Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26839 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26839 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 01/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato a Sant’Agostino il 14/09/1953
COGNOME NOME nato a Cento il 27/01/1958
avverso la sentenza del 01/10/2024 della CORTE DI APPELLO DI BOLOGNA
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il ricorso del ricorso; udito l’Avvocato NOME COGNOME in qualità di sostituto processuale dell’Avvocato NOME COGNOME che si è riportata ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento dello stesso; vvocato NOME COGNOME che si è riportato ai motivi di ricorso e ne ha udito l’A chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza dell’1 ottobre 2024 la Corte di Bologna ha parzialmente riformato la sentenza di condanna del 9 novembre 2020 pronunciata dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Modena nei confronti di NOME COGNOME e di NOME COGNOME COGNOME in relazione alle imputazioni loro rispettivamente ascritte
nei procedimenti contrassegnati dai numeri di registro generale 7366/2018 (Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE) e 9831/2014 (Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE‘); segnatamente, quanto a NOME COGNOME, in relazione al procedimento n. 7366/2018 (Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE), l’ha assolto dal reato di cui al capo a), per non aver commesso il fatto, ha dichiarato non doversi procedere per i reati di cui ai capi b) e c), per intervenuta prescrizione, e ha revocato la confisca disposta in relazione al reato di cui al capo c), confermando l’affermazione della sua responsabilità civile per il fatto di cui al capo b) (bancarotta preferenziale), mentre, in relazione al procedimento n. 9831/2014 (Fallimento RAGIONE_SOCIALE), ha confermato la condanna come in precedenza inflittagli, rideterminando, tuttavia, la pena principale complessivamente irrogatagli in anni due e mesi otto di reclusione e riducendo la durata delle pene accessorie fallimentari in misura corrispondente; quanto ad NOME COGNOME in relazione al procedimento n. 7366/2018, ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui al capo d), per intervenuta prescrizione, con revoca delle statuizioni civili, mentre, in relazione al procedimento n. 9831/2014, ha confermato la condanna inflittagli per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale in concorso con NOME COGNOME rideterminando la pena principale complessivamente irrogatagli in anni uno e mesi otto di reclusione e riducendo la durata delle pene accessorie fallimentari in misura corrispondente, senza, tuttavia, concedergli la sospensione condizionale della pena in ragione dei suoi plurimi precedenti penali per reati economici.
I fatti oggetto del presente sindacato di legittimità sono, dunque: 1) quanto al procedimento n. 7366/2018, quelli di cui al capo b), di cui deve rispondere il solo NOME COGNOME ai soli effetti della responsabilità civile, ossia, il pagamento privilegiat o, tramite compensazione, di crediti vantati dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE‘; 2) quanto al procedimento n. 9831/2014, quelli di distrazione e dissipazione in danno della RAGIONE_SOCIALE, posti in essere da NOME COGNOME, nella qualità di amministratore di fatto della stessa, e da NOME COGNOME in qualità di concorrente extraneus .
Hanno proposto ricorso per cassazione, tramite i rispettivi difensori e con distinti atti d’impugnativa, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. Il ricorso di NOME COGNOME consta di quattro motivi (enunciati secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.).
-Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 216 L.F. e il vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta qualifica di amministratore di fatto della ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ riconosciuta in capo al ricorrente. E’ dedotto che le sole dichiarazioni rese dai tre dipendenti della società fallita, COGNOME, COGNOME e COGNOME,
non costituirebbero prova sufficiente della ipotizzata gestione di fatto della società stessa. Tali dichiarazioni, suscettibili di risentire di percezioni soggettive travisate, avrebbero potuto, infatti, dispiegare valenza dimostrativa dell’assunto accusatorio solo a condizione che i giudici di merito avessero vagliato anche elementi oggettivi espressivi di un radicato inserimento organico del prevenuto nell’organigramma aziendale: ossia, i poteri gestori effettivamente espletati e il grado di partecipazione alle decisioni societarie. In ogni caso, la motivazione di cui si chiede il sindacato sarebbe meritevole di censura anche sul piano della correttezza in diritto non essendo stati enucleati specifici indicatori fattuali atti a dar conto in maniera univoca del ruolo gestorio della ‘RAGIONE_SOCIALE concretamente svolto dal ricorrente in maniera significativa e continuativa.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 40, 41, 42 e 43 cod. pen. e 216 L.F. nonché il vizio di motivazione in relazione al mancato rispetto del principio affermato dalla sentenza Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, COGNOME, secondo cui, nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, lo stato di insolvenza che dà luogo al fallimento costituisce elemento essenziale del reato, in qualità di evento dello stesso e pertanto deve porsi in rapporto causale con la condotta dell’agente e deve essere, altresì, sorretto dall’elemento soggettivo del dolo (Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012, Corvetta, Rv. 253493 – 01); in ogni caso, la Corte territoriale avrebbe dovuto compiutamente spiegare perché le condotte distrattive, contestate come commesse in epoca assai risalente rispetto al fallimento della ‘RAGIONE_SOCIALE, dichiarato il 10 giugno 2014, fossero tali da avere esposto a pregiudizio le garanzie dei creditori sociali.
-Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 216 L.F. e il vizio di motivazione in relazione alla condotta di cui al capo c) del procedimento n. 9831/2014, in riferimento alla ritenuta natura distrattiva della iscrizione a perdita in bilancio di un credito dell’ammontare di euro 20.978,00 vantato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di mera operazione contabile non accompagnata da rinuncia formale al credito e, in quanto tale, priva di effetti depauperatori del patrimonio sociale.
-Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 62 n. 6 cod. pen. e il vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione della circostanza attenuante del risarcimento del danno, della quale il ricorrente sarebbe stato meritevole avendo partecipato al risarcimento del danno procurato al Fallimento RAGIONE_SOCIALE , che, infatti, aveva rinunciato a costituirsi parte civile proprio in ragione della dazione da parte di COGNOME della somma di euro 20.000,00, non assumendo alcun rilievo il mancato risarcimen to nei confronti del Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE, essendo stato il ricorrente assolto dai reati commessi in danno di quella società. In ogni caso, la valutazione
della congruità del risarcimento effettuato nei confronti del Fallimento RAGIONE_SOCIALE sarebbe del tutto carente.
2.2. Il ricorso di NOME COGNOME COGNOME consta di due motivi (parimenti enunciati secondo quanto stabilito dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen. ).
Il primo motivo denuncia il vizio di motivazione, da travisamento della prova, in relazione all’affermazione di responsabilità del ricorrente per il delitto di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al capo d) del procedimento n. 9831/20 114. È dedotto che la detta responsabilità, in relazione all’operazione di acquisto da parte della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, tra il novembre 2011 e l’ottobre 2012, delle quote della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dalla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ , amministrata dal ricorrente, per un importo complessivo di euro 1.105.000,00, quando la ‘RAGIONE_SOCIALE era già in stato di decozione dal 2011, sarebbe stata affermata valorizzando due soli elementi: ossia, il valore nominale delle quote (euro 9.000,00) e il valore delle stesse a bilancio (euro 50.000,00) nonché la distanza tempor ale tra l’acquisto delle quote (2011 -2012) e la data di stipulazione da parte della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ della convenzione per il progetto europeo (2013) . La Corte territoriale avrebbe dovuto, invece, considerare: che l’oper azione di acquisto delle quote fu articolata in tre fasi distinte (segnatamente: nel novembre 2011, nel maggio 2012 e nell’ottobre 2012 ) ; che la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ era una società operativa e specializzata, che godeva di un avviamento importante; che tanto era stato confermato dai consulenti tecnici di parte (Dott. COGNOME e Ing. COGNOME), i quali avevano indicato le ragioni per le quali la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ dovesse considerarsi solida al momento del suo acquisto da parte di ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘. Inoltre, nulla si era argomentato in sentenza in ordine al ruolo del ricorrente, diverso e meno incisivo rispetto a quello del coimputato COGNOME che aveva continuato a depauperare la ‘RAGIONE_SOCIALE‘ anche dopo l’acquisto delle quote della ‘RAGIONE_SOCIALE‘
Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione al diniego in favore del ricorrente della sospensione condizionale della pena. Beneficio di cui, invece, egli sarebbe stato meritevole, perché i suoi precedenti penali erano risalenti nel tempo (1994 -2015), alcuni di natura contravvenzionale e tutti oggetto di riabilitazione. Né era ragionevole una prognosi di ricaduta nel reato, avendo COGNOME COGNOME risarcito integralmente il Fallimento RAGIONE_SOCIALE versando euro 100.000,00 e mantenendo sempre un comportamento collaborativo fin dalle indagini preliminari.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha depositato memoria con la quale ha anticipato le proprie conclusioni nel senso del rigetto dei ricorsi.
I ricorsi sono stati discussi in pubblica udienza partecipata avendone i difensori dei ricorrenti fatto tempestiva richiesta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è nel suo complesso infondato.
1.1. Inammissibile è il primo motivo.
La sentenza impugnata ha desunto la prova del ruolo gestorio di fatto della ‘RAGIONE_SOCIALE da parte di NOME COGNOME non solo dalle dichiarazioni dei dipendenti, ma anche da altri elementi di prova atti a corroborarne la portata dimostrativa.
Infatti, le inequivoche e convergenti dichiarazioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano indicato nell’imputato il reale dominus dell’attività aziendale in tutti i suoi aspetti – organizzativo, produttivo, commerciale -, avendo, di contro, attribuito agli amministratori di diritto, NOME COGNOME ed NOME COGNOME, ruoli meramente formali o comunque marginali nell’assunzione delle decisioni oppure esecutive delle direttive organizzative, risultavano avvalorate da quanto rilevato dal curatore fallimentare in ordine alla scarsa conoscenza da parte della COGNOME delle questioni attinenti alla vita societaria e alla sporadica presenza in azienda di NOME COGNOME nonché da quanto riferito al curatore medesimo da NOME COGNOME la quale aveva dichiarato di essere stata contattata al fine di assumere la carica di amministratore di diritto della ‘RAGIONE_SOCIALE – senza tuttavia possederne le competenze -da NOME COGNOME e da NOME COGNOME tanto attestando che tale fondamentale decisione per la vita della società era stata «quantomeno, condivisa dalla COGNOME con il marito» (cfr. pag. 13 della sentenza impugnata).
Emerge, dunque, come l’attribuzione al ricorrente della qualifica di amministratore di fatto della fallita ‘RAGIONE_SOCIALE poggi su una piattaforma di elementi di prova dotati di piccata valenza dimostrativa – risultando i dipendenti osservatori privilegiati della gestione operativa dell’azienda – e concordanti con altri di non minore rilievo, nel loro insieme idonei a descrivere l’ingerenza continuativa e significativa di NOME COGNOME nella direzione della società, secondo il paradigma fissato dall’art. 2639 cod. civ.. Peraltro, questa Corte ha da sempre affermato che «Ai fini dell’attribuzione della qualifica di amministratore “di fatto” è necessaria la presenza di elementi sintomatici dell’inserimento organico del soggetto con funzioni direttive in qualsiasi fase della sequenza organizzativa, produttiva o commerciale dell’attività della società, quali i rapporti con i dipendenti, i fornitori
o i clienti ovvero in qualunque settore gestionale di detta attività, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare ed il relativo accertamento costituisce oggetto di una valutazione di fatto insindacabile in sede di legittimità, ove sostenuta da congrua e logica motivazione» (Sez. 5, n. 45134 del 27/06/2019, COGNOME, Rv. 277540 -01; Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, COGNOME, Rv. 256534 -01; Sez. 5, n. 43388 del 17/10/2005, COGNOME, Rv. 232456 – 01).
1.2. Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Le Sezioni Unite, con la sentenza n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 -01, hanno affermato che «Ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività»: in motivazione è stato precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza.
La successiva giurisprudenza delle Sezioni semplici ha chiarito che «Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in cui l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione alla massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’apertura della procedura fallimentare» (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 – 01) e che «In tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa» (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01).
Principi, questi, cui la sentenza impugnata si è senz’altro attenuta laddove ha evidenziato come le imponenti erogazioni di denaro, prelevato dalle casse della
‘RAGIONE_SOCIALE , effettuate sin dall’anno 2009 in favore degli amministratori di diritto della stessa, riportati in contabilità come «prelevamenti soci», non solo fossero privi di qualunque giustificazione economico aziendale, ma non fossero stati neppure altrimenti spiegati, tramite l’allegazione di documentate ragioni (ad esempio compensi per il lavoro prestato a favore della società), dai beneficiari.
1.3. Il terzo motivo è infondato.
Il principio di diritto evocato dal ricorrente secondo cui «Non integra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale la condotta dell’amministratore di una società fallita che storni dall’attivo poste contabili relative a crediti vantati nei confronti di altre società del gruppo e le trasferisca nel conto “sopravvenienze passive” in quanto tale attività, in assenza di un formale atto di remissione del debito o di rinunzia ad esercitare i diritti sottostanti al credito, non si traduce in atto di disposizione patrimoniale, reale o simulato, da cui consegua la diminuzione, effettiva o apparente, della garanzia patrimoniale della fallita, rimanendo i crediti in questione parte integrante del patrimonio» (Sez. 5, n. 11752 del 11/02/2020, COGNOME, Rv. 278930 – 01) è stato rispettato dalla sentenza impugnata.
In motivazione, infatti, si è dato atto di come l’iscrizione a bilancio del credito dell’ammontare di euro 20.978,00 vantato da RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE‘ credito nel 2013 ancora perfettamente esigibile -fosse stata accompagnata da una condotta di effettiva dismissione del diritto, integrata, alla stregua dello stesso tenore letterale dell’indicazione direttiva riportata, proprio dalla «rinunzia ad esercitare i diritti sottostanti al credito». Nel caso di specie, in effetti, il mancato esperimento di azioni stragiudiziali o giudiziali per il recupero del credito, attivabili nel corso dell’esercizio 2013, prima di portarlo in perdita in bilancio con la chiusura dell’esercizio, aveva portato al risultato concreto della dispersione del credito stesso quale componente dell’attivo .
1.4. Anche il quarto motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, «Ai fini del riconoscimento dell’effetto attenuante al risarcimento del danno (art. 62, comma 1, n. 6 cod. pen.) è necessario che il danneggiato sia stato completamente integrato nella posizione “qua ante” , non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia chiusura del rapporto risarcitorio conseguente al reato. Ne deriva che è immune da censure la decisione del giudice di appello che escluda detta attenuante nei confronti dell’imputato condannato per il reato di bancarotta fraudolenta (art. 216 e 223 L.F.), il quale si sia limitato a restituire le somme indebitamente percepite a titolo di emolumenti non dovuti» (Sez. 5, n. 46866 del 29/11/2005, COGNOME, Rv. 233048
01). È stato ulteriormente chiarito che «Ai fini della configurabilità della circostanza attenuante prevista dall’art. 62, comma 1, n. 6, cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo non solo di quello patrimoniale, ma anche di quello morale, e la valutazione della sua congruità è rimessa all’apprezzamento del giudice» (Sez. 2, n. 9143 del 24/01/2013, COGNOME e altri, Rv. 254880 -01) e che «Ai fini del diniego dell’attenuante di cui all’art. 62, comma 1, n. 6, cod. pen., il giudice può disattendere ogni atto negoziale pur ritenuto satisfattivo dalla persona offesa fornendo adeguata motivazione, senza che, peraltro, sia necessario procedere alla specifica quantificazione del danno astrattamente risarcibile mediante l’esame delle singole voci che lo compongono allorché l’accordo transattivo, a sua volta, non le contempli in modo analitico, ma si limiti ad indicare la somma complessivamente corrisposta a titolo di risarcimento».
Ne viene che, a fronte della genericità delle deduzioni al riguardo articolate dal ricorrente, limitatosi in effetti ad allegare la rinuncia del Fallimento ‘RAGIONE_SOCIALE a costituirsi parte civile nel processo celebrato a suo carico, la «valutazione d i modestia dell’importo risarcito dal COGNOME (nella misura di soli euro 20.000,00, ndr .) a fronte del danno cagionato al ceto creditorio della ‘RAGIONE_SOCIALE (nella misura di svariate centinaia di migliaia di euro, ndr .)» non presta il fianco a rilievi di sorta.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME COGNOME è meritevole di accoglimento per le sole ragioni di seguito indicate.
2.1. Il primo motivo è infondato.
La motivazione della sentenza impugnata, nel suo complesso considerata, dà conto di come dalle prove raccolte fosse emerso che negli anni di esercizio 2011 e 2012 i margini di guadagno della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ erano stati irrisori (segnatamente: utile al 31/12/2012 pari ad euro 2.316,00; utile al 31/12/2011 pari a 5.567,00); che i dipendenti della RAGIONE_SOCIALE avevano riferito che «all’epoca in cui COGNOME acquistò le quote della RAGIONE_SOCIALE, questa navigava in cattive acque, avendo, per quanto riferito loro dallo stesso COGNOME, ‘grosse difficoltà coi fornitori, che si lamentavano dei mancati pagamenti’»; che, infine, «anche dalla relazione OLAF risultava come la società fosse da ritenersi in stato di decozione già dall’anno 2011», di modo che era del tutto irragionevole la prospettiva della società di potere risollevare le proprie sorti, riguadagnando terreno sul piano imprenditoriale, grazie alla percezione di un rateo del finanziamento europeo assegnatole assieme ad altre istituzioni consorziate (pag. 11 della sentenza impugnata).
Tanto riportato, ed apprezzato congiuntamente ai rilievi sviluppati dal giudice censurato per sostenere la natura dissipativa dell’operazione di acquisto, collocabile tra la fine del 2011 e la fine del 2012, da parte della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ delle azioni della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ possedute dalla RAGIONE_SOCIALE ossia, che il prezzo di acquisto delle stesse, per l’importo complessivo di euro 1.105.000 ,00 fosse esorbitante rispetto al valore nominale delle quote (pari ad euro 9.000,00), al loro valore iscritto a bilancio (pari ad euro 50.000,00) e al prezzo di loro rivendita al COGNOME, solo pochi mesi dopo, per euro 500.000,00, nonché tenuto conto della situazione economicofinanziaria della ‘NEW PLANT’, già in stato di decozione dal 2011, e della stipula del progetto di finanziamento europeo solo nell’agosto 2013 , è di tutta evidenza come le deduzioni articolate a sostegno del motivo in disamina siano volte esclusivamente a rimettere in discussione la valutazione effettuata dai giudici di merito di entrambi i gradi, con esiti conformi, secondo criteri di ragionevole plausibilità.
Né coglie nel segno la doglianza secondo cui il ruolo spiegato dal ricorrente medesimo, quale amministratore della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, nell’economia della operazione dissipativa, sarebbe stato marginale. Tenuto a mente il principio di diritto secondo cui «In tema di reati fallimentari, è configurabile il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta da parte di persona estranea al fallimento qualora la condotta realizzata in concorso col fallito sia stata efficiente per la produzione dell’evento e il terzo concorrente abbia operato con la consapevolezza e la volontà di aiutare l’imprenditore in dissesto a frustrare gli adempimenti predisposti dalla legge a tutela dei creditori dell’impresa» (Sez. 5, n. 27367 del 26/04/2011, COGNOME, Rv. 250409 -01), traspare dalla motivazione rassegnata nella sentenza impugnata come COGNOME COGNOME fosse ben consapevole di cedere ad un prezzo esorbitante alla ‘RAGIONE_SOCIALE‘ una società, la ‘RAGIONE_SOCIALE, ormai decotta e che con tale negozio avrebbe esposto a concreto pericolo l’i ntegrità della garanzia patrimoniale dei creditori della società cessionaria.
2.2. Coglie, invece, nel segno il secondo motivo di ricorso.
Avuto riguardo al contenuto delle allegazioni difensive e del certificato del casellario giudiziale di COGNOME che documenta condanne da questi subite per omesso versamento dei contributi previdenziali, per insolvenza fraudolenta e per contravvenzioni in materia ambientale, e considerati i comportamenti tenuti dall’imputato nel corso del processo, certamente improntati ad una logica riparativa del danno cagionato ai creditori della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, la motivazione rassegnata nella sentenza impugnata a corredo del diniego di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena al ricorrente,
per impossibilità di «formulare un sereno giudizio prognostico favorevole» (cfr. pag. 18) si rivela apodittica.
Consegue la necessità di nuovo esame sul punto da parte del giudice del rinvio , che, al di là dell’eventuale rilievo da assegnare all’intervenuta riabilitazione del COGNOME in relazione ad alcune delle condanne subite, dovrà, in particolare, esaminare se i titoli del casellario che si riferiscono alle condanne da questi subite per omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali riguardino o meno condotte dotate di perdurante rilevanza penale pur a seguito dell’introduzione nella fattispecie, ad opera dell ‘ art. 3, comma 6, d.lgs. n. 8 del 2016, della soglia di punibilità di euro diecimila annui.
S’impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME COGNOME limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Bologna. Il ricorso dello stesso COGNOME va nel resto rigettato. Il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla sospensione condizionale della pena, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Bologna. Rigetta nel resto il ricorso di COGNOME Rigetta il ricorso di NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 01/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME