Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10577 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 26/09/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
A
RITENUTO IN FATTO
che COGNOME NOME ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Milano, pronunciata in data 26 settembre 2023, che, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti per il delitto di cui agli artt. 216, comma 1, nn. 1 e 2 e comma 3, 223, comma 1, e 219, comma 2, n. 1 L. Fall., ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai fatti-reato di cui all’art. 216, comma 3, L. Fall., per essere i medesimi estinti per intervenuta prescrizione, e, per l’effetto, ha rideterminato la pena (fatto commesso in Busto Arsizio il 23 settembre 2014);
che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore, articolando un solo motivo;
CONSIDERATO iN DIRITTO
che il proposto motivo, che denuncia vizi di violazione di legge e di motivazione, è generico e manifestamente infondato, posto che, per la giurisprudenza di legittimità «In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti» (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 29/02/2016, Rv. 267710), come nel caso che occupa, costituendo, peraltro, l’assunto difensivo una conferma della destinazione dei beni a fini estranei allo scopo societario (vedasi pag. 4 della sentenza impugnata);
che la censura in ordine al mancato accertamento della previa disponibilità da parte dell’imputato dei beni dell’impresa è generica e manifestamente infondata, considerata la mancata consegna delle scritture contabili (vedasi pag. 5 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale, motivando in ordine alla responsabilità per il delitto di bancarott documentale, rilevava che il mancato deposito dei bilanci, l’omessa tenuta dei libri sociali dal 2011, nonché le lacune nella contabilità corrispondenti al periodo prossimo al fallimento della società, oltre ad essere espressione di una chiara violazione dell’onere dell’amministratore di assicurare la corretta tenuta della documentazione, costituissero chiari indici di un intento fraudolento, in quanto finalizzati all’occultamento delle accertate distrazioni); nondimeno, premesso che la mancanza delle scritture non può essere utilizzata per presumere circostanze favorevoli all’imputato (Sez. 5, n. 7888 del 03/12/2018 – dep. 2019, Rv. 275345; conf. Sez. 5, n. 36399 10/03/202:3, non massimata), deve ricordarsi come per pacifica giurisprudenza di questa Corte «A norma degli artt. 2214 e 2241 cod. civ., l’imprenditore che esercita un’attività commerciale è obbligato, personalmente, alla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili nella propria azienda. Egli può avvalersi dell’opera di un tecnico, sia esso un proprio dipendente o un libero professionista, ma resta sempre responsabile per l’attività da essi svolta nell’ambito dell’impresa. In caso di fallimento, quindi, risponde penalmente dell’attività e delle omissioni delle persone da lui incaricate che non hanno tenuto, in assoluto, o non hanno tenuto regolarmente i libri e le scritture contabili prescritte dalla legge. Il principio ope nel caso di inquadrabilità della condotta sia in reati punibili per dolo o colpa (bancarotta semplice), sia in delitti punibili soltanto a titolo di dolo (bancarotta fraudolent documentale). In tale ultima ipotesi, l’imprenditore non va esente da responsabilità per aver affidato a un collaboratore le operazioni contabili, dovendosi presumere che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni e i documenti forniti dall’imprenditore medesimo. Trattasi, peraltro, di una presunzione “iuris tantum”, che può e re vinta da rigorosa prova
contraria» (Sez. 5, n. 709 del 01/10/1998, dep. 1999, Rv. 212147), prova che nei termini indicati non è stata offerta dal ricorrente;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammiss bile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 28 febbraio 2024
Il consigliere estensore
Il Pr side te