Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2429 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2429 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 31/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a DESENZANO DEL GARDA il 30/10/1967
avverso la sentenza del 28/06/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 28 giugno 2024, la Corte d’appello di Milano ha in parte riformato la decisione resa in primo grado nei confronti di NOME COGNOME il quale era stato condannato per il concorso nei delitti di bancarotta fraudolenta documentale (capo b1 della rubrica) e patrimoniale (capo b4), commessi, secondo la prospettazione accusatoria, in qualità di amministratore di diritto, dal 21 marzo 2017 al momento della dichiarazione di fallimento (intervenuta con sentenza del 22 settembre 2017), della RAGIONE_SOCIALE La Corte d’appello ha riqualificato il delitto di cui al capo b1) della rubrica in quello di bancarotta documentale semplice; di conseguenza, la pena è stata rideterminata in anni due di reclusione. È stata inoltre revocata la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici e ridotta la durata di altre pene accessorie, commisurate alla durata della pena principale.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai tre motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
2.1 Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 217, secondo comma, I. fall., per avere la Corte territoriale affermato la penale responsabilità dell’imputato riferendo la condotta di mancato controllo di libri e scritture contabili a un periodo antecedente la carica di amministratore di diritto. Si osserva inoltre che, nel breve periodo in cui il ricorrente ha amministrato la fallita, egli non si è sottratto ad alcun adempimento, peraltro richiedendo tempestivamente, come notato dalla stessa Corte d’appello, il fallimento.
2.2 Col secondo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 42 cod. pen. e 217, secondo comma, I. fall., non potendosi ravvisare, nella condotta dell’imputato, la colpa grave richiesta dalla fattispecie incriminatrice e dalla giurisprudenza di questa Corte.
2.3 Con il terzo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 216 I. fall., 111, terzo comma, Cost., e 6 Cedu, per avere la Corte territoriale affermato la penale responsabilità dell’imputato senza tener conto dell’infimo valore del bene (un’auto Fiat Punto) asseritamente distratto e, anzi, del valore negativo dello stesso, posto che l’auto in questione era gravata da sanzioni amministrative. La motivazione è illogica, anche tenendo conto che il ricorrente è stato assolto dall’imputazione per bancarotta distrattiva con riguardo ai beni di un’altra società (RAGIONE_SOCIALE da lui amministrata, beni di valore economico ben più consistente rispetto a quello dell’auto di cui al capo di imputazione b4). Si contesta, inoltre, l’omessa motivazione in relazione alla
ritenuta irreperibilità dell’imputato, che era stato cercato dal curatore in un luogo diverso da quello di residenza. I giudici di merito hanno quindi tratto dall’incolpevole mancata comparizione dell’Abate errate conclusioni, evitando peraltro di fornire ragioni malgrado la specifica censura proposta con atto d’appello.
Sono state trasmesse a) le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto pronunciarsi l’inammissibilità del ricorso; b) memoria di replica alla requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale nell’interesse dell’imputato, e un estratto delle sanzioni amministrative gravanti sull’auto oggetto di asserita distrazione.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo è infondato, per le ragioni di seguito illustrate.
Va preliminarmente puntualizzato, che la condotta penalmente rilevante ai sensi dell’art. 217 secondo comma, I. fall. ( il fallito che, durante i tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento ovvero dall’inizio dell’impresa, se questa ha avuto una minore durata, non ha tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li ha tenuti in maniera irregolare o incompleta) si riferisce ai tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento e, dunque, nel caso di specie, agli anni 2014-2017.
Operata questa precisazione, va rilevato che la Corte territoriale ha rimarcato, non illogicamente, che il periodo, pur breve, in cui il ricorrente ha ricoperto la carica di amministratore di diritto ricadeva nei mesi immediatamente precedenti la dichiarazione di fallimento; con tale passaggio motivazionale – ineludibile, ai fini di un’efficace contestazione dell’ascrizione della responsabilità dell’imputato ex art. 217, secondo comma, I. fall. – la difesa non si confronta affa
Non può sorvolarsi, invero, sulla natura del delitto in parola che, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, è reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, a prescindere dal concreto pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie. Ne sia riprova il fatto che l’obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno soltanto allorché la cessazione delle attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute (Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Martino, Rv. 275261 – 01; più di recente, sulla compatibilità tra principio di offensività in astratto e modello legislativo del reato di pericolo presunto, e sulle condizioni necessarie affinché le forme di tutela anticipata volute dal legislatore non entrino
in rotta di collisione con l’art. 25, secondo comma, Cost., v. Corte cost. n. 139 del 2023).
In altre parole, la fattispecie incriminatrice di bancarotta semplice documentale ha a oggetto un reato di pura condotta, che punisce, cioè, il comportamento omissivo del fallito, il quale, venendo meno al mero inadempimento di un precetto formale (il comportamento imposto all’imprenditore dall’art. 2214 c.c.), non abbia tenuto le scritture contabili, al di là del verificarsi in concreto, di un danno per i creditori (Sez. 5, n. 44454 del 18/05/2012, Giberna, n.m., con riferimento a Rv. 215985). La ratio di tale prospettiva ricostruttiva è da individuarsi nella scelta ordinamentale di tutelare «l’esigenza di una corretta informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa fallita» (Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, COGNOME, Rv. 268867, in motivazione), ciò che spiega – sul versante dell’elemento oggettivo del reato – la punibilità di una condotta avente a oggetto il mero inadempimento di un precetto formale.
2. Il secondo motivo è, del pari, infondato. Quanto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto in parola, deve ritenersi inconferente il richiamo operato dalla difesa, al principio enunciato da Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015, COGNOME, Rv. 264743 – 01 («nel reato di bancarotta semplice, la condotta della mancata tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata da colpa grave»). La “negligenza o superficialità”, ravvisata dalla Corte distrettuale (v. p. 26 motivazione) nella condotta dell’imputato, non è stata riferita a un ritardo nella richiesta di dichiarazione di fallimento, avendo i giudici dell’appello rimarcato, anzi, il tempestivo attivarsi dell’imputato in tal senso. Quel che la Corte d’appello ha sottolineato criticamente, come già ricordato sub. 1, è l’omesso controllo sulla tenuta della documentazione contabile e societaria (v. p. 24 motivazione dell’impugnata sentenza, in cui, diversamente da quanto lamentato dal ricorrente, i giudici d’appello non si riferiscono soltanto al mancato controllo delle scritture per l’epoca precedente l’assunzione della circa, insistendo bensì sull’aver omesso, l’Abate, “quantomeno di verificare l’operato dei consulenti esterni circa la tenuta della contabilità per l’epoca di mantenimento della carica”).
E, rispetto a tale omissione, l’ordinamento reagisce con una posizione di indifferenza rispetto al grado di attribuibilità psichica della condotta, che può essere sostenuta dal dolo ovvero dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili obbligatorie per legge (v. la già citata Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, COGNOME, Rv. 268867, con rinvio, in motivazione, a Sez. 5, n. 48523 del 28/12/2011, COGNOME; Sez. 5, n. 6769 del 23/02/2006, COGNOME; Sez. 5, n. 8081 del
25/07/1991, Minuto. Cfr. anche Sez. 5, n. 32051 del 24/06/2014, COGNOME, Rv. 260774). Le ragioni di tale “indifferenza” dell’ordinamento derivano, senza significative soluzioni di continuità, da quanto già esposto (sub 1) a proposito del rilievo prioritario attribuito dal sistema alla necessità di salvaguardare la corretta informazione sulle vicende patrimoniali e contabili dell’impresa fallita.
3. Il terzo motivo è fondato. Dalla motivazione dell’impugnata sentenza non si desumono, neppure implicitamente, adeguate ragioni circa il pericolo rappresentato dall’asserito atto distrattivo per l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 – 01: «il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare»)
La Corte d’appello ha ricordato come dalla relazione del curatore fallimentare fosse emersa la presenza, nel patrimonio della società, di una vettura venduta dall’imputato a una terza persona a un prezzo vile (p. 15 della motivazione). Si è altresì puntualizzata l’irrilevanza della circostanza, allegata dalla difesa, secondo cui l’acquirente della vettura ne pagava sanzioni amministrative e bolli per un valore anche superiore a quello del bene (p. 29 della motivazione).
Non si intravedono, né nell’uno né nell’altro brano motivazionale, argomenti utili a individuare almeno uno degli “indici di fraudolenza”, che la giurisprudenza consolidata di questa Corte ritiene necessari a comprovare tanto l’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo quanto il dolo generico, oltre che necessari a dar corpo alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01). Coglie allora nel segno, la difesa, nel censurare il vizio di motivazione relativo all’asserita distrazione di un’auto d’infimo valore, gravata da sanzioni amministrative, che l’acquirente provvedeva a pagare: la sentenza impugnata non affronta né il problema del pericolo del pregiudizio concreto per il ceto creditorio dell’azione peraltro, isolata – ascritta al ricorrente, né approfondisce il versante psicologico dell’addebito.
Al proposito, gioverà ribadire che la norma incriminatrice (art. 216, primo comma, n. 1, I. fall.) richiede che l’agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo, al limite remoto, ma pur sempre concreto. Come ricordato recentemente da questa Corte (Sez. 5, n. 31702 del 17/05/2023, n.m.), il principio testé esposto
risulta dalla puntualizzazione contenuta nella motivazione di Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 280550, secondo cui, per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale, è necessaria la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice (come affermato anche da Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 263800-263805). Sicché l’elemento soggettivo di cui è parola non si esaurisce affatto nella rappresentazione e nella volizione del fatto distrattivo, investendo bensì la possibilità che l’agente sia in condizione di prefigurarsi la pericolosità di tale fatto per la preservazione della garanzia patrimoniale dei creditori.
Nel caso di specie, l’azione addebitata, per le caratteristiche intrinseche che l’hanno connotata (vendita di un’auto -peraltro gravata da sanzione amministrative- a un prezzo vile, come risulta dalla sentenza impugnata) appare decisamente eccentrica rispetto alla cd. “zona di rischio penale”, ossia quel parametro spazio-temporale entro il quale l’apprezzamento di uno stato di crisi dell’impresa, conosciuto dall’agente, è destinato ad orientare l’interpretazione di ogni iniziativa di distrazione dei beni da parte di quest’ultimo (parametro che vale a escludere la rilevanza penale della condotta quando l’azione addebitata, per le sue caratteristiche intrinseche, non sia idonea ad esporre a pericolo il patrimonio dell’impresa e non sia collocabile in un contesto di condotte che abbiano determinato il dissesto: Sez. 5, n. 18517 del 22/02/2018, Lapis, Rv. 273073 01).
Per i motivi fin qui illustrati, il Collegio annulla la sentenza impugnata limitatamente alla fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla fattispecie di bancarotta fraudolenta distrattiva, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma, il 31/10/2024 Il consigliere estensore
Il presidente