Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22561 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22561 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/11/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento limitatamente alla contestazione di cui al capo c); inammissibile nel resto; letta la memoria a firma del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20.11.2023 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado emessa, all’esito di giudizio abbreviato, dal G.U.P. presso Tribunale della medesima città – che aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole dei reati d bancarotta fraudolenta patrimoniale, documentale ed impropria da operazioni dolose, condannandolo alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, con applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 216 ult. comma legge fall. per la durata di anni quattro – riten
distrazione delle immobilizzazioni materiali assorbita nella distrazione dell’azienda, ridetermiNOME la pena in anni due e mesi sei di reclusione. Ha, altresì, ridotto le p accessorie di cui all’art. 216 ult. comma legge fall. alla durata di anni tre e mesi se confermato nel resto.
In particolare, all’imputato è contestato di avere, in qualità di amministratore unico d RAGIONE_SOCIALE – dal 5.08.2004 al 17.03.2010 – dichiarata fallita con sentenz 19.03.2021, e, in concorso con altri: – sottratto o comunque distrutto, con lo scopo procurare a sé od altri un ingiusto profitto o di arrecare pregiudizio ai creditori, i libri scritture contabili della fallita, mai rinvenuti e mai consegnati alla curatela fallimen comunque tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari della fallita; – distratto immobilizzazioni mal:eriali della fallit nel bilancio al 31.12.2008 per il valore di euro 664.623,00, mai rinvenute dalla curate fallimentare e mai consegnate alla medesima e comunque distratto il ricavato della vendita delle suddette immobilizzazioni materiali, mai rinvenuto nelle casse sociali, né consegNOME agli organi della procedura concorsuale; – distratto disponibilità liquide della fallita, isc bilancio al 31.12.2008, per l’importo di euro 18.869,00; – distratto l’azienda alberghiera d fallita, cedendola, con contratto stipulato in data 10.02.2010, alla RAGIONE_SOCIALE prezzo incongruo di euro 139.019,78 e comunque distratto tale corrispettivo, mai rinvenuto nelle casse sociali; – distratto l’azienda della fallita comprensiva di attività alberg attività ricettizia di affittacamere, cedendole, con contratto stipulato in data 10.02.2010 RAGIONE_SOCIALE (di cui il fallace era amministratore unico fin dalla data di costituz prezzo incongruo di euro 224.744,89, e comunque distratto il corrispettivo predetto, mai riversato nelle casse della società; – omesso sistematicamente, a far data dall’anno d imposta 2002 e sino alla dichiarazione di fallimento, il pagamento dei debiti erariali, tri e previdenziali della fallita, in tal modo maturando un’esposizione debitoria complessiva n confronti dell’erario di euro 958.908,95, in tal modo concorrendo a porre in essere operazion dolose per effetto delle quali cagionava il fallimento della società. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la predetta sentenza ricorre per cassazione l’imputato, tramite il propr difensore di fiducia, deducendo cinque motivi.
2.1. Con il primo si denunzia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione reato di bancarotta fraudolenta documentale contestato al capo A) della rubrica.
In particolare, la Corte territoriale, nel ritenere infondato il primo motivo avanzato l’atto di appello, ha offerto una motivazione carente, non tenendo conto dell’assolut mancanza di prova certa in ordine all’ingerenza dell’imputato nella gestione della società epoca successiva alla dismissione della carica o al fatto che aveva ricoperto il ruolo amministratore di fatto. Invero, si ricorda come l’imputato è cessato dalla carica
amministratore nell’anno 2010 e che il fallimento della società è stato dichiarato nell’an 2021.
Inoltre, si lamenta che la Corte territoriale non ha offerto alcuna motivazione né su modalità di realizzazione del concorso materiale e/o morale dell’imputato con l’amministratore subentrato al suo posto, COGNOME NOME, né ha indicato in cosa si consistita la condotta penalmente rilevante assunta dal COGNOME dopo la dismissione dalla carica e sino al fallimento.
Si aggiunge che, sul punto, non può ritenersi convincente la spiegazione offerta dalla Corte di appello per collegare l’imputato all’omissiva condotta di inerzia assu dall’amministratore subentrante, affermando che questa “sia logicamente spiegabile solo ipotizzando l’attuazione di un disegno criminoso unitario”. Le medesime critiche sono rivolte sul punto, anche in relazione alla sentenza di primo grado, che nulla dice in ordine a questioni rappresentate e correlate agli artt. 110 e 40 cod. pen.
Richiamando la giurisprudenza di legittimità — Cass. Sez. V n. 159888/2019 – si ritien che quanto accaduto alle scritture contabili della fallita nel periodo successivo alla dismiss dalla carica da parte del ricorrente, non può essere ascritto a questi, non avendo egli ricev da parte dell’amministratore subentrante alcuna richiesta di integrazione documentale. A tal proposito, infatti, assume rilievo centrale il criterio funzionalistico o dell’effett ragione sociale, secondo cui il vero soggetto su cui si concentrano gli interessi dell’at aziendale è quello che effettivamente gestisce l’impresa e sul COGNOME deve ricadere l responsabilità penale.
2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione i relazione al reato di cui al capo C) dell’imputazione.
In particolare, la Corte territoriale ha omesso di confrontarsi con il terzo moti appello proposto dalla difesa, offrendo, sul punto, una motivazione assai carente atteso che non argomenta né in ordine all’inverosimiglianza contabile della contestazione relativamente alla distrazione di somma liquida che ben poteva essere stata utilizzata per legittimi sc aziendali, né spiega in che modo possa effettivamente attribuirsi la responsabilità ricorrente, amministratore cessato dalla carica ben undici anni prima e con una appostazione della somma in questione – euro 18.869,00 – nel bilancio chiuso in data 31.12.2008, dodici anni e tre mesi prima del dichiarato fallimento della società. Pertanto, si contesta che la C territoriale non ha nuovamente offerto alcuna motivazione circa l’assoluta mancanza di prova certa in ordine all’ingerenza dell’imputato nella gestione della società in epoca successiva dismissione della carica o che ne avesse ricoperto il ruolo di amministratore di fatto. Inolt giudici di merito non hanno delineato né in che termini si sia concretizzato il conco materiale e/o morale del ricorrente con l’amministratore subentrate COGNOME NOMENOME né in cosa sia realmente consistita la condotta penalmente rilevante ex art. 40 cod. pen
assunta dall’imputato dal momento della dismissione della carica sino al successivo fallimento.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazio ai reati contestati ai capi D) ed E) della rubrica.
Il ricorrente lamenta come, anche in relazione al quarto motivo di appello prospettat dalla difesa, la Corte territoriale abbia offerto una motivazione viziata da consideraz alternative e confuse in ordine sia alla congruità dei prezzi di vendita delle due azi alberghiere, sia all’effettivo pagamento degli stessi. Ancora una volta, non è stata fornita risposta adeguata in relazione all’elemento soggettivo del reato e all’affermata responsabil dell’imputato rispetto alla mancanza delle scritture contabili, che avrebbero potuto indicar sorte e la destinazione del corrispettivo, atteso che lo stesso è cessato dalla caric amministratore ben undici anni prima dal dichiarato fallimento. Inoltre, si sostiene co proprio alla stregua dell’analisi dell’esposizione debitoria verso banche e fornitori, la territoriale avrebbe dovuto escludere la sussistenza del reato, in quanto l’imputato, cedere i propri asset alberghieri, ha posto in essere operazioni finalizzate a saldare i d esistenti evitando una maggiore esposizione della società. La prova di tale assunto emerge dall’elaborato peritale, nel COGNOME si evidenzia come parte del pagamento delle aziende ceduta sia stato effettuato dalle due società acquirenti attraverso l’estinzione di pregressi deb queste, nello specifico TFR dei dipendenti della cedente e canoni di affitto arretrati.
Si evidenzia, altresì, che non può condividersi l’assunto della Corte territoriale, seco cui “nulla è dato sapere sulla sorte impressa alle somme certamente ricevute dalla RAGIONE_SOCIALE“, atteso che tale onere probatorio doveva essere assolto dall’ultimo amministratore – il coimputato COGNOME COGNOME COGNOME COGNOME aveva assunto la carica undici anni prima del fallime della società.
2.4. Con il quarto motivo si contesta violazione di legge e vizio di motivazione relazione al reato contestato al capo F) della rubrica.
In particolare, il ricorrente evidenzia, sulla scorta dei precedenti motivi, come la territoriale abbia offerto una motivazione carente ed inadeguata anche in relazion all’affermata responsabilità dell’imputato per tale reato, specie ove si consideri che dagli processuali emerge esclusivamente che, all’epoca dell’avvenuta dismissione dalla carica, lo stesso aveva lasciato un debito verso l’Erario inferiore rispetto a quello effettivame contestato.
2.5. Con il quinto motivo si lamenta vizio di motivazione in ordine al manca riconoscimento delle concesse circostanze attenuanti generiche in termini di prevalenza sull’aggravante.
Non è condivisibile il ragionamento offerto dalla Corte territoriale sul punto, che tro proprio fondamento sulla personalità dell’imputato, atteso che a seguito della revoca del condanne riportate proprio per “i reati della stessa indole” (pag. 9 della sentenza impugnat
lo stesso risulta essere incensurato ovvero gravato solo da due contravvenzioni risalenti ne tempo e riguardanti la tutela della salute e della sicurezza.
Si chiede, pertanto, l’applicazione del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuan generiche con conseguente riduzione della pena inflitta, tale da renderla più aderente al funzione rieducativa e preventiva, così come disposto dall’art. 27 comma 3 Cost., e compatibile con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Il ricorso è stato trattato – ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d. I. n. 137 de convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n.176, che continua ad applicarsi, in virtù del comma secondo dell’art. 94 del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, com modificato dall’art. 11, comma 7, d. I. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito con modificazion dalla I. del 23.2.2024 n. 18, per le impugnazioni proposte sino al 30.6.2024 – senz l’intervento delle parti che hanno così concluso per iscritto:
il Sostituto AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo C e dichiararsi inammissibile ricorso nel resto;
il difensore dell’imputato ha insistito nell’accoglimento del ricorso, replicando argomenti spesi dal AVV_NOTAIO riguardo ai profili di inammissibilità rilevati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Il primo motivo di ricorso, avente ad oggetto la bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione delle scritture contabili, è infondato.
Esso, al pari di quelli di cui ai punti 2, 3 e 4 del ritenuto in fatto, afferenti alle alt criminose ascritte al ricorrente, contesta la sussistenza del reato facendo leva sul fatto l’imputato sarebbe cessato dalla carica di amministratore ben undici anni prima dell dichiarazione di fallimento.
Il ricorrente, invero, imposta le doglianze sull’assunto della mancanza di prova del concors materiale e morale dell’imputato nelle condotte illecite, che in tesi difensiva sarebb ascrivibili al solo soggetto subentrato nell’amministrazione al posto del COGNOME in ep distante dal fallimento, in assenza di atti gestori o altri comportamenti riconducibili al F indicativi della continuazione, di fatto, del ruolo di amministrazione da parte dello ste quanto meno di un suo coinvolgimento nelle vicende criminose.
Tale assunto, riproposto e sviluppato innanzitutto col primo motivo, viene poi ripreso anch nei motivi che seguono, costituendo esso il fulcro intorno a cui sono costruite anche doglianze afferenti le altre condotte criminose; e ciò, nonostante la circostanza che condotte distrattive di cessione delle aziende, costituenti l’asse portante dell’incriminazi
siano pacificamente ascrivibili al periodo di amministrazione del ricorrente e che, in rea secondo quanto emerso e ricostruito dai giudici di merito, tutto sia coinciso con la dismissi degli asset aziendali (avendo, in buona sostanza, la cessione delle aziende segNOME la fin dell’attività, con la conseguenza che l’amministratore subentrato era di fatto rimasto ine rendendosi poi irreperibile).
Al contrario di quanto lamenta il ricorrente, la Corte di appello ha, dunque, ben chiarit ragioni fondanti la responsabilità dell’imputato, fornendo una risposta chiara alla domanda come sia stato possibile ritenerlo coinvolto nelle vicende criminose nonostante lo stesso foss cessato dalla carica ben undici anni prima del fallimento. Dal momento che tutto risulta nel sostanza fermatosi all’atto delle sue dimissioni, intervenute subito dopo le cessioni de aziende, non si è proprio posta la questione della individuazione di eventuali atti gestori d compiuti dopo la cessazione della carica.
D’altra parte, quanto alla bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione, i giudici merito hanno precisato che, di là della dubbia valenza della dichiarazione prodotta ai f dell’attestazione della consegna delle scritture contabili all’amministratore subentrato, e ha in ogni caso ad oggetto unicamente le scritture contabili relative agli anni 2008 e 2009 COGNOME aveva ricoperto la carica di amministratore dal 5.8.2004 al 17.3.2010); sicché concludono i giudici di merito che non residuano dubbi sulla natura illecita della complessi operazione includente anche la sottrazione delle scritture contabili, quanto meno in part posta in essere dall’imputato, ove correlata anche alle altre condotte illecite a lui ricondu comunque ricadute nel suo periodo di amministrazione (così anche il sistematico inadempimento degli obblighi tributari che, come meglio si dirà allorquando si affronterà quarto motivo di ricorso ad esso relativo, si è protratto anche nella fase dell’amministrazi del ricorrente).
In altri termini i giudici di merito hanno ritenuto il COGNOME il vero, unico, dominus dell’operazione di svuotamento della società, intervenuto attraverso la cessione, per u prezzo inferiore a quello normale e solo in parte apparentemente conseguito, degli asset produttivi in favore di altre società neocostituite e da lui stesso amministrate.
Il ricorrente, secondo i giudici di merito, avrebbe dunque consegNOME all’amministrator subentrato COGNOME un guscio sostanzialmente vuoto e si sarebbe al contempo limitato a trasferire allo stesso solo una parte delle scritture contabili.
Tutto ciò è stato ritenuto logicamente spiegabile – si afferma nella sentenza impugnata – sol ipotizzando l’attuazione di un disegno criminoso, unitario, al COGNOME COGNOME era il principal non l’unico) interessato, consistente nella designazione di un soggetto al COGNOME trasfer formalmente la proprietà e l’amministrazione di una scatola vuoi:a, priva di patrimonio capacità produttiva, gravata solo da debiti, in vista dell’inevitabile esito fallimentare, frapporre uno schermo – anche temporale – rispetto al reale responsabile del dissesto e ostacolare sia il recupero degli asset attivi, sia l’accertamento di condotte illecite.
Nella ricostruzione dei giudici di merito, il fattore temporale non è affatto sintomatico distanza dell’imputato rispetto alle condotte illecite, ma inserito nel complessivo cont ricostruttivo di riferimento – del COGNOME in definitiva non tiene conto il ricorso che si solo su determinati aspetti – diventa a sua volta un indice della fraudolenza con cui s architettata la vicenda criminosa.
E’ pur sempre nell’ambito di tale contesto che va collocato l’asserito – e non del tu dimostrato – soddisfacimento di alcuni creditori – banche e dipendenti – evidentemente funzionale alla prosecuzione dell’attività con le nuove società più che a porre un argine a situazione debitoria della società cedente per evitarne il fallimento (essendo invece rimas insolute le cartelle esattoriali che, com’era prevedibile, non si sono risolte in un impedime alla prosecuzione dell’attività con le nuove società).
1.2. Il secondo motivo, nella parte in cui contesta la motivazione della sentenz impugnata sulla distrazione delle disponibilità liquide della società affermando che es sarebbe «assolutamente carente in punto di diritto, ritenuto che non argomenta in alcun modo sia in ordine alla inverosimiglianza contabile della contestazione relativamente all distrazione di somma liquida che, essendo ovviamente connotata dal carattere della fluidità, ben poteva essere stata utilizzata per legittimi scopi aziendali», è manifestamente infondato perché non considera che, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata falli desumibile dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della loro destinazione; tuttavia il giudice non può ignorare l’affermazione dell’imputato di a impiegato tali beni per finalità aziendali o di averli restituiti all’avente diritto, in una chiara smentita emergente dagli elementi probatori acquisiti, quando le informazioni fornite alla curatela, al fine di consentire il rinvenimento dei beni potenzialmente dis siano specifiche e consentano il recupero degli stessi ovvero l’individuazione della effett destinazione (Sez. 5, Sentenza n. 17228 del 17/01/2020, Costantino, Rv. 279204 – 01). Nel caso di specie l’avere ventilato il possibile utilizzo della liquidità per scopi aziendal risolve affatto in un’indicazione idonea a fornire un inizio di prova stante la sua ass genericità e la – voluta – mancanza di scritture contabili idonee a supportare una verific tal senso. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In continuità con la giurisprudenza di questa Corte, si deve quindi affermare che l’indicazio che rispetto a liquidità accertate si limiti ad asserirne l’impiego per le esigenze sociali r generica ed in quanto tale non può valere a superare l’inversione dell’onere della prova i relazione alla distrazione di beni mobili a carico dell’amministratore della società fallita.
La doglianza difensiva è per altro verso aspecifica perché, nell’asserire che la senten impugnata non spenderebbe neppure una parola per spiegare in che modo sia possibile attribuire la responsabilità all’imputato, amministratore cessato dalla carica ben undici prima e con una appostazione della somma in questione nel bilancio chiuso al 31.12.2008,
cioè ben dodici anni e tre mesi prima dell’avvenuto fallimento, non tiene conto del complessiva ricostruzione dei giudici di merito, sopra sintetizzata, oltre che del fatto che si ferma, riguardo a tale appostazione di bilancio, al 31.12.2008 ovvero ad epoca in cui ricorrente non era ancora cessato e che dopo tale data non risultano depositati altri bilan che avrebbero potuto dare conto della sorte di tali liquidità, né tanto meno quello 31.12.2009 rientrante nella competenza del ricorrente.
Indi, la Corte di appello ha, in buona sostanza, congruamente concluso che, in mancanza di specifica indicazione della sorte di tali liquidità da parte del COGNOME che non ha d’altro nemmeno assunto di avere consegNOME tale liquidità al suo successore e si è trincerato dietro la scomparsa delle scritture contabili, che è stata invece a lui attribuita per le r anzidette, adducendo genericamente il possibile utilizzo delle somme per le esigenze della società – dovesse ritenersi acclarata la loro distrazione ad opera del ricorrente.
1.3. Il terzo motivo contesta le valutazioni svolte dalla Corte di appello riguardo congruità dei prezzi di vendita degli asset alberghieri ed all’effettivo versamento degli st Anche in tal caso, si assume che nessun addebito potrebbe muoversi all’imputato, perché, da un lato, a lui non sarebbe ascrivibile la mancanza delle scritture contabili rappresentativ tali vicende e, dall’altro, si sarebbe trascurato che il pagamento di una parte del corrispet era avvenuto attraverso l’accollo, da parte delle cessionarie, del T.f.r. dei dipendenti pregressi debiti verso terzi.
Ebbene, riguardo al profilo delle scritture contabili, esso rimane superato da tutto quan sopra esposto; va qui aggiunto che, trattandosi di eventi ricaduti nella f dell’amministrazione del ricorrente – di là del rinvenimento o meno delle scritture contab sarebbe stato onere dello stesso, che come si sottolinea nella sentenza impugnata era peraltro anche l’amministratore delle società cessionarie, fornire dettagli ben più specifici tipo documentale al riguardo. L’imputato si è invece limitato ad addurre anomali pagamenti parziali, intervenuti prima o anche successivamente al rogito, o causali di pagamento generici e comunque non idonei a coprire l’intero prezzo.
I giudici di merito hanno, in particolare, chiaramente evidenziato che dell’accollo del T.f del pagamento di debiti pregressi non era stata rinvenuta alcuna traccia documentale e che l’imputato, COGNOME amministratore – anche – delle due società cessionarie che si sarebbero obbligate ad operare tali pagamenti, nessuna dimostrazione effettiva aveva offerto in proposito; laddove, peraltro, i contratti di cessione prevedevano espressamente che nessun obbligo o debito sarebbe derivato a carico delle cessionarie, stabilendo che la cedente avrebbe dovuto, in ogni caso, rifondere alla cessionaria quanto la stessa avesse versato in favore dei creditori della prima.
In ogni caso, concludono i giudici di merito, non vi è traccia della sorte della parte di p che si assume versato, che sempre genericamente si afferma essere stato destiNOME a ripianare debiti.
Tutto ciò, peraltro, senza considerare che riguardo alle cessioni in argomento, come contestato in imputazione e recepito in sentenza, si è innanzitutto prospettata la mancanza di congruità dei prezzi pattuiti (circostanza che la difesa ha inteso contrastare con argomenti d tutto inconferenti, secondo le puntuali considerazioni svolte anche al riguardo dai giudic merito).
1.4. Né miglior sorte merita il quarto motivo, che mira ad evidenziare come i debit tributari fossero, al momento delle dimissioni, di molto inferiori rispetto all’ammon contestato al capo F) dell’imputazione, sicché la responsabilità per il maggior impor dovrebbe ricadere sul nuovo amministratore.
In proposito, si osserva che la censura è dei tutto priva del necessario carattere concretezza, non precisando in alcun modo a quanto effettivamente ammontasse il debito verso l’Erario al momento delle dimissioni, laddove la Corte di appello ha invece affermat che già all’epoca si erano accumulate cartelle esattoriali impagate; ed, in ogni caso, essa no contrasta efficacemente quanto osservato dal giudice di merito sul punto, che ha affermato che fu proprio l’esposizione esistente alla data della cessazione della carica ad esser aumentata esponenzialmente all’epoca del fallimento, anche e soprattutto per effetto di interessi e sanzioni da ritardato pagamento.
Posto dunque che un rilevante debito tributario già sussisteva (da tempo) al momento della cessazione della carica (le prime cartelle risalgono addirittura al 2001) e che almeno un parte del debito finale complessivo riflette gli aumenti di tale originario importo, causa sanzioni ed interessi, non vi è dubbio che la responsabilità per tale contestazione debb essere ascritta anche all’imputato.
D’altronde, secondo la stessa prospettiva difensiva, i debiti che sarebbero stati onorati comprendevano quelli tributari, essendosi evidentemente privilegiati quelli verso i lavorator le banche, come detto, funzionali alla prosecuzione dell’attività con le nuove socie cessionarie.
L’impostazione seguita dalla Corte di appello è d’altra parte in linea con i principi affermat questa Corte al riguardo. Ha, infatti, più volte avuto modo di affermare questa Corte che reato di bancarotta impropria da reato societario sussiste anche quando la condotta illecit abbia concorso a determinare solo un aggravamento del dissesto già in atto della società (Sez. 5, Sentenza n. 29885 del 09/05/2017, Rv. 270877 – 01); che le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall. possono consistere anche in condotte omissive, ovvero nella sistematica elusione dei doveri imposti dalla legge all’orga amministrativo, quando questa comporti il fallimento della società e un depauperamento del patrimonio non giustificato dall’interesse per l’impresa (Sez. 5, n. 43562 del 11/06/2019, R 277125 – 01, principio affermato in relazione ad una fattispecie, anteriore al d.lgs. gennaio 2003, n. 6, in tema di omessa convocazione dell’assemblea per le deliberazioni di cui all’art. 2447 cod. civ., a seguito dell’azzeramento del capitale sociale, e continuazi
dell’attività d’impresa in violazione dell’art. 2449, comma primo, cod. civ., alla qual conseguito l’incremento dell’esposizione debitoria).
E’ altrettanto pacifico che, ai fini della configurabilità del reato di bancarotta im prevista dall’art. 223, secondo comma, n. 2, R.D. 16 maggio 1942, n. 267, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento, costituito dal fallimento della so né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente del dissesto, valendo la discip del concorso causale di cui all’art. 41 cod. peri., né il fatto che l’operazione dolo questione abbia cagioNOME anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto, poiché la nozione di fallimento, collegata al fatto storico della sentenza che lo dichiara, è ben dis da quella di dissesto, la COGNOME ha natura economica ed implica un fenomeno in sè reversibile (Sez. 5, Sentenza n. 40998 del 20/05/2014, Rv. 262189 – 01); e che è logico ritenere che il sistematico inadempimento dei debiti tributari esponga (nel prevedibile caso di accertamento dei reati, nella specie concretizzatosi) la società protagonista a un dissesto di proporz tanto più rilevante quanto più elevato sia l’accumulo nel tempo dell’inadempimento e la percentuale di incidenza dello stesso sull’intero movimento di affari della società (così Sez. n. 41055 del 04/07/2014, COGNOME, in motivazione sia pure in relazione al caso del perpetuarsi di operazione in frode all’Erario – ma la situazione non muta, ovviamente, rispetto al caso specie), laddove all’inadempimento delle obbligazioni tributarie consegue non solo la produzione di interessi ma anche l’applicazione di sanzioni.
Sicché, nell’ipotesi di fallimento causato da operazioni dolose non determinanti un immediato depauperamento della società, la condotta di reato è configurabile quando la realizzazione di tali operazioni si accompagni sotto il profilo dell’elemento soggettivo – com certamente nel caso di specie secondo la congrua ricostruzione svolta dai giudici di merito alla prevedibilità del dissesto come effetto della condotta antidoverosa (Sez. 5, n. 45672 del 1/10/2015, Lubrina, Rv. 265510).
1.5. L’ultimo motivo, che lamenta la manifesta illogicità della motivazione riguardo mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, è manifestamente infondato. Ed invero, la Corte di appello ha ampiamente e correttamente evidenziato le ragioni della condivisione del giudizio di equivalenza formulato dal primo giudice, sottolineand l’irrilevanza della revoca di alcune precedenti condanne (persistendo la condanna per alcune fattispecie di tipo contravvenzionale) e l’assenza di qualsiasi elemento utilmente valutabile fine di pervenire ad un giudizio di prevalenza.
E’ il caso di rammentare che costituisce jus receptum che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche – il giudizio di comparazione in termini di equivalenz – non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevol sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia ri a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o sup tale valutazione (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899); e che la concessione
delle attenuanti generiche richiede – e ciò a maggior ragione ove implichi una valutazione che superi la concomitante esistenza di aggravanti – l’apprezzamento di elementi positivi che orientino la discrezionalità affidata al giudice nella definizione del trattamento sanziona verso l’attribuzione di una sanzione meno afflittiva; ne consegue che le determinazioni de giudice di merito in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche son insindacabili in cassazione ove siano sorrette – come certamente nel caso di specie – da motivazione esente da vizi logico-giuridici (Sez. 6, n. 38780 del 17/06/2014, COGNOME, Rv 260460; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altro, Rv. 242419; Sez. 6, n. 7707 del 04/12,2003 – dep. 23/02/2004, P.G. in proc. COGNOME ed altri, Rv. 229768). Pertanto, deve ritenersi giustificato il diniego anche se si fondi sulla totale assenza di elementi positivamente valutabili; laddove ne caso di specie, secondo la congrua valutazione della Corte di appello, alla mancata emersione di elementi positivi di valutazione, si è aggiunta, da un lato, la sussistenza di prece penali risultanti a carico dell’imputato, sia pure di natura contravvenzionale, rit comunque indicativi della propensione dell’imputato a non rispettare la legge, e, dall’altro connotazione, grave, della vicenda in esame (a fronte della COGNOME secondo la Corte di appello il riconoscimento delle attenuanti generiche, sia pure in termini di equivalenza, sarebbe sta già frutto di benevola concessione).
Il motivo sul punto è dunque proprio inammissibile.
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legge, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/4/2024.