Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23872 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23872 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 05/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
INDIRIZZO NOME NOME NOME DESIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/06/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale ASSUNTA
COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore: l’AVV_NOTAIO COGNOME, per delega dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, conclude chiedendo l’annullamento, con o senza rinvio, della sentenza impugnata;
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, emessa il 26 giugno 2023, la Corte di appello di Milano, giudicando NOME COGNOME in sede di rinvio – a seguito di annullamento pronunciato dalla Corte di cassazione (con la sentenza di Sez. 5, n. 857 del 2/12/2022, dep. 2023) della decisione resa dalla Corte di appello di Milano il 28 giugno 2021, conferma tiva della sentenza emessa in primo grado dal Tribunale di Milano il 28 novembre 2019, che aveva giudicato, con rito abbreviato, COGNOMECOGNOME quale liquidatore dal 3.11.2010 della RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE operante nel servizi dell’informatica, telematica, multimedialità e telefonia), dichiarata fallita 18.06.2015, in ordine al concorso con l’amministratore di fatto NOME COGNOME nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per distrazione delle somme prelevate dal conto corrente, sul quale confluivano i pagamenti dei clienti (capo C), e nel reato di bancarotta fraudolenta documentale, per aver sottratto e distrutto i libri e le altre scritture contabili (capo A), e lo aveva dichia colpevole dei reati a lui ascritti condannandolo, computata la riduzione per il rito, alla pena principale di anni due, mesi quattro di reclusione, oltre alle pene accessorie fallimentari per la stessa durata – ha confermato nuovamente la sentenza di primo grado.
1.1. La decisione della Corte di cassazione aveva, in primo luogo, ritenuto fondata la doglianza dell’imputato in tema di accertamento della bancarotta fraudolenta per distrazione: sul conto corrente acceso presso il Monte dei Paschi di Siena, nonostante la RAGIONE_SOCIALE fosse in RAGIONE_SOCIALE, erano continuate le operazioni con emissione di fatture a nome della RAGIONE_SOCIALE e il curatore aveva rilevato che risultavano sensibili importi per uscite non giustificate; il prim giudice aveva identificato la distrazione nella percentuale compresa fra il 20% e il 30% del volume degli affari, essendosi trattato di attività prestata senza il pagamento dei tributi; la Corte di appello aveva identificato il ruolo di COGNOME in quello di recuperatore dei crediti maturati dalla RAGIONE_SOCIALE, mentre COGNOME, nonostante la RAGIONE_SOCIALE, aveva continuato l’attività per onorare i contratti stipulati dalla RAGIONE_SOCIALE operando sul suddetto conto, versandovi le somme corrisposte dai clienti e trattenendo un compenso per sé, oggetto della distrazione, con concorde quantificazione dell’importo della distrazione, da imputarsi anche al liquidatore COGNOME perché questi aveva consentito a COGNOME di operare su quel conto corrente della RAGIONE_SOCIALE fornendogli le credenziali per un periodo di quattro anni, successivo alla sua nomina a liquidatore; in tale ambito, i giudici di legittimità avevano rilevato la carenza della prova relativa al dol concorsuale, elemento del quale la motivazione non aveva dato conto, non bastando il generico riferimento alla posizione di garanzia di cui era titolare i
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liquidatore; né, sul piano oggettivo, erano risultati adeguatamente spiegati l’importo della distrazione nella somma di euro 130.000,00 e l’oggetto della distrazione stessa, ossia se esso era da riferirsi ai corrispettivi versati dai clien su quel conto o all’importo trattenuto da COGNOME a titolo di suoi emolumenti; ciò, con effetto anche sulla compiuta valutazione dell’applicabilità della circostanza attenuante dell’art. 219, terzo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 247 (legge fall.).
In secondo luogo, la sentenza rescindente aveva accolto anche la seconda doglianza, relativa alla bancarotta documentale per quanto concerneva l’elemento soggettivo, facendo notare che l’individuazione del dolo specifico, occorrente per il perfezionamento del reato e consistente nella volontà dell’imputato di impedire l’accertamento della destinazione dei beni aziendali e dell’esistenza di eventuali altri creditori della RAGIONE_SOCIALE, nella motivazione resa s connotava per il carattere di totale assertività del riferimento ai creditori ulteri e non considerava che COGNOME si era offerto di consegnare i beni strumentali al curatore, che non li aveva accettati perché privi di valore, in tal senso essendosi ritenuto sussistente il denunciato vizio di motivazione.
1.2. I giudici del rinvio nell’indicata sentenza hanno articolato considerazioni sull’uno e sull’altro dei punti trattati con la sentenza rescindente e sulla verifi del conseguente trattamento sanzioNOMErio, pervenendo al convincimento che la decisione del Tribunale non meritasse alcuna censura.
Avverso questa decisione ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME chiedendone l’annullamento e articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano la mancanza e l’illogicità della motivazione e la violazione dell’art. 628 cod. proc. pen., per il mancato rispetto del principio di diritto fissato nella sentenza rescindente, in ordine alla ritenut sussistenza dell’elemento oggettivo e dell’elemento soggettivo della bancarotta per distrazione di cui al capo C).
Premesso che la sentenza rescindente aveva annullato la decisione di appello sia con riferimento all’elemento oggettivo che all’elemento soggettivo della distrazione, il ricorrente lamenta il carattere apparente e travisante della motivazione resa dalla Corte di appello nella decisione nuovamente confermativa della condanna: in particolare, quella che per la Corte territoriale aveva costituito una giustificazione postuma non riscontrata, indimostrata e anzi smentita da COGNOME, ossia la deduzione relativa alle esigenze di continuità operativa finalizzate a evitare ulteriori perdite, era risultata corroborata dalle affermazio del suddetto COGNOME, come rese nel corso della sua audizione all’udienza del 28 novembre 2019: da tali dichiarazioni era emerso che il conto corrente era usato per incassare i crediti derivanti dai contratti di fornitura in essere, pagare
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spese e garantire un compenso allo stesso coimputato di circa 1.000,00 euro al mese, compenso che non poteva essere considerato di natura distrattiva; inoltre, COGNOME aveva negato di aver utilizzato il conto per pagare un mutuo personale.
Sempre in questa prospettiva la difesa osserva che i giudici del rescissorio, a fronte del punto evidenziato nella sentenza di legittimità circa la necessità di chiarire se l’oggetto della distrazione riguardava i corrispettivi dei clienti ovvero compensi di COGNOME, hanno affermato che essa riguardava entrambe tali poste, ma senza giustificare questa asserzione, laddove, escluso che i compensi all’amministratore potessero concretare distrazioni, nemmeno avrebbe potuto ammettersi un calcolo totalmente percentuale e presuntivo delle somme incassate quale oggetto di attività distrattive, con la relativa carenza della prova di cespiti attivi effettivamente esistiti nel patrimonio sociale che fossero sta oggetto di distrazione.
In merito all’elemento soggettivo di tale bancarotta, poi, la questione posta dalla Corte di cassazione non è stata, secondo la difesa, superata nella sentenza impugnata, giacché la Corte di appello ha ripetuto l’errore di limitarsi a richiamare l’obbligo giuridico insito nella posizione di garanzia afferente alla figura del liquidatore, senza riempire di contenuto il riferimento, adducendo per il resto l’argomento che l’imputato sapeva o doveva sapere la portata delle condotte del coimputato: argomento che al più avrebbe potuto condurre al rimprovero di negligenza, non alla prova della volontà distrattiva.
2.2. Con il secondo motivo sono denunciate la carenza e l’illogicità della motivazione e la violazione dell’art. 628 cod. proc. pen., per il mancato rispetto del principio fissato nella sentenza rescindente circa la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della bancarotta documentale di cui al capo A).
Anche per tale reato i punti indicati dalla Corte di cassazione, secondo il ricorrente, non sono stati affrontati, essendo restato indimostrato il dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice, tanto più che era stata contestata la sottrazione o distruzione delle scritture contabili, mentre era stato assodato già dal Tribunale che si era verificata l’omessa tenuta delle scritture contabili. Sui punti devoluti, la Corte territoriale – lamenta la difesa, dopo aver richiamato anche l’analisi già compiuta con l’appello – non ha fornito alcuna risposta.
2.3. Con il terzo motivo è dedotto il vizio della motivazione quanto al trattamento sanzioNOMErio.
Premesso che tale tema era restato assorbito in sede rescindente, la difesa, richiamate le doglianze svolte con l’atto di appello, sia in merito al mancato riconoscimento della circostanza attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale e sia in merito al diniego delle circostanze attenuanti generiche, segnala soprattutto l’illogicità della motivazione volta a negare la prima
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attenuante siccome essa si è basata sulla sommatoria dell’utile non versato e dei compensi versati a COGNOME, laddove, a tutto concedere, soltanto la prima voce avrebbe dovuto essere computata, per un importo (euro 95.000,00) che, comparato al passivo (euro 950,000,00), era tale da giustificare la corrispondente attenuazione della pena, tanto più che il passivo si era determiNOME prima della nomina di COGNOME a liquidatore e questi nulla aveva percepito per lo svolgimento della sua funzione.
Il Procuratore generale, all’esito della requisitoria pronunciata in udienza, ha chiesto il rigetto dell’impugnazione osservando che su entrambe le questioni demandate con la sentenza rescindente all’esame del giudice del rinvio la sentenza impugnata ha offerto completa e persuasiva motivazione: ciò, sia con riferimento all’esaustivo riscontro degli elementi costitutivi della bancarotta fraudolenta patrimoniale, sia per quanto concerne l’adeguata enucleazione degli indici sintomatici del dolo specifico della bancarotta documentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, nel suo complesso, si rivela privo di fondamento.
Per quanto concerne il primo motivo, è rilevante considerare che, nel colmare la carenza motivazionale rilevata dalla sentenza rescindente in ordine all’elemento oggettivo e a quello soggettivo della bancarotta fraudolenta per distrazione di cui al capo C), i giudici del rescissorio hanno, fra l’altr considerato che la vicenda dell’attività svolta dal coimputato (separatamente giudicato) COGNOME dopo la messa in RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, con la nomina di COGNOME quale liquidatore, si era concretata nell’utilizzazione, mediante l’accesso da remoto – allo stesso consentito dal liquidatore – da parte di COGNOME al conto 5434, acceso appunto da COGNOME e intestato a RAGIONE_SOCIALE, precedente denominazione di RAGIONE_SOCIALE (ossia la RAGIONE_SOCIALE poi fallita).
È risultato accertato che su questo conto erano affluiti i pagamenti eseguiti dai clienti in favore di quest’ultima RAGIONE_SOCIALE; conto da cui COGNOME, con il consenso di COGNOME che gli aveva fornito la password e i codici di accesso, aveva direttamente continuato a gestire il portafoglio clienti per ben quattro anni, quelli successivi al 2010, trattenendo dalle somme versate dai clienti anche l’importo corrispondente a quello che aveva ritenuto essere il suo stipendio, nonché l’importo necessario al pagamento delle rate di un suo mutuo.
I giudici del rescissorio hanno escluso in modo argomentato che potesse ritenersi giustificata la deduzione dell’imputato circa l’esigenza di non
interrompere i servizi ai clienti, con il pagamento di onerose penali, laddove, alla stregua degli elementi istruttori emersi – rilevazioni del curatore, dichiarazioni d COGNOME, quelle rese dallo stesso COGNOME nell’immediatezza, quelle rese dal testimone NOME COGNOME -, era da considerarsi che quella sorta di ingiustificabile “doppio registro” operativo nel corso della RAGIONE_SOCIALE fosse l’effetto della creazione di un sistema finalizzato a un progetto addirittura espansivo, avente come obiettivi il recupero di clienti già di COGNOME in Veneto e l’ulteriore ampliamento della clientela.
È stata questa analisi che ha condotto la Corte territoriale alla conclusione che la fattispecie distrattiva contestata era risultata dimostrata anche a carico di COGNOME, il quale aveva condiviso, adoperandosi di conseguenza, il progetto di proseguire la stessa attività sociale a nome della RAGIONE_SOCIALE, nonostante la messa in RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, affidata al suo ministero, con gli obblighi giuridici che ne erano conseguiti.
Certa la distrazione compiuta con il consapevole e volontario concorso di COGNOME, in ordine alla sua entità, essa – sulla scorta dei riscontri effettuati d curatore e, in ogni caso, non travalicando quella che i giudici del rescissorio hanno considerato la benevola e comunque prudenziale linea percentuale tracciata dal primo giudice, che avevano già acclarato il dato certo delle uscite non giustificate per euro 252.000,00 – è stata fissata nella cifra non inferiore a euro 133.200,00.
Questa cifra è stata acclarata in modo non arbitrario, né sulla scorta di parametri aleatori, ma è specificamente risultata dalla somma di due addendi accertati con adeguatezza argomentativa: ossia, il 30% del margine di utile derivante dalle operazioni compiute mediante l’abusivo prosieguo dell’attività societaria, margine non riversato nella cassa della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, pari a euro 75.600,00, e l’importo del compenso indebitamente autoassegNOMEsi da COGNOME, non inferiore a euro 57.600,00.
Circa la prospettazione del ricorrente, che reputa legittima la remunerazione a COGNOME per il suo ruolo di amministratore, va ribadito anzitutto che questi, dalla messa in RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, con la nomina di COGNOME a liquidatore, non aveva alcun titolo per compiere operazioni aventi effetti per quella RAGIONE_SOCIALE, laddove l’aveva di fatto amministrata, distraendone una parte delle risorse.
Va poi ricordato che, secondo l’inquadramento giuridico qui condiviso, integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta dell’amministratore di una RAGIONE_SOCIALE che si appropri di somme della RAGIONE_SOCIALE a titolo di pagamento per le prestazioni lavorative svolte in favore di quest’ultima, non essendo scindibile la sua qualità di creditore da quella di amministratore (Sez. F., n. 27132 del 13/08/2020,
COGNOME, Rv. 279633 – 02; Sez. 5, n. 25292 del 30/05/2012, COGNOME, Rv. 253001 – 01), tanto più ove tali compensi non siano giustificati da dati ed elementi di confronto che ne consentano una oggettiva valutazione (Sez. 5, n. 3191 del 16/11/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280415 – 01).
In modo organico si è persuasivamente precisato che configura il delitto di bancarotta per distrazione (e non quello di bancarotta preferenziale) la condotta del socio amministratore di una RAGIONE_SOCIALE di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della RAGIONE_SOCIALE, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e RAGIONE_SOCIALE, segnatamente di persone, ma anche di RAGIONE_SOCIALE di capitali, non è assimilabile né a un contratto d’opera, né a un rapporto di lavoro subordiNOME o parasubordiNOME, che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece – l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto – essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica (Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279103 – 01, anche con riferimento a Sez. U. Civ., n. 1545 del 20/01/2017, Rv. 642004 – 03, per l’estensione della tematica agli amministratori delle RAGIONE_SOCIALE di capitali).
Sul più ampio versante della determinazione del complessivo effetto distrattivo, del resto, la Corte di,appello, proprio richiamando le dichiarazioni di COGNOME, ha chiarito che la gestione amministrativa di fatto da questi continuata con il consapevole contributo di COGNOME, era stata orientata a cercare di venire a capo della sua personale situazione finanziaria dissestata, da lui stesso definita disastrosa, anche in relazione alla necessità del pagamento delle rate del proprio mutuo: e questo rilievo fornisce la misura della torsione dal corretto svolgimento dell’attività di RAGIONE_SOCIALE che il volontario comportamento di COGNOME aveva reso concretamente possibile.
In ordine all’elemento soggettivo del reato di cui al capo C), la Corte territoriale ha sottolineato che COGNOME, titolare del conto riferito alla RAGIONE_SOCIALE nel qualità di liquidatore, ne aveva regolarmente ricevuto gli estratti e quindi era stato costantemente consapevole delle condotte distrattive di COGNOME, per cui aveva concorso, non per mera negligenza, ma con comportamenti attivi, nella distrazione, avendo già concesso a COGNOME le chiavi di accesso al conto e avendo preso contezza progressiva delle operazioni compiute dall’amministratore di fatto prelevando fondi dal conto e verificato i relativi estratti, senza obiettare alcunché per il rilevante intervallo pari a un quadriennio, venendo meno ai suoi obblighi di liquidatore, come stabiliti dall’art. 2489, in relazione all’art. 2392, cod. civ.
Quindi, la motivazione fornita dai giudici del rescissorio – a fronte del fallimento della RAGIONE_SOCIALE risultata privo di poste attive, dopo che l’imputato, quale liquidatore, aveva reso possibile, avallato e coperto, condividendo il progetto di COGNOME, la continuazione non consentita dell’attività sociale per quattro anni dopo la messa in RAGIONE_SOCIALE della RAGIONE_SOCIALE, con un sistema di contabilità separata, nemmeno recepita in qualche modo dalla contabilità ufficiale, risultata del tutto mancante – si profila aver espresso la congrua, esaustiva e non illogica spiegazione del consapevole e volontario concorso di COGNOME, quale liquidatore, nella distrazione oggetto di contestazione, dopo che l’accertamento del curatore aveva fatto emergere uscite non giustificate per euro 252.000,00, pur se dai giudici del merito imputate a concreto effetto distrattivo nella minore entità pecuniaria di euro 133.200,00.
In questa prospettiva, il vulnus motivazionale rilevato nella sentenza rescindente è stato adeguatamente colmato dalla Corte territoriale, avendo essa fornito l’analizzato tessuto argomentativo, costituente base idonea a dimostrare lo sciente apporto concorsuale del liquidatore, che non ha esercitato in modo conforme a norma i suoi poteri-doveri per l’intero arco della sua carica, nella bancarotta fraudolenta per distrazione.
La prima doglianza va, pertanto, disattesa.
3. Per quanto attiene al secondo motivo, pure occorre richiamare le puntuali considerazioni offerte dalla Corte di appello, la quale – ribaditi i doveri che incombevano su COGNOME in merito alla tenuta delle scritture contabili ai sensi dell’art. 2489 cod. civ., doveri di cui l’imputato, valutata anche la sua qualificazione professionale di commercialista, è stato reputato pienamente consapevole – ha ritenuto che la condotta da lui serbata, al riguardo della bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo A), non potesse essere attratta nella mera bancarotta semplice.
In tal senso è stata sottolineata anche la totale omissione da parte sua anche degli adempimenti ulteriori stabiliti dall’art. 2490 cod. civ.: egli non aveva redatto neanche il bilancio di RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe imposto l’indicazione separata delle poste afferenti alla continuazione dell’attività sociale, incombente parimenti obliterato.
Il comportamento dell’imputato è stato ritenuto particolarmente grave, in guisa tale che l’unico scopo che lo aveva origiNOME, secondo l’argomentata analisi dei giudici del rescissorio, era stato quello di recare pregiudizio ai creditori, a c con la carenza totale di documentazione contabile, associata all’operazione di “doppio registro” suindicata, era stata sottratta ogni possibilità di far affidamento sui risultati positivi di quella ulteriore gestione, anche perché la
mancanza del rinvenimento di scritture e libri sociali per l’intero arco di tempo poliennale della RAGIONE_SOCIALE, volontariamente determinata dal liquidatore, aveva di fatto impedito la ricostruzione delle vicende dell’attività della RAGIONE_SOCIALE e crediti maturati dalla stessa nella gestione comunque proseguita.
Conseguenziale a questo comportamento del tutto inosservante dei suoi doveri messo in essere dal liquidatore, anche in merito alla tenuta delle scritture contabili, è stato l’effetto che la RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, all’atto del fallime era risultata totalmente priva di attivo.
È da rilevare, dunque, che, valutata la carenza del discorso giustificativo registrato dalla sentenza rescindente con precipuo riferimento all’elemento soggettivo della bancarotta documentale, la Corte territoriale, riesaminati gli elementi caratterizzanti della fattispecie concreta, ha ricollegato il confermato accertamento della piena consapevolezza di COGNOME dell’omissione fraudolenta degli obblighi di tenuta della scrittura contabili nel periodo di propria competenza con il dolo specifico – in capo a soggetto dotato, come si è visto, di particolare competenza professionale – di danneggiare la posizione dei creditori, a cui erano state sottratte le risorse oggetto della distrazione scaturente dall’attivit proseguita in modo parallelo, e di impedire la ricostruzione della gestione sociale per tutto il periodo della RAGIONE_SOCIALE.
L’imputato, come si trae dall’analisi svolta nella sentenza impugnata, aveva uno specifico interesse a perseguire l’obiettivo dell’impedimento della ricostruzione della gestione della RAGIONE_SOCIALE negli anni della sua RAGIONE_SOCIALE, essendo pienamente consapevole dell’incisivo vulnus inferto alle ragioni della compagine creditoria per aver consentito e favorito la gestione parallela da parte di COGNOME della struttura organizzativa della RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE dietro la veste della RAGIONE_SOCIALE, che aveva sortito il completo emungimento di ogni risorsa attiva di cui la RAGIONE_SOCIALE poteva disporre, ivi inclus l’oggetto della distrazione sub C).
Lungi dal limitarsi a una motivazione di stile, la Corte di appello ha spiegato che, pur essendo emersa anche la circostanza, per indicazione di COGNOME, che la documentazione contabile era stata consegnata a COGNOME via mail, quale liquidatore, era poi risultato che quest’ultimo non aveva fatto rinvenire alcuna scrittura contabile e, per il poliennale lasso corrispondente alla RAGIONE_SOCIALE, aveva consapevolmente omesso ogni adempimento contabile riconnesso alla sua funzione, stante l’andamento nettamente irregolare della gestione della RAGIONE_SOCIALE in quel periodo: e, ciò, all’unico scopo logicamente individuabile nelle condizioni date, ossia di recare pregiudizio alle ragioni creditorie.
Così argomentando, i giudici del rinvio hanno fornito una motivazione ben radicata nelle evidenze probatorie emerse e non illogica, nel solco del principio di
diritto secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, il quale, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a far emergere la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304 – 01).
Per il resto, quanto alla configurazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale, l’omessa tenuta ab initio delle scritture contabili obbligatorie per legge, da un lato, e la distruzione, l’occultamento, la sottrazione e la mancata consegna delle stesse al curatore, dall’altro, si equivalgono, con l’effetto che con non è necessario accertare quale di queste ipotesi si sia in concreto verificata se è comunque acclarata la sussistenza di una di esse ed è inoltre acquisita la dimostrazione in capo all’agente dello scopo di recare pregiudizio ai creditori e rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari (Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271847 – 01; Sez. 5, n. 47923 del 23/09/2014, COGNOME, Rv. 261040 – 01).
Il secondo motivo è, quindi, risultato infondato.
Non meritano considerazione le questioni dedotte con il terzo motivo.
4.1. Per quanto attiene alla critica inerente al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 219, terzo comma, legge fall., la Corte di appello, dopo aver quantificato in euro 133.200,00 l’importo della distrazione oggetto del reato sub C), ha escluso in modo argomentato la giuridica possibilità di riconoscere all’imputato la circostanza attenuante di aver cagioNOME un danno patrimoniale di speciale tenuità, posto in relazione il suddetto importo al passivo fallimentare, quantificato in euro 950.000,00; ciò, in relazione anche alla riscontrata, totale assenza di risorse attive nella massa fallimentare finalizzata a soddisfare le ragioni dei creditori.
I giudici del merito hanno escluso che la condotta di COGNOME, pur considerata la sola bancarotta patrimoniale, avesse sottratto alla garanzia creditoria una quota minimale di risorse, tale da legittimare il riconoscimento della circostanza attenuante.
L’assunto si concilia con il condiviso principio di diritto secondo cui, in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo all’attenuante della particolar tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, comma 3, cit., deve essere posto in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si
fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277658 – 01; Sez. 5, n. 19981 del 01/04/2019, COGNOME, Rv. 277243 – 01).
A fronte dell ‘ adeguata motivazione resa nella sentenza impugnata, le prospettazioni del ricorrente si sostanziano in una – non consentita in sede di legittimità – prospettazione dal contenuto rivalutativo, essendo volte a dedurre, attraverso una rilettura delle risultanze probatorie, una diversa e minore entità dell ‘importo distratto.
4.2. In ordine al confermato diniego delle circostanze attenuanti generiche, la Corte del rescissorio ha spiegato che i negativi trascorsi giudiziali di COGNOME già condanNOME per omissioni nel versamento dei tributi e dei contributi e per bancarotta fraudolenta in concorso – e l ‘ assenza di elementi positivi per la sua posizione hanno impedito il riconoscimento di queste attenuanti.
È stato anche evidenziato che il fatto che l ‘imputato fosse commercialista e, come tale, dotato di qualificazione professionale specifica – ha connotato le violazioni della legge penale accertate a suo carico per un dolo di particolare intensità, confermato dalla sostanza delle giustificazioni addotte da COGNOME, deboli e inconsistenti.
A fronte di questa adeguata motivazione il ricorrente si è limitato al mero richiamo della doglianza per come svolta in precedenza, senza alcuna compiuta argomentazione di contrasto logico -giuridico del discorso giustificativo offerto nella sentenza: carenza che si riscontra in modo sovrapponibile nello stesso atto di appello richiamato dal ricorrente, per modo che nemmeno ove si avallasse la critica per relationem così addotta si rinverrebbe un qualche elemento di concreto e percepibile contrasto al ragionamento giudiziale oggetto di verifica.
4.3. Questi rilievi impongono di ritenere inammissibile il terzo motivo.
Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.
Consegue, ai sensi dell ‘ art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 5 marzo 2024
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