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Bancarotta fraudolenta: la responsabilità del prestanome

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un imprenditore e del liquidatore, qualificabile come ‘prestanome’. La sentenza chiarisce che una serie di operazioni complesse, volte a spogliare una società del proprio patrimonio prima del fallimento, costituisce un’unica condotta dissipativa. Viene affermata la piena responsabilità penale del prestanome che, con il suo contributo consapevole, ha reso possibile l’esecuzione del piano criminoso.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: Anche il Prestanome Risponde del Reato

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 28094/2024 affronta un caso complesso di bancarotta fraudolenta, offrendo importanti chiarimenti sulla responsabilità penale di chi, pur agendo come mero ‘prestanome’, contribuisce in modo determinante alla spoliazione di un’azienda. Questa pronuncia ribadisce come i giudici debbano guardare alla sostanza delle operazioni societarie, al di là del loro aspetto formale, per individuare le condotte illecite.

I Fatti: La Dissipazione del Patrimonio Societario

Il caso riguarda il fallimento di una società, preceduto da una serie di operazioni finanziarie e societarie architettate per svuotarne il patrimonio a danno dei creditori. La vicenda ha origine da una storica società di famiglia, la ‘Alfa S.p.A.’, che viene prima trasformata in S.r.l. e poi ceduta a una società di diritto inglese, la ‘Beta Ltd’.

Successivamente alla cessione, la società viene rinominata ‘StarBusiness S.a.s.’, posta in liquidazione e affidata a un nuovo liquidatore, risultato essere un mero prestanome dell’imprenditore originario. Secondo l’accusa, i due imputati avrebbero dissipato il patrimonio della società attraverso diverse manovre, tra cui:

1. Il pagamento di fatture per consulenze (una perizia immobiliare e una per il trasferimento della sede all’estero) ritenute estranee all’interesse sociale e finalizzate unicamente a favorire gli interessi privati della famiglia dell’imprenditore.
2. L’azzeramento di un cospicuo credito di 450.000 euro vantato dalla società fallita verso un’altra azienda del gruppo (‘Futura S.a.s.’), convertendolo in una quota di minoranza del 49% del capitale di quest’ultima.
3. La successiva vendita di tale quota a un Trust per un prezzo irrisorio di 49.000 euro, a fronte di un valore stimato di oltre 437.000 euro.

Il risultato finale di queste operazioni è stato un drastico depauperamento del patrimonio societario, con un recupero effettivo per i creditori di soli 14.000 euro a fronte del credito iniziale di 450.000 euro.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi di entrambi gli imputati, confermando la loro condanna per bancarotta fraudolenta. I giudici di legittimità hanno ritenuto che le motivazioni della Corte d’Appello fossero logiche, coerenti e giuridicamente corrette, respingendo le argomentazioni difensive che tentavano di giustificare singolarmente le operazioni contestate.

Le Motivazioni: La Visione Unitaria dell’Operazione Dissipativa

Il punto centrale della sentenza risiede nella valutazione unitaria e complessiva di tutte le operazioni poste in essere. La Corte ha stabilito che non è possibile analizzare ogni singolo atto in modo isolato, ma occorre considerarli come le tessere di un unico mosaico finalizzato a un unico obiettivo: la dissipazione del patrimonio sociale.

La Corte ha evidenziato come le varie fasi (trasformazione del credito, cessione della quota al trust, pagamenti ingiustificati) fossero strettamente collegate e realizzate in un breve arco temporale, dimostrando l’esistenza di un piano preordinato a danno dei creditori. Il trasferimento della sede all’estero, ad esempio, è stato qualificato come un’operazione di mera facciata, priva di reale interesse per la società e volta unicamente a sottrarla alla dichiarazione di fallimento in Italia.

La Responsabilità del Prestanome nella Bancarotta Fraudolenta

Di particolare rilievo è l’analisi della posizione del liquidatore, difesosi sostenendo di essere stato un semplice prestanome. La Cassazione ha smontato questa difesa, chiarendo che assumere consapevolmente cariche formali (procuratore, liquidatore, trustee) e compiere gli atti necessari a realizzare il piano criminoso costituisce un contributo causale determinante al reato.

Il fatto di agire dietro corrispettivo e di prestarsi a un disegno illecito altrui non esclude la responsabilità penale, ma la fonda. L’imputato, accettando i ruoli chiave, ha fornito al co-imputato un contributo essenziale per la realizzazione dei suoi propositi dissipativi. La sua non è stata una mera presenza passiva, ma una partecipazione attiva e consapevole all’intera operazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza rappresenta un importante monito. In primo luogo, conferma che nel diritto penale fallimentare conta la sostanza economica delle operazioni e non la loro veste formale. Atti apparentemente legittimi, se inseriti in un contesto finalizzato a danneggiare i creditori, possono integrare il reato di bancarotta fraudolenta.

In secondo luogo, la pronuncia delinea con chiarezza i rischi per chi accetta di fungere da ‘prestanome’. Ricoprire cariche sociali non è mai un’attività priva di conseguenze. Qualora si contribuisca, anche solo eseguendo direttive altrui, a un’operazione illecita, si è chiamati a risponderne penalmente in concorso con gli ideatori del piano. La consapevolezza di partecipare a un’operazione anomala è sufficiente per fondare la responsabilità penale.

Può un’operazione formalmente lecita essere considerata dissipativa ai fini della bancarotta fraudolenta?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che una serie di operazioni, sebbene singolarmente possano apparire lecite, devono essere valutate nel loro complesso. Se risultano parte di un unico disegno finalizzato a spogliare la società del suo patrimonio a danno dei creditori, integrano il reato di bancarotta fraudolenta, poiché si guarda alla loro sostanza e al risultato finale.

Chi è il ‘prestanome’ e qual è la sua responsabilità nel reato di bancarotta fraudolenta?
Il ‘prestanome’ è una persona che accetta di ricoprire formalmente una carica sociale (come amministratore o liquidatore) agendo però nell’interesse e secondo le direttive di un altro soggetto. Secondo la sentenza, il prestanome risponde in concorso nel reato di bancarotta se fornisce un contributo consapevole e determinante all’operazione illecita, anche se si limita a eseguire gli atti formali necessari per il compimento del piano criminoso.

Come valuta la Corte una serie di operazioni complesse che portano alla diminuzione del patrimonio di una società fallita?
La Corte valuta tali operazioni in modo unitario e complessivo, non frammentandole in singoli atti. Se emerge che le diverse fasi sono collegate tra loro e mirano a un unico fine illecito (la dissipazione dei beni sociali), vengono considerate come un’unica, complessa operazione dissipativa. È l’intento e l’effetto finale a determinare la natura fraudolenta della condotta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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