Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 31846 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 31846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BELMONTE MEZZAGNO il DATA_NASCITA avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, per il ricorrente, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 24 maggio 2023 dalla Corte di appello di Palermo, che ha parzialmente riformato – escludendo la recidiva, ritenendo le attenuanti prevalenti sulle aggravanti e rideterminando la pena – la
sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo che aveva condannato COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – in qualità di amministratore di fatto – avrebbe distratto i seguenti beni: un immobile sito in Palermo, ceduto alla propria figlia (COGNOME NOME) per il prezzo incongruo di euro 135.000,00, corrisposto mediante compensazione con un credito inesistente; un immobile sito in Palermo, ceduto alla figlia dell’amministratore unico COGNOME NOME (COGNOME NOME) per il prezzo incongruo di euro 143.000,00, corrisposto mediante compensazione con un credito inesistente; un’automobile “Fiat Croma”, trasferita a COGNOME NOME, senza alcun corrispettivo; i beni strumentali dell’impresa, alcuni dei quali conferiti alla “RAGIONE_SOCIALE“, avente quale amministratore COGNOME NOME.
L’imputato, inoltre, avrebbe tenuto i libri e le scritture contabili dell’impresa in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e il movimento degli affari della società.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216, 219 e 223 legge fall.
2.1.1. Il ricorrente sostiene che la Corte di appello non avrebbe verificato se i presunti atti di depauperamento del patrimonio societario contestati all’imputato avessero effettivamente comportato il venir meno delle garanzie patrimoniali per i creditori e se tali atti avessero inciso sull’aggravamento del dissesto della società fallita. Non avrebbe verificato se il pericolo concreto – consistente nella privazione delle garanzie patrimoniali per il soddisfacimento degli interessi dei creditori NOME stato determinato dalle condotte contestate all’imputato oppure NOME collegato al provvedimento di sequestro di prevenzione, disposto nei confronti della società. Secondo il ricorrente, sarebbero stati necessari accertamenti di carattere tecnico contabile per verificare se il progressivo depauperamento della società NOME stato causato non già dalle condotte contestate all’imputato, ma dall’interruzione dell’attività edilizia svolta dalla società, a causa del sequestro dei cantieri.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe omesso di considerare tutta una serie di elementi rilevanti.
In primo luogo, avrebbe del tutto ignorato il provvedimento di sequestro. Tale evento aveva inevitabilmente inciso sulla gestione della società, con rilevanti conseguenze in ordine al dissesto della società, all’omessa tenuta delle scritture
contabili e alla mancata adozione di tutte le condotte che avrebbero potu impedire il fallimento della società.
Avrebbe ignorato tutta la documentazione dalla quale risultava che l’attivit edilizia della società era stata interrotta a seguito del sequestro e dell’immi in possesso da parte dell’amministratore giudiziario.
Avrebbe ignorato che gli organi della curatela e la polizia giudiziaria n avevano evidenziato alcuna condotta sintomatica dell’eventuale sussistenza di profili di responsabilità penale.
Avrebbe, invece, fondato il giudizio di responsabilità esclusivamente sull dichiarazioni rese dall’amministratore giudiziario COGNOME e in partico sull’affermazione di quest’ultimo che non erano state rinvenute in contabil tracce di debiti della società da compensare con i crediti collegati alla vendita immobili descritti nell’imputazione.
2.1.2. Secondo il ricorrente, la valutazione della Corte di appello, che ritenuto insussistenti i crediti portati a compensazione del pagamento del prez per l’acquisto degli immobili, sarebbe contraddittoria sotto più profili.
La Corte di appello, invero, sarebbe caduta in contraddizione poiché, in una parte della sentenza, avrebbe affermato che, dalla contabilità, non risultava debiti nei confronti delle acquirenti degli immobili e, in altra parte, av affermato che il credito vantato da COGNOME NOME NOME riportato nella sch contabile in allegato numero 2.
Sarebbe, altresì, caduta in contraddizione nell’escludere che sussistesse prova di un credito vantato dall’imputato nei confronti della società, quando p avrebbe dato atto di una fattura emessa dall’imputato nei confronti della socie riportata nella scheda contabile in allegato numero 2.
Sarebbe caduta in contraddizione anche nel ritenere che la prova dell’insussistenza del credito vantato dall’imputato potesse desumersi dal fatto di esso non vi NOME traccia nelle scritture contabili, nonostante abbia ritenut scritture del tutto inaffidabili, fondando il giudizio di responsabilità in ordin bancarotta documentale proprio sulla irregolarità di tale documentazione.
La prova del credito compensato risultava sia dagli atti notarili stipulati pe vendita degli immobili che da un rendiconto di massima, relativo al rapporto d associazione in partecipazione tra la società fallita e l’imputato, dal emergeva che a quest’ultimo sarebbero spettati rilevanti importi, a titolo di ut crediti relativi a tale contratto di associazione emergevano anche dalle copie de dichiarazioni dei redditi presentate dall’imputato.
Il ricorrente sostiene che sia il suo credito personale che quello della fi erano legati al mancato percepimento delle retribuzioni per prestazioni lavorati
effettuate in favore della società. Tali crediti, essendo liquidi e certi, potevano essere compensati.
2.1.3. Con particolare riferimento alla presunta distrazione dell’automobile, il ricorrente sostiene che la Corte di appello avrebbe omesso di valutare se la distrazione di tale bene NOME idonea a determinare un’effettiva perdita di garanzia patrimoniale per i creditori. Al riguardo, evidenzia che l’imputato aveva rappresentato che il valore dell’automobile era inferiore a 1.000,00 euro e ne occorrevano almeno altri 1.000,00 per poterla riparare. In considerazione di tali dichiarazioni, la Corte di appello avrebbe dovuto valutare se l’auto in questione potesse costituire effettivamente un bene mobile economicamente e commercialmente valutabile.
Analoghe critiche il ricorrente muove in relazione alla presunta distrazione dei beni strumentali della fallita, rispetto ai quali non sarebbe stata fatta neppure una loro puntuale individuazione. In assenza di qualsiasi prova in ordine a un effettivo valore economico di tali beni, non sarebbe possibile ritenere integrata una condotta distrattiva.
2.1.4. Il ricorrente sostiene che le condotte addebitate all’imputato potrebbero al più esser sussunte nella diversa fattispecie della bancarotta semplice, quali condotte imprudenti o incaute, inserite in un contesto imprenditoriale molto difficile, aggravato dagli impedimenti di natura tecnica venutisi a creare con la sospensione dei lavori in corso nei cantieri.
Sotto altro profilo, il ricorrente lamenta il fatto che la Corte di appello non avrebbe valutato se le presunte distrazioni dei beni avessero portato un pericolo concreto alla garanzia patrimoniale dei creditori, considerato il sequestro operato in sede di misure di prevenzione.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello, in ordine all’elemento psicologico della bancarotta patrimoniale, avrebbe fornito «una motivazione tautologica», desumendo la prova dagli indici di fraudolenza delle condotte poste in essere nella fase precedente al fallimento, senza, però, operare una verifica in concreto che tenesse conto delle specifiche vicende vissute dalla società e, in particolare, dell’interruzione dei cantieri e del successivo sequestro.
Secondo il ricorrente, non sarebbe stata dimostrata la consapevole volontà dell’imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia per le obbligazioni contratte.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe fondato il giudizio di responsabili in ordine al reato di bancarotta fraudolenta documentale, anche con riferiment all’elemento soggettivo del reato, sulla sola base degli elementi desunti d relazione semestrale dell’amministratore giudiziario, non tenendo conto neppure delle sommarie informazioni rese alla polizia giudiziaria dal medesimo amministratore giudiziario, che, in data 3 maggio 2017, aveva riferito ch sebbene avesse rilevato delle anomalie nell’esposizione contabile di alcune pos di bilancio, non aveva elementi dai quali dedurre l’esistenza di eventuali operazi societarie anomale o fraudolente.
La Corte di appello non avrebbe considerato che le anomalie rilevate dall’amministratore giudiziario potevano costituire delle mere irregolarità, rilev sotto il profilo contabile o fiscale, ma non per questo idonee a integrare il re bancarotta fraudolenta documentale.
Il ricorrente sostiene che la Corte territoriale avrebbe erroneamente ritenu che l’imputato, avendo assunto la qualità di amministratore di fatto, NOME pe solo da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è sogget l’amministratore di diritto, senza considerare che l’imputato, in concreto, no era mai occupato della tenuta dei libri e delle scritture contabili, gestite due consulenti fiscali e dall’amministratore di diritto.
Il ricorrente sostiene che la mancanza dell’elemento soggettivo in ordine al bancarotta documentale sarebbe reso evidente proprio dal fatto che i giudici merito, in base a quanto risultava dalle scritture contabili, avevano ritenuto dimostrata l’esistenza del credito posto dall’imputato in compensazione con debito relativo all’acquisizione degli immobili descritti nell’imputazione. Ebbe sostiene il ricorrente, qualora l’imputato avesse effettivamente avuto la volontà tenere in modo irregolare le scritture contabili, NOME avrebbe operato su esse in modo tale da far risultare una situazione non compatibile con l’esisten del suddetto credito.
La Corte di appello, in ogni caso, sarebbe incorsa in errore non avendo inquadrato giuridicamente in maniera corretta le condotte contestate, ch andavano ricondotte nella meno grave fattispecie della bancarotta documentale semplice.
2.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 219 legge fall.
Contesta il mancato riconoscimento dell’attenuante della speciale tenuità de danno patrimoniale cagionato, sostenendo che la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere irrilevante la circostanza che i beni distratti erano stati, com sottoposti a sequestro nell’ambito del procedimento finalizzato all’applicazi della misura di prevenzione.
Il ricorrente sostiene che: l’entità del danno dovrebbe essere correlata concreta diminuzione che la condotta illecita provoca alla massa attiva; nel ca in esame, alcuna concreta diminuzione avrebbe subito la massa attiva, atteso che i beni descritti nell’imputazione, essendo stati sottoposti a sequestro, in ogni non avrebbero mai potuto effettivamente concorrere a formare la massa attiva; la prevalenza della misura di prevenzione rispetto alla procedura fallimentar avrebbe, comunque, impedito di soddisfare le pretese dei creditori con i beni questione.
Proprio il sequestro in questione, d’altronde, avrebbe indotto il Tribunale Palermo – Sezione fallimentare – a disporre il non luogo a provvedere all’ulteri accertamento del passivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
1.1.1. La prima censura è manifestamente infondata, atteso che, «ai fini dell sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non è necessar l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fall essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività» (Sez. U, n. 22 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804).
Così come, sotto il profilo soggettivo, non è richiesta la specifica conoscen del dissesto della società, essendo sufficiente la consapevole volontà di dar patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (Sez. 5, 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378).
Quanto alle deduzioni relative alle valutazioni della curatela e della pol giudiziaria in ordine ai profili di responsabilità penale, esse si presentano del generiche. Va, peraltro, evidenziato che il giudizio di responsabilità spet giudice e non alla curatela e alla polizia giudiziaria. Così come generich presentano le deduzioni relative alle valutazioni espresse dall’amministrat giudiziario, che, in ogni caso, attengono esclusivamente al merito della decision
1.1.2. La seconda censura è inammissibile, essendo completamente versata in fatto.
Il ricorrente, in realtà, non deduce alcun travisamento della prova o u manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedime
impugnato, ma offre al giudice di legittimità frammenti probatori o indiziari che tendono a sollecitare un’inammissibile rivalutazione dei fatti. Al riguardo, deve essere ribadito che esula «dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali» (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME).
La Corte di appello, in ogni caso, ha fornito un’ampia motivazione, rilevando che la parte non aveva fornito la prova della sussistenza dei crediti in questione e che, anche nella contabilità antecedente alla stipula dei contratti di vendita, non vi era alcuna traccia di crediti vantati dall’imputato e dalle acquirenti degli immobili.
Non emerge alcuna contraddizione nella motivazione della sentenza, nella parte in cui dà atto della scheda contabile cui fa riferimento il ricorrente – che trae origine da una fattura del 17 aprile 2014 -, in quanto la Corte di appello ha evidenziato che si trattava di una fattura che era stata emessa dopo la stipula del contratto di compravendita e che riportava una dicitura oltremodo generica di «non meglio precisati e dimostrati acquisti e spese fuori campo IVA». Risultava, dunque, arduo metterla in correlazione con i presunti crediti vantati in virtù del contratto di associazione (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Alcuna prova vi era dei presunti crediti vantati dalle acquirenti degli immobili e anche di essi non vi era traccia nella contabilità. Va rilevato che il giudice di primo grado (le cui valutazioni sono conformi a quelle della Corte di appello) aveva evidenziato che il presunto credito delle due donne non era determinato, appariva (dalle stesse dichiarazioni delle persone coinvolte nella vicenda) di valore irrisorio rispetto al valore degli immobili e non risultava in alcun modo contabilizzato (cfr. pag. 12 sentenza di primo grado).
Del tutto generica è la censura relativa all’inaffidabilità delle scritture contabili atteso che la Corte di appello ha ritenuto che la parte non avesse dato prova dell’esistenza dei crediti. Ha evidenziato, poi, che, nella contabilità antecedente alla stipula di questi contratti di vendita, non vi era traccia di questi crediti e che successivi documenti giustificativi addotti dagli interessati erano inidonei a sostenerne la sussistenza. Tale ricostruzione non palesa alcuna contraddizione rispetto alla ritenuta bancarotta fraudolenta documentale.
1.1.3. La terza censura è manifestamente infondata, atteso che questa Corte ha già avuto modo di evidenziare come ben può integrare il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la dismissione di beni strumentali obsoleti, distaccati dal patrimonio sociale in assenza di utile o corrispettivo, trattandosi di beni la cui
consistenza economica, sebbene minima, esigua o ridottissima, ben può essere idonea, comunque, a costituire garanzia per i creditori (Sez. 5, n. 31680 del 03/06/2021, Rv. 281768). Nel caso di specie, lo stesso imputato aveva affermato che l’auto aveva un valore di circa euro 1.000,00 e sembra difficile sostenere che tutti i beni strumentali di un’azienda edile non abbiano una consistenza economica, seppur minima.
1.1.4. La quarta censura è del tutto generica.
Il «contesto imprenditoriale molto difficile», gli «impedimenti di natura tecnica» e la pendenza del procedimento per l’applicazione della misura di prevenzione, invero, non giustificavano certo la distrazione di beni di rilevante valore. Al riguardo, va ribadito che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività.
La censura relativa alla riqualificazione del reato in bancarotta semplice è priva di specificità estrinseca, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 12 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Nella ricostruzione dei giudici di merito, infatti, emerge con chiarezza che le condotte erano caratterizzate dal dolo, visto che si trattava di operazioni distrattive, in favore della figlia dell’imputato, della figlia dell’amministratore diritto e di un’altra società dell’amministratore di diritto, realizzate, peraltro, anch mediante operazioni di “copertura”, costituite dalle presunte compensazioni.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Le deduzioni relative alla relazione semestrale dell’amministratore giudiziario sono generiche e versate in fatto. Il ricorrente, invero, senza dedurre determinanti vizi logici o effettivi travisamenti di prove, critica le valutazioni fatte dalla Corte appello, in ordine alle risultanze probatorie, in tal modo “scontrandosi” con i limiti del controllo di legittimità.
Le deduzioni con le quali il ricorrente sostiene che l’imputato non si sarebbe occupato direttamente della documentazione contabile, avendone lasciato la gestione all’amministratore di diritto e a ben due consulenti fiscali, sono basate su mere asserzioni e, in ogni caso, sono infondate in diritto.
Invero, «in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti forniti di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato
dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste un presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa» (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, Marelli, Rv. 280133).
Quanto alle deduzioni relative all’irregolare tenuta delle scritture contabili, va ribadito che i giudici di merito hanno evidenziato che, nella contabilità antecedente alla stipula dei contratti di vendita in questione, non vi era traccia di questi credit e che gli interessati si erano poi attivati per addurre documenti giustificativi del tutto inaffidabili. Tale motivazione non si pone affatto in contraddizione con la ritenuta bancarotta fraudolenta documentale.
La censura relativa alla riqualificazione del reato in bancarotta semplice è priva di specificità estrinseca, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 14 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
1.4. Il quarto motivo è infondato.
Questa Corte, invero, ha già evidenziato che, «in tema di bancarotta fraudolenta, la speciale tenuità del danno, integrativa dell’attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge 16 marzo 1942, n. 267, va valutata in relazione all’importo della distrazione, e non invece all’entità del passivo fallimentare, dovendo aversi riguardo alla diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita e non a quella prodotta dal fallimento» (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, Giannone, Rv. 277658).
La valutazione deve essere fatta con riferimento alla diminuzione patrimoniale determinata dall’azione del reo, al momento della consumazione del reato. Non deve, cioè, aversi riguardo al danno causato dal fallimento, ma al danno derivato dal fatto di bancarotta: è questo, invero, il fatto che costituisce l’illecito penale non il fallimento in sé considerato ed è, pertanto, errato riferirsi, nella valutazione del danno, all’entità del passivo o alla differenza tra attivo e passivo.
Quanto accaduto dopo la consumazione del reato costituisce un mero “post factum”, irrilevante. Nel caso in esame, pertanto, risultano irrilevanti gli esiti della procedura finalizzata all’applicazione della misura di prevenzione e la decisione del Tribunale di Palermo – Sezione fallimentare – di disporre il non luogo a provvedere all’ulteriore accertamento del passivo.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali.
Così deciso, il 14 maggio 2024
Il Consigliere estensore