunque, nuovamente la bancarotta fraudolenta documentale alle distrazioni operate), è evidente che la sentenza d’appello incorra in un mero lapsus calami (verosimilmente dovuto alla citazione della non felice, sul piano terminologico, massima di cui a Sez. 5, n. 33575 del 08/04/2022, Rv. 283659-01, che parla, per l’appunto, di dolo “generico” a fronte di una motivazione che fa chiaro riferimento all’omessa tenuta delle scritture contabili ed al dolo specifico, desumibile proprio dal «fine di celare le condotte distrattive poste in
essere»): errore che, tuttavia, non rende affatto la motivazione contraddittoria o incomprensibile.
Infine, la sussistenza del menzionato elemento soggettivo (ovvero l’aver ritenuto che la bancarotta fraudolenta documentale sia stata commessa proprio per agevolare le distrazioni operate) rende palese l’infondatezza della chiesta riqualificazione del fatto in termini di bancarotta documentale semplice, di cui all’art. 217, comma 2, r.d. 267/1942.
Quest’ultima, come noto, non richiede che siano provati né l’impedimento alla ricostruzione del volume d’affari o del patrimonio del fallito ed il relativo dol generico (Sez. 5, n. 27703 del 28/05/2024, Rv. 286641-01; Sez. 5, n. 11390 del 09/12/2020, dep. 2021, Rv. 280729-01; Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, Rv. 274630-01), né il detto dolo specifico correlato alla mancanza, quand’anche parziale, della contabilità, volta a recare pregiudizio al ceto creditorio o a perseguire un ingiusto profitto (Sez. 5, n. 44293 del 17/11/2005, Rv. 232816 – 01; Sez. 5, n.18868 del 24/01/2023, non massimata): essendo la bancarotta documentale semplice caratterizzata dall’omessa tenuta delle scritture contabili per negligenza.
Ma, come ben chiarito dalle sentenze di merito, nella specie non si trattò di mera negligenza, ma della precisa volontà di occultare le contestuali distrazioni operate.
La doglianza di cui al quarto motivo (circa l’eccessività della pena e la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche) è inammissibile, richiedendosi con essa, in questa sede di legittimità, una valutazione di merito.
Sfugge al sindacato di legittimità, se sorretta da motivazione non manifestamente illogica, bensì aderente ai criteri legali, in primis quelli di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., la valutazione sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, Rv. 27954902; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01; Sez. 1, n. 39566 del 16/02/2017, Rv. 270986-01) e, in generale, sulla determinazione della pena, specie se inferiore alla media edittale (Sez. 3, n. 29968 del 22/2/2019, Rv. 276288-01; Sez. 5, n. 5582 del 30/9/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
Orbene, la decisione censurata ha evidenziato come la pena fosse stata determinata dal Tribunale “in misura prossima al minimo edittale” e risultasse “congrua anche in considerazione dell’ammontare del danno arrecato”, e come vi fosse la “insussistenza di elementi di nneritevolezza per il riconoscimento delle attenuanti generiche”.
Trattasi di valutazione assolutamente congrua e logica, non censurabile in
questa sede.
Infatti, da un lato, non si vede come possa dirsi che non sia prossima al minimo edittale la pena base di tre anni e sei medi reclusione per un delitto che prevede una pena edittale da tre a dieci anni di reclusione, dall’altro lato, i mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche è congruamente motivato anche solo sulla base di singole ragioni ostative ritenute preponderanti dal giudice del merito, non sindacabili in sede di legittimità, se non contraddittorie o incongrue, neppure quando non vi sia lo specifico apprezzamento di ciascuno dei pretesi fattori attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419-01; così pure Sez. 3, n. 1913 del 20/12/2018, dep. 2019, Rv. 275509-03, in motivazione).
5. Anche il quinto motivo, sulla carenza di motivazione delle pene accessorie, è infondato.
Il Tribunale – alla cui motivazione la Corte d’appello rinvia, condividendola ha chiarito di aver determinato la durata delle pene accessorie in ragione dei criteri già vagliati per determinare quella principale, basandosi, dunque, sulla gravità del danno arrecato, sulle modalità dei fatti e sull’intensità del dolo.
In particolare, il primo giudice ha richiamato espressamente i seguenti elementi: oggetto di distrazione erano stati l’intera azienda e poi anche le somme ulteriori corrisposte successivamente dalla COEF; la condotta era consistita nella costituzione di una nuova società intestata ad un prestanome e connotata anche dall’emissione e registrazione di false fatture; il fatto ineriva una società ormai decotta; l’omessa tenuta di una contabilità adeguata era perdurata per un apprezzabile periodo di tempo.
Tale motivazione non può certo dirsi mancante, come reputa parte ricorrente, e, per quanto non sia questo l’oggetto della doglianza in esame, neanche illogica: sicché è anch’essa incensurabile, in questa sede, per ragioni analoghe a quelle rimarcate nell’esame del precedente motivo di doglianza, non essendo sindacabile, dinanzi a questa Corte, il provvedimento del giudice del merito che, avvalendosi del proprio potere discrezionale, determini, in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., con specifica, completa e logica motivazione, le pene accessorie fallimentari, ove pure nella misura massima prevista e senza rapportarle alla durata della pena principale»(Sez. 5, n. 7034 del 24/01/2020, Rv. 278856-01; confronta, negli stessi termini: Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Rv. 276286-03, in motivazione).
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, quanto all’aumento per la continuazione interna relativamente al reato di bancarotta fraudolenta per
distrazione ed elimina il relativo aumento di pena pari a mesi sei di reclusione.
Rigetta nel resto il ricorso.
Così è deciso, 11/02/2025
Il C nsigliere estensore
NOME CAILNE
Il Presidente
NOME
CORTE DI CASSAZIONE
V SEZIONE PEN
NOME
ALE