Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5961 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5961 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME, nato a Teglio il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 5 giugno 2023 della Corte d’appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; letta la memoria depositata il 12 dicembre 2023 dall’AVV_NOTAIO, nell’interesse del ricorrente, con la quale, in replica alle conclusioni rassegnate dal
Procuratore generale, ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Oggetto dell’impugnazione è la sentenza del 7 giugno 2023, con la quale la Corte d’appello di Milano, confermando, sostanzialmente, la condanna
L/L.
pronunciata in primo grado (riformata solo quanto al profilo della sussistenza della recidiva e del connesso trattamento sanzionatorio), ha ritenuto NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di titolare della ditta individuale “RAGIONE_SOCIALE“, dei reati di cui agli artt. 223, comma 1, in relazione all’art. 216 comma 1, n. 1) (per aver distratto sei autoveicoli); 223 comma 2, n. 2, I. fall. (per aver cagionato con dolo il fallimento della sua impresa individuale omettendo sistematicamente il pagamento dei debiti erariali) e 217, comma 2, I. fall. (per aver omesso di tenere i libri e le altre scritture contabili prescr dalla legge).
Il ricorso è proposto dall’imputato e si articola in due motivi d’impugnazione.
2.1. Il primo, formulato sotto il profilo della violazione di legge (in relazione agli artt. 216 e 223 I. fall.), attiene al profilo soggettivo dei reati e deduce:
quanto alla condotta distrattiva, che la Corte territoriale avrebbe fondato il suo giudizio sul dato formale dell’iscrizione dei sei autoveicoli (oggetto di contestazione) nel PRA. Mancherebbe, quindi, la prova tanto di una diversa destinazione impressa a tali beni, quanto, a monte, di una piena consapevolezza della loro appartenenza al patrimonio sociale, perché già non esistenti al momento della costituzione dell’impresa individuale;
quanto, all’altra ipotesi di bancarotta, da un canto andrebbero esclusi i debiti maturati successivamente alla cessazione dell’attività d’impresa; dall’altro, mancherebbe la prova di una effettiva volontà di cagionare il fallimento, in quanto la condotta contestata (l’omesso pagamento dei debiti erariali) fu resa necessaria dalle gravissime difficoltà economiche in cui versava l’impresa a seguito dell’inadempimento di uno dei debitori dell’impresa;
2.2. Il secondo motivo attiene al trattamento sanzionatorio e deduce che l’istanza di sostituzione della pena detentiva sarebbe stata rigettata sulla scorta di una motivazione illogica e carente, in mancanza della necessaria acquisizione di informazioni tramite l’ufficio esecuzione penale esterna.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorrente, per come si è detto, contesta, con il primo motivo di ricorso, tanto l’esistenza di una consapevole volontà distrattiva, quanto l’intenzione di causare il fallimento.
Entrambe le censure sono infondate.
Quanto al primo profilo, va premesso che l’imprenditore individuale risponde delle obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività economica con tutti i suoi beni, presenti e futuri (art. 2740 cod. civ.), destinati, intrinsecamente, alla
soddisfazione delle pretese creditorie. Destinazione che, conseguentemente, impone all’imprenditore l’adempimento dei medesimi doveri che incombono, in capo all’amministratore, in relazione al patrimonio societario. Ebbene, il ricorrente non contesta, neanche in questa sede, la pregressa disponibilità dei sei autoveicoli, ma si limita solo a dedurre che sarebbero stati acquistati in epoca antecedente all’apertura della ditta individuale e che non sarebbero stati più disponibili già dal 2007. Senza però sostanziare tale allegazione con alcuna prova documentale, tanto più che l’attività imprenditoriale risulta iniziata nel gennaio 2006, quindi in data antecedente all’invocata dismissione. E, ove l’atto distrattivo consista, in generale, nell’occultamento di beni sociali (non rinvenuti dal curatore al momento della redazione dell’inventario), la prova della distrazione o dell’occultamento può essere desunta anche dalla mancata dimostrazione, da parte dell’imprenditore, della loro destinazione al soddisfacimento delle esigenze della società o al perseguimento dei relativi fini (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 2016, Rv. 267710; Sez. 5, n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385).
Quanto al secondo fatto di bancarotta, la Corte territoriale ha dato atto dell’esistenza di un sistematico inadempimento degli obblighi tributari e previdenziali, consapevolmente protrattosi fin dalla costituzione della ditta individuale, in quanto esplicitamente posto in essere al dichiarato fine di autofinanziare, in danno dell’Erario, l’esercizio dell’attività economica, pagando solo i dipendenti e i fornitori.
Ebbene:
la preesistenza di una causa in sé efficiente del dissesto (quanto alle dedotte gravissime difficoltà economiche in cui versava l’impresa a seguito dell’inadempimento di un debitore) e, quindi, il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., non è circostanza idonea ad interrompere il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e il successivo fallimento della società (Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189) e, con esso, il perfezionamento del reato;
la soggettiva destinazione della provvista necessaria per il pagamento dei debiti erariali (al pagamento dei dipendenti e fornitori) è circostanza irrilevante ai fini del perfezionamento del reato contestato che, sotto il profilo soggettivo, presuppone solo che alla consapevolezza dell’omissione, nei suoi aspetti naturalistici e di condotta antidoverosa (in concreto neanche contestata), si accompagni la prevedibilità del dissesto come effetto della condotta posta in essere (Sez. 5, n. 45672 del 01/10/2015, NOME, Rv. 265510); circostanza quest’ultima logicamente desunta dalla particolare gravosità delle azioni di
riscossione erariale alla quale l’imprenditore si sarebbe inevitabilmente esposto a seguito del protratto inadempimento.
Quanto al profilo “quantitativo” (dal 2013 sarebbe cessata ogni attività economica, sino al fallimento, per cui i debiti maturati successivamente al 2013 non potrebbero essergli attribuiti), le deduzioni difensive sono generiche (in quanto rimaste allo stato di mere allegazioni) e, comunque, irrilevanti ai fini del perfezionamento del reato.
Ad identiche conclusioni anche con riferimento al secondo motivo di censura.
La Corte ha dato atto, analiticamente, delle ragioni per le quali non ha accolto l’istanza di applicazione della detenzione domiciliare sostituiva, formulata dal difensore in sede di conclusioni scritte, evidenziando come le modalità indicate (in territorio estero e con allontanamento dal domicilio per circa quattordici ore giornaliere) fossero radicalmente incompatibili con il regime normativo della sanzione e con i necessari controlli ai quali l’esecuzione deve essere sottoposta.
Il ricorrente non solo non si confronta con tale motivazione (nulla argomentando in ordine ai profili di criticità evidenziati dalla Corte), ma si limita a prospettare la necessità di eventuali ulteriori e non meglio specificati accertamenti presso l’ufficio esecuzione penale esterno. E tanto rende la censura generica e inconferente.
D’altronde, la sospensione del processo dopo la lettura del dispositivo, al fine di acquisire informazioni utili a decidere sulla sostituzione della pena detentiva ed a scegliere quella sostitutiva più adeguata al caso, ai sensi dell’art. 545-bis, comma 2, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 31 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, presuppone una valutazione discrezionale del giudice, il cui esercizio, se adeguatamente motivato, non è sindacabile nel giudizio di legittimità (Sez. 6, n. 43263 del 13/09/2023, Lo Monaco, Rv. 285358).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il Così deciso il 19 dicembre 2023
liere estensore Il
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Il Presidente