Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 11956 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 11956 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a VICENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 08/02/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che si è riportata alla requisitoria già depositata, concludendo per il rigetto del ricorso. udito il difensore dell’imputato, AVV_NOTAIO, il quale ha esposto i motivi di gravame, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza della Corte d’appello di Venezia che, in parziale riforma del provvedimento reso in primo grado, ha affermato la responsabilità di NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta -di cui al capo 4 b) della rubrica- per avere, in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita con sentenza del 12.04.2012), distratto beni in favore di tale società.
Secondo il capo d’imputazione, la contestata distrazione sarebbe avvenuta per il tramite di un contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e la fallita RAGIONE_SOCIALE, di cui l’imputato era amministratore di fatto, avente a oggetto il noleggio di undici mezzi (motrici) detenuti in leasing dalla RAGIONE_SOCIALE A fronte di un canone mensile di leasing di circa 13.000 euro, il canone effettivamente corrisposto è stato di circa 800 euro, con conseguente danno per i creditori.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, affidando le proprie censure ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di vizio di motivazione in relazione all’elemento oggettivo del reato contestato. La Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato la natura fittizia del contratto di sublocazione tra le due società, ciò che rendeva superfluo esplicitare in una scrittura privata l’oggetto e la causa del contratto stesso. Peraltro, avendo la Corte ritenuto che l’imputato fosse al contempo amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e amministratore di diritto della RAGIONE_SOCIALE, risulta evidente la superfluità di una scrittura privata, atteso che chi contrae con se stesso non alcun bisogno di esplicitare la volontà sottostante al contratto stesso. Alle eccezioni, specificamente dedotte in appello, la Corte territoriale non avrebbe fornito replica alcuna. Tra i tanti profili dedotti in appello e immotivatamente disattesi dai Giudici d’appello figurano 1) il tema della mancata valorizzazione della relazione fallimentare, nella quale non compaiono riferimenti alla distrazione delle 11 motrici 2) il tema delle fatture riversate in atti, da cui risultava l’importo esatto dei canoni versati per ciascun mezzo 3) il tema dell’identità degli spazi fisici occupati dalle due società: se davvero le parti avessero voluto porre in essere una manovra distrattiva, tesa a consentire alla RAGIONE_SOCIALE di usare indebitamente le motrici date in leasing alla RAGIONE_SOCIALE, esse avrebbero certo potuto approfittare della contiguità di luoghi, senza necessità di formalizzare un accordo.
Col secondo motivo, si deduce vizio di motivazione, per travisamento di prova, in relazione all’elemento soggettivo del reato contestato, per non essersi la Corte d’appello confrontata con le riflessioni espresse dalla difesa sul contenuto della consulenza tecnica del Pubblico ministero, che aveva esposto perplessità in merito alla ricorrenza dell’elemento soggettivo.
Col terzo motivo, lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’esclusione della circostanza attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità, per avere la Corte fondato tale esclusione sulla complessiva condotta dell’imputato e non sul danno oggettivamente causato.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO, si è riportata alle conclusioni trasmesse sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, chiedendo il rigetto del ricorso. La difesa dell’imputato ha depositato memoria di replica alle conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, ponendosi le censure difensive in netto contrasto con i consolidati principi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte, che risultano correttamente applicati al caso di specie. Inoltre, le eccezioni difensive reiterano integralmente argomenti già dedotti in appello e disattesi dalla Corte territoriale con motivazione esente dai contestati vizi, come si passa a illustrare.
Gioverà preliminarmente ricordare che, in caso di bene pervenuto all’impresa a seguito dì contratto di leasing, qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente (si veda, al riguardo, Sez. 5, n. 44350 del 17/06/2016, COGNOME, Rv. 268469, dove si chiarisce che assume rilievo, a tal fine, la disponibilità di fatto, in capo all’utilizzatore, dei beni successivamente distratti, dal momento che la sottrazione del bene comporta, in ogni caso, un pregiudizio per la massa fallimentare che viene gravata dell’onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione, ai sensi dell’art. 79 I. fall.; nello stesso senso, v. Sez. 5, n. 44898 del 01/10/2015, Cantore, Rv. 265509).
Tanto premesso, si osserva che l’eccezione difensiva che insiste sulla tesi del mero avvicendamento nella titolarità dei contratti di leasing tra padre (NOME COGNOME) e figlio (l’imputato, NOME COGNOME), nonché quella relativa alla natura fittizia del contratto di sublocazione, risultano efficacemente smentite, avendo i giudici del merito adeguatamente valorizzato il dato -emerso da incontroversi atti di causa- dell’evidente sproporzione tra il canone di locazione concordato tra la COGNOME RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (1.500 euro mensili) e quello concordato con la concedente RAGIONE_SOCIALE (12.494 euro mensili).
D’altro canto, l’argomento della natura fittizia del contratto di sublocazione (finalizzato, in tesi difensiva, ad impedire l’apprensione dei beni da parte della società locatrice), di cui il giudice d’appello ha comunque ricordato l’illiceità, e l’insistenza del ricorrente sulla inessenzialità di una scrittura privata a riprova della natura simulata del contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, sono profili del tutto recessivi rispetto alla configurabilità della distrazione, che è invece l’unico profilo a rilevare in questa sede. E, a tal proposito, la Corte territoriale ha evidenziato come l’operazione posta in essere dall’imputato, in qualità di amministratore di fatto della fallita RAGIONE_SOCIALE, abbia determiNOME non soltanto una perdita economica -in vista della segnalata sproporzione dei canoni- per quest’ultima, ma anche la distrazione dei trattori stradali, cosi da determinare un duplice danno per il ceto creditori della fallita.
Tanto chiarito, alcun vizio motivazionale inficia la tenuta dell’impugnata sentenza, avendo la Corte territoriale operato buon governo degli orientamenti di legittimità in materia di reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, sottrazione di beni oggetto di contratto di “leasing”, e correlativo pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore del medesimo bene (cfr., ad es., Sez. 5, n. 33380 del 18/07/2008, COGNOME, Rv. 241397 – 01; Sez. 5, n. 21933 del 17/04/2018, COGNOME, Rv. 272992: «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in caso di bene pervenuto all’impresa a seguito di contratto di “leasing”, qualsiasi manomissione del medesimo che ne impedisca l’acquisizione alla massa o che comporti per quest’ultima un onere economico derivante dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione integra il reato poiché determina la distrazione dei diritti esercitabili dal fallimento con contestuale pregiudizio per i creditori a causa dell’inadempimento delle obbligazioni assunte verso il concedente». Sez. 5, n. 15403 del 13/02/2020, Ceravolo, Rv. 279212 – 01).
Il secondo motivo è infondato, avendo eluso il ricorrente un effettivo e critico confronto con le argomentazioni espresse dai giudici di merito (v. Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rovinelli, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del
18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838- 01), i quali, in entrambi i gradi di giudizio, adottando gli stessi criteri utilizzati nella valutazione delle prove (ex multis, cfr. Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01, per il controllo di legittimità sul vizio di motivazione in caso di cd. “doppia conforme”), hanno correttamente ritenuto dimostrata la volontà del COGNOME di favorire la RAGIONE_SOCIALE a danno della fallita RAGIONE_SOCIALE, non senza prima aver esplicato il ruolo di amministratore di fatto svolto dall’imputato.
In altre parole, le cointeressenze dell’imputato -quale amministratore di fatto della fallita- rispetto ad altre imprese coinvolte (la RAGIONE_SOCIALE), unitamente alla perdita economica derivante dalle condotte del COGNOME (di cui si è detto retro, sub 1), sono state considerate dalla Corte territoriale alla stregua di chiari «indici di fraudolenza», indicativi sia della sussistenza dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo sia del dolo generico (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
In ogni caso, in assenza di una chiara smentita emergente dagli elementi probatori acquisiti, i giudici del merito hanno coerentemente desunto dalla mancata disponibilità dei beni in seno alla fallita società la prova del disegno distrattivo e del dolo generico richiesto dalla fattispecie incriminatrice (Sez. 5, n. 19896 del 07/03/2014, Ranon, Rv. 259848: fattispecie relativa a beni concessi in “leasing” in relazione ai quali la società concedente non si era insinuata nel passivo fallimentare).
Nel merito, la censura difensiva -che reitera l’argomento del parere fornito dal consulente tecnico del Pubblico ministero- aspira in termini generici alla rivalutazione delle risultanze istruttorie e del fatto, preclusi in sede.di legittimità. Posto che siffatta premessa è fuori discussione, era onere del ricorrente indicare la sorte dei beni stessi. Al riguardo, va ribadito che la responsabilità per il delitto di bancarotta per distrazione richiede l’accertamento della previa disponibilità, da parte dell’imputato, dei beni non rinvenuti in seno all’impresa (Sez. 5, n. 7588 del 26/01/2011, COGNOME, Rv. 249715). Una volta raggiunta tale dimostrazione, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, ad opera dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti (Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, COGNOME, Rv. 255385), in quanto le condotte descritte all’art. 216, comma primo, n. 1 I. fall., hanno (anche) diretto riferimento alla condotta infedele o sleale del fallito nel contesto della garanzia che su di lui grava in vista della conservazione delle ragioni creditorie. È in funzione di siffatta garanzia che si spiega l’onere dimostrativo posto a carico del fallito, nel caso di mancato rinvenimento di cespiti da parte della procedura. Trattasi, invero, di
sollecitazione al diretto interessato perché fornisca la dimostrazione della concreta destinazione dei beni o del loro ricavato, risposta che (presumibilmente) soltanto egli, che è (oltre che il responsabile) l’artefice della gestione, può rendere (Sez. 5, n. 7588 del 2011 cit.).
In altri termini, a fronte del sicuro ingresso nel patrimonio dell’imprenditore di componenti attive e dell’assoluta impossibilità di ricostruire la destinazione delle stesse, del tutto ragionevolmente si può desumere che queste ultime siano state sottratte alla garanzia dei creditori, nella piena consapevolezza della concreta pericolosità di tali condotte in vista del soddisfacimento delle loro pretese. Ciò non implica affatto un ribaltamento dell’onere probatorio, ma la sollecitazione a fornire elementi idonei a scardinare, introducendo un ragionevole dubbio, le conclusioni altrimenti univocamente raggiungibili sul piano logico.
Non è però dato riscontrare, nel motivo in esame, una siffatta sollecitazione. È appena il caso di sottolineare che il dubbio ragionevole di cui all’art. 530, primo comma, cod. proc. pen. deve identificarsi in una ricostruzione della vicenda non solo astrattamente ipotizzabile in rerum natura, ma la cui plausibilità nella fattispecie concreta risulti ancorata alle risultanze processuali, assunte nella loro oggettiva consistenza. È dunque necessario che il dubbio ragionevole risponda non solo a criteri dotati di intrinseca razionalità, ma sia suscettibile di essere argomentato con ragioni verificabili alla stregua del materiale probatorio acquisito al processo (Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, Rv. 272430).
Il terzo motivo è manifestamente infondato, anche in tal caso per mancato confronto, critico ed effettivo, con la motivazione dell’impugnata sentenza. Il riferimento alla condotta va infatti apprezzato nel contesto delle molteplici notazioni, operate dalla Corte territoriale, alla complessiva e articolata condotta fraudolenta dell’imputato, che ha prodotto, quale risultato, un danno giudicato non di lieve entità. In parte motiva, la Corte d’appello ha fatto precedere all’esclusione dell’invocata circostanza attenuante un’adeguata disamina relativa sia alla perdita economica subita dalla fallita società sia alla distrazione di beni (trattori stradali) non più nella sua disponibilità.
Del resto, anche dal punto di vista puramente logico, la condotta è collegata al danno prodotto, ragion per cui la motivazione dell’impugnata sentenza, nel considerare entrambi i predetti elementi rilevanti ai fini dell’esclusione dell’applicazione dell’art. 216, terzo comma, I. fall., non mostra alcun profilo di censurabilità (cfr. ad es., Sez. 5, n. 12330 del 02/11/2017, dep. 2018, Di Niso, Rv. 272663 – 01, «in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219,
comma 3, legge fallimentare, deve essere posto in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti» corsivo nostro; Sez. 5, n. 5300 del 16/01/2008, COGNOME Biase, Rv. 239118 – 01, sulla sufficienza, al fine dell’esclusione della circostanza attenuante di cui all’art. 219, comma terzo, I. fall., della distrazione di beni di rilevante entità, idonea di per sé ad incidere sul riparto).
4. Il Collegio rigetta, pertanto, il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 20/12/2023
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Il Consigliere estensore