Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1323 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1323 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 28/11/2024
QUINTA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. sez. 2147/2024
NOME COGNOME
UP Ð 28/11/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 29113/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME
– Relatore –
ha pronunciato la seguente sui ricorsi proposti da NOME NOME nato a Benevento il 3 luglio 1966; NOME nata a Benevento il 4 agosto 1992; NOME NOME nato a Benevento il 21 marzo 1989; NOME NOME nato a Benevento il 25 marzo 1991;
avverso la sentenza del 23 novembre 2023 della Corte dÕappello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore gene- rale, NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
NOME, NOME, NOME e NOME COGNOME venivano tratti a giudizio per rispondere, tutti, del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e, solo il primo, anche del reato di bancarotta fraudolenta documentale.
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, a) NOME COGNOME nella sua qualitˆ di amministratore di fatto o della societˆ RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 9 aprile 2015) e in concorso con la moglie, amministratrice di diritto (separatamente giudicata), avrebbe distratto la somma complessiva di circa 55.000 euro (mediante prelevamenti di denaro contanti e pagamento di fatture per operazioni non inerenti allÕattivitˆ sociale) e tenuto la contabilitˆ in modo tale da non permettere la puntuale ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari; b) tutti, invece, avrebbero concorso a distrarre due rami dÕazienda (ceduti al prezzo simbolico di 7.000 euro alla societˆ RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Sara RAGIONE_SOCIALE, amministrata, nei rispettivi periodi, da NOME NOME e NOME COGNOME) e i beni strumentali della fallita (ceduti, anchÕessi, in parte, alla RAGIONE_SOCIALE e, in parte, alla ditta individuale NOME di COGNOME NOME, ma senza riscuotere il relativo prezzo).
Propongono ricorso per cassazione sia NOME COGNOME che NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.1. Il ricorso di questi ultimi si compone di tre motivi dÕimpugnazione.
2.1.1. Il primo, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 216, 223 e 219 l. fall.), inosservanza di norma processuale (in relazione allÕart. 530 cod. proc. pen.) e connesso vizio di motivazione, attiene alla ritenuta responsabilitˆ dei ricorrenti a titolo di concorrenti extranei nel reato proprio di bancarotta fraudolenta patrimoniale commesso dagli amministratori della fallita (NOME COGNOME e NOME COGNOME) e lamenta, in particolare, lÕinsussistenza dellÕelemento soggettivo del reato. La difesa deduce, in particolare, lÕassenza di elementi probatori dai quali argomentare la piena consapevolezza, da parte dei ricorrenti (cessionari dei rami dÕazienda e dei beni strumentali della fallita), che la condotta posta in essere avrebbe determinato un depauperamento del patrimonio societario; assunto dedotto dalla Corte territoriale dal mero rapporto di parentela esistente con gli amministratori ( i figli degli amministratori non potevano non sapere delle difficoltˆ economiche dellÕazienda dei genitori ), valorizzando dati privi di forza inferenziale (quale lÕapertura di nuove attivitˆ da parte dei figli dellÕamministratrice in tempi prossimi alla messa in liquidazione dellÕattivitˆ materna e il pagamento in contanti) e svalutando illogicamente la spiegazione offerta dai ricorrenti quanto al parziale inadempimento (le temporanee difficoltˆ economiche sopravvenute) evento successivo alla cessione e non previsto al momento della stipula della stessa. Tutto ci˜, peraltro, senza indicare il valore in ipotesi congruo dei rami dÕazienda ceduti.
2.1.2. Il secondo, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 216, 223 e 219 l. fall.) e del connesso vizio di motivazione,
attiene alla qualificazione giuridica del fatto contestato, che, in ipotesi difensiva, mancando la prova del pactum sceleris tra lÕimprenditore e il terzo extraneus al momento della stipula delle cessioni, andrebbe sussunto nella diversa fattispecie di cui allÕart. 232, comma 3 n. 2, l. fall. e, quindi, punito a titolo di ricettazione fallimentare.
2.1.3. Il terzo, in ultimo, anche questo formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 216, 223 e 219 l. fall.) e del connesso vizio di motivazione, attiene alla sussistenza dellÕattenuante di cui allÕultimo comma dellÕart. 219 l. fall. (illogicamente negata, sostiene la difesa, nonostante la risalenza delle contestate condotte rispetto alla dichiarazione di fallimento e lÕesiguitˆ del credito azionato dal creditore istante) ed a quella di cui allÕart. 114 cod. pen. (invocata alla luce della limitata dimensione del vantaggio in ipotesi acquisito e del corrispondente danno arrecato ai creditori).
2.2. Il ricorso proposto nellÕinteresse di NOME COGNOME si compone di un unico motivo dÕimpugnazione, formulato sotto i profili della violazione di legge (in relazione agli artt. 2639 cod. civ., 216, 223 e 219 l. fall.) e del connesso vizio di motivazione, con il quale si censura il ribaltamento della decisione assunta in primo grado e, quindi, il ritenuto esercizio delle funzioni gestorie in capo al ricorrente e la conseguente attribuzione della qualifica di amministratore (di fatto) della societˆ fallita, originariamente escluse in primo grado. La Corte territoriale, sostiene la difesa, avrebbe omesso di offrire una valida argomentazione a supporto della ritenuta responsabilitˆ, idonea a superare le criticitˆ evidenziate nellÕoriginaria pronuncia assolutoria e, quindi, avrebbe desunto lÕesercizio delle funzioni gestorie da parte del ricorrente alla luce di due elementi indiziari privi di rilevanza specifica e univocitˆ: la circostanza, riferita dalla curatrice del fallimento, secondo cui sarebbe stato NOME COGNOME e non la moglie, a presentarsi come suo interlocutore nelle varie interlocuzioni avute allÕinterno della procedura fallimentare (ritenuta irrilevante in primo grado in quanto indicativa solo della persona deputata a tenere i rapporti con la curatrice) e le testimonianze raccolte, nella fase delle indagini preliminari, da alcuni ex dipendenti della societˆ fallita (ritenute irrilevanti alla luce della esiguitˆ del numero dei dipendenti che avrebbero riferito circostanze significative).
Il ricorso proposto nellÕinteresse dei concorrenti extranei , NOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME è complessivamente inammissibile.
1.1. il primo motivo è indeducibile.
LÕ extraneus concorre nel reato di bancarotta fraudolenta tutte le volte in cui fornisce un contributo causale, volontario e consapevole, al depauperamento del patrimonio sociale posto in essere dallÕ intraneus . Del tutto irrilevante, invece, è la specifica conoscenza del dissesto della societˆ, che pu˜, al massimo, rilevare sul piano probatorio quale indice significativo della rappresentazione della pericolositˆ della condotta per gli interessi dei creditori (Sez. 5, n. 4710 del 14/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278156).
Ci˜ considerato, non essendo rilevante, per come si è detto, la specifica conoscenza del dissesto della societˆ e non essendo oggetto di censura la sussistenza di un contributo causale del ricorrente (essendo i ricorrenti amministratori della societˆ o titolari dellÕimpresa individuale cessionarie dei rami dÕazienda e dei beni strumentali), la consapevolezza del pregiudizio arrecato ai creditori è ampiamente desumibile, per i trasferimenti dei rami dÕazienda, dalla oggettiva differenza tra il prezzo di acquisto (7.000 euro per entrambi i rami) e quello di rivendita di uno solo di essi (23.000 euro, avvenuta poco più di un anno dopo) e, per i beni strumentali, dal dato oggettivo dellÕomesso pagamento del prezzo, circostanza che si colora di significato se letta alla luce delle specifiche circostanze valorizzate dalla Corte territoriale: lo stretto rapporto di parentela e le convergenti dichiarazioni rese dalla curatrice del fallimento e dagli ex dipendenti della societˆ.
A fronte di ci˜, per come formulate, le censure sollevate dai ricorrenti si risolvono in una differente ricostruzione del dato fattuale e in una connessa rivalutazione del materiale probatorio, attivitˆ che, comÕè noto, è preclusa a questa Corte, chiamata non giˆ a condividere la giustificazione offerta allÕipotizzata ricostruzione dei fatti, ma alla sola verifica di logicitˆ e coerenza delle argomentazioni offerte (cfr., ex multis , Sez. 5, n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Moro, Rv. 215745).
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va premesso che il reato di ricettazione fallimentare previsto dall’art 232 comma 3, n. 2, l. fall., finalizzato a rafforzare la tutela dei creditori del fallito, sanziona coloro che, approfittando della situazione di dissesto dell’imprenditore, realizzano illeciti lucri in danno delle ragioni dei creditori (Sez. 5, n. 12229 del 14/05/1976, COGNOME, Rv. 134842).
La fattispecie si struttura, sotto il profilo soggettivo, in termini di dolo generico (che, in concreto, si sostanzia nella mera consapevolezza da parte del terzo che i beni da lui ricevuti o acquistati provengono da un’azienda in dissesto: Sez. 5, n. 5740 del 25/02/1976, Castronovo, Rv. 134231) e presuppone, anche se non stabilito espressamente (come nel caso della ricettazione postfallimentare), che non vi sia stato concorso nel delitto di bancarotta.
Ebbene, la Corte territoriale ha dato atto, per come si è detto in precedenza, della sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del concorso nella bancarotta commessa dallÕamministratore. E tanto esclude la configurabilitˆ del reato di ricettazione fallimentare invocato dalla difesa.
1.3. Indeducibile, infine, il terzo motivo.
I ricorrenti, per come si è detto, invocano il riconoscimento delle attenuanti di cui agli artt. 219 l. fall. e 114 cod. pen. e deducono, sotto il primo profilo, la risalenza delle contestate condotte rispetto alla dichiarazione di fallimento e lÕesiguitˆ del credito azionato dal creditore istante il fallimento e, sotto il secondo, la limitata dimensione del vantaggio in ipotesi acquisito e del corrispondente danno arrecato ai creditori.
La speciale tenuitˆ del danno, integrativa dell’attenuante di cui all’art. 219, comma 3, legge 16 marzo 1942, n. 267 va valutata in relazione all’importo della distrazione e alla connessa diminuzione patrimoniale determinata dalla condotta illecita (Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, COGNOME, Rv. 277658); lÕattenuante di cui allÕart. 114 cod. pen., invece, presuppone l’assunzione, da parte del concorrente, di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale cos’ lieve, rispetto all’evento, da risultare trascurabile nell’economia generale del crimine commesso. Entrambe si strutturano, quindi, intorno ad un apprezzamento del dato fattuale (la diminuzione patrimoniale e lÕefficacia causale della condotta) che, in quanto, tale, è insindacabile da questa Corte se non sotto i profili della logicitˆ e coerenza delle argomentazioni offerte a sostegno della valutazione prospettata.
La Corte territoriale, facendo corretta applicazione di tali principi, ha ritenuto lÕinsussistenza delle invocate attenuanti dando atto, da un canto, dellÕentitˆ dei beni (i rami dÕazienda e i beni strumentali) e delle connesse capacitˆ reddituali sottratte (anche alla luce delle condizioni economiche della societˆ) e, dallÕaltro, dellÕessenzialitˆ della partecipazione dei ricorrenti, cessionari dei cespiti sottratti alla fallita. E, a fronte di ci˜, i ricorrenti si sono limitati, ancora una volta, a prospettare una rivalutazione del dato probatorio (attivitˆ, per come si è avuto modo di rilevare in precedenza, preclusa a questa Corte), prospettando, tra lÕaltro, dati in sŽ irrilevanti, quali la risalenza nel tempo e lÕentitˆ del credito azionato dal ricorrente nel giudizio prefallimentare, in relazione allÕattenuante della particolare tenuitˆ del danno, e il vantaggio conseguito unitamente al danno arrecato, quanto allÕinvocata minima partecipazione.
Complessivamente infondato è lÕunico motivo del ricorso proposto nellÕinteresse di NOME COGNOME
Va premesso, per quanto rileva in questa sede, che si è di fronte ad una sentenza di appello che – sulla base dello stesso materiale probatorio valutato dal
giudice di primo grado ed in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero – ha riformato l’originaria assoluzione (in relazione al reato associativo), giungendo ad una simmetrica pronuncia di condanna.
Il giudizio, tuttavia, è stato celebrato con le forme del rito abbreviato. E in tali casi lÕesplicito disposto del comma 3bis dellÕart. 603 cod. proc. pen. e la stessa giurisprudenza comunitaria (Corte EDU, COGNOME e COGNOME c. Italia, del 25 marzo 2021) escludono la necessitˆ di assumere ( ex novo ) le prove dichiarative. Residua, invece, lÕesigenza di superare quella presunzione di innocenza e quel Òragionevole dubbioÓ nascente dall’originaria assoluzione, che la Corte d’appello ha inteso ribaltare. Un’esigenza, tuttavia, che ben pu˜ essere soddisfatta solo sotto un profilo motivazionale, attraverso l’enucleazione di un percorso argomentativo dissenziente dotato di adeguata e maggiore persuasivitˆ, che indichi gli specifici passaggi logici necessari per confutare analiticamente le ragioni poste dal primo giudice a sostegno della sua decisione, dimostrando puntualmente l’insostenibilitˆ sul piano logico e giuridico degli argomenti più rilevanti della sentenza di primo grado.
Tale onere è stato ampiamente assolto, avendo la Corte territoriale dato atto di tutti gli elementi dai quali dedurre, contrariamente a quanto ritenuto in primo grado, lÕesercizio in fatto delle funzioni gestorie da parte dellÕimputato; accertamento che si traduce nel riscontro di elementi sintomatici dell’inserimento organico di un soggetto in qualunque settore gestionale dell’attivitˆ economica, sia esso aziendale, produttivo, amministrativo, contrattuale o disciplinare (Sez. 5, n. 35346 del 20/06/2013, Rv. 256534; Sez. 5, n. 8479 del 28/11/2016, dep. 2017, Rv. 269101). Accertamento che, se sostenuto da motivazione congrua e logica, è insindacabile in sede di legittimitˆ, in quanto oggetto di un apprezzamento di fatto riservato ai giudici di merito (Sez. 5, n. 22413 del 14/04/2003, rv. 224948; Sez. 1, 12/05/2006, n. 18464, Rv. 234254).
Ebbene, la Corte ha dedotto lÕesercizio in fatto delle funzioni gestorie dalle dichiarazioni rese dalla curatrice e dagli ex dipendenti della societˆ: il COGNOME era stato lÕinterlocutore della curatrice (negli incontri finalizzati alla ricostruzione della consistenza patrimoniale e della gestione degli affari), indicato dalla stessa COGNOME (la moglie, amministratrice di diritto), che le aveva fornito il relativo contatto telefonico; era costantemente presente in azienda (a dispetto della sua dichiarata mansione di fornitore di prodotti dolciari e di panetteria); provvedeva a selezionare il personale; teneva rapporti con i fornitori e i relativi rappresentanti. Tutto elementi colorati dal rapporto familiare che legava lÕimputato allÕamministratrice di diritto e dalla contenuta dimensione dellÕimpresa.
La motivazione è logica e coerente e, per quanto più volte osservato, nel suo contenuto intrinseco, insindacabile in questa sede.
In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati e i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Cos’ deciso il 28 novembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente NOME COGNOME
NOME COGNOME