Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28094 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28094 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 24/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a BERGAMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/06/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il hcorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per l’imputato COGNOME NOME, che ha chiesto di accogliere il ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, per l’imputato COGNOME NOMENOME NOME:he ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata pronunziata il 27 giugno 2023 dalla Corte di appello di Brescia, che ha parzialmente riformato – limitatamente al giudizio di bilanciamento delle circostanze, al trattamento sanzionatorio e alle statuizioni civili – la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME per il reato di bancarotta fraudolenta, commesso in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 21 aprile 2016.
La società fallita aveva quale oggetto sociale lo svolgimento di attività edile ed era stata costituita, il 3 maggio 1988, dalla famiglia COGNOME con la denominazione di “RAGIONE_SOCIALE” e con sede sociale in Palazzago, nell’immobile concesso in locazione dalla “RAGIONE_SOCIALE“, altra società della medesima famiglia.
Il 4 dicembre 2014, la “RAGIONE_SOCIALE” era stata trasformata in RAGIONE_SOCIALE.
Il 10 marzo 2015, la famiglia COGNOME aveva ceduto tutto il capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE a una società di diritto inglese “RAGIONE_SOCIALE“, rappresentata da COGNOME NOME.
All’esito dell’assemblea del 12 marzo 2015, la “RAGIONE_SOCIALE“, in liquidazione, era stata trasformata in “RAGIONE_SOCIALE“. Sempre nel marzo 2015, COGNOME NOME, già procuratore di “RAGIONE_SOCIALE“, era stato nominato liquidatore.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, COGNOME NOME (in qualità di liquidatore e di rappresentante legale dal 4 dicembre al 12 marzo 2015) e COGNOME NOME (in qualità di amministratore dal 12 marzo 2015 alla data del fallimento) avrebbero dissipato il patrimonio della società mediante le seguenti operazioni:
pagando, nel marzo 2015, una fattura emessa dall’ingegnere NOME COGNOME, in relazione all’attività di valutazione di alcuni immobili della società “RAGIONE_SOCIALE“, dall’importo di euro 4.888,00, che non trovava alcuna giustificazione nella documentazione della fallita;
pagando, nell’agosto 2015, una fattura emessa dalla “RAGIONE_SOCIALE“, dall’importo di euro 12.200,00, a supporto della quale non vi era alcuna documentazione;
azzerando il credito di euro 450.000,00, vantato dalla fallita nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE“, per effetto del conferimento di tale credito a titolo di sottoscrizione dell’aumento di capitale della “RAGIONE_SOCIALE” (più precisamente: RAGIONE_SOCIALE deliberava l’aumento di capitale per
nominali euro 1.057,00, con sovrapprezzo di 448.943,00 euro; l’aumento di capitale veniva interamente sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE, mediante rinuncia al proprio credito corrispondente, in modo tale da risultare, al termine dell’operazione stessa, titolare del 49% del capitale sociale di RAGIONE_SOCIALE);
vendendo la quota del 49% della “RAGIONE_SOCIALE“, detenuta dalla fallita, al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 49.000,00, a fronte del valore del patrimonio netto della società stimato in euro 893.000,00 e, conseguentemente, della quota ceduta di euro 437.570,00.
Avverso la sentenza della Corte di appello, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo dei loro difensori di fiducia.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di due motivi.
3.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 219 e 223 legge fall.
3.1.1. Con una prima censura, contesta la natura dissipativa del pagamento, nel marzo 2015, della fattura emessa dall’ingegnere NOME COGNOME, in relazione all’attività di valutazione di alcuni immobili della società “RAGIONE_SOCIALE“, dall’importo di euro 4.888,00.
Rappresenta che l’incarico all’ingegnere NOME COGNOME era stato conferito al solo scopo di conoscere la consistenza del patrimonio immobiliare della famiglia COGNOME, al fine di una sua eventuale utilizzazione per l’ammissione della società alla procedura del concordato preventivo. Tanto premesso, contesta la motivazione della Corte di appello, che aveva ritenuto scarsamente rilevante tale circostanza, in considerazione del fatto che, al momento del pagamento, era già tramontata l’ipotesi di accedere al concordato preventivo. Al riguardo, il ricorrente evidenzia che il momento decisivo sarebbe stato non quello dell’avvenuto pagamento, ma quello del conferimento dell’incarico. Inquadrata correttamente l’operazione, a tutto concedere, si sarebbe potuta valutare la natura preferenziale del pagamento.
3.1.2. Con una seconda censura, contesta la natura dissipativa del pagamento, nell’agosto 2015, di una fattura emessa dalla “RAGIONE_SOCIALE“, dall’importo di euro 12.200,00.
Al riguardo, evidenzia che tale fattura riguardava il pagamento delle spese per l’attività amministrativa svolta in relazione al trasferimento della sede della società negli Stati Uniti. Il ricorrente evidenzia che, a prescindere da qualsiasi valutazione sull’opportunità del trasferimento della sede societaria, rimaneva il
fatto che tale trasferimento era stato fatto e che, per realizzarlo, era stato necessario affrontare delle spese.
3.1.3. Con una terza censura, contesta la natura dissipativa dell’operazione con la quale il credito di euro 450.000,00, vantato dalla fallita nei confronti della società “RAGIONE_SOCIALE“, era stato conferito a titolo di sottoscrizione dell’aumento di capitale.
Rappresenta che: il credito vantato dalla fallita nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” ammontava ad euro 1.250.000,00; all’inizio del 2014, il debitore aveva restituito la somma di euro 780.000,00; la restituzione era stata possibile grazie a un mutuo con il quale il debitore aveva ipotecato il capannone industriale di sua proprietà, ricevendo la somma di euro 800.000, quasi integralmente “girato” al creditore; all’esito di tale operazione, residuava un credito di circa euro 450.000,00.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che la Corte di appello, nel ritenere che il credito in questione potesse essere facilmente soddisfatto, attesa la solvibilità del debitore, non avrebbe tenuto conto del fatto che quest’ultimo, con il mutuo sopradescritto, aveva ipotecato l’unico bene di rilevante valore di sua proprietà. Non aveva altresì tenuto conto che il valore attribuito al 49% del capitale della “RAGIONE_SOCIALE“, per l’azzeramento del credito, risultava del tutto congruo, sulla base della valutazione d& patrimonio di quest’ultima società, come stimato dalla perizia della dr.ssa COGNOME. Così come non avrebbe considerato che il 49% del capitale di una società, sebbene relativo ad una quota di minoranza, manterrebbe comunque una sua rilevanza, atteso il peso non indifferente che hanno i soci di minoranza nell’adozione delle decisioni più importanti nella vita della società.
Sarebbe, pertanto, del tutto incomprensibile la valutazione dei giudici di merito che avevano riconosciuto natura meramente dissipativa all’operazione in esame.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che mancherebbe del tutto la prova della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, evidenziando che sarebbe del tutto illogico, come ritenuto dai giudici di merito, che una persona, supportata dalla volontà di dissipare i beni della società, dirottasse il cospicuo finanziamento ottenuto con il mutuo ipotecario proprio a favore di quella stessa società. Né si potrebbe ritenere, come sostenuto dalla Corte di appello, che le somme ottenute mediante il mutuo dovessero necessariamente essere destinate alla società, in considerazione del fatto che l’operazione era stata governata da “Intesa Sanpaolo”. A tal riguardo, il ricorrente evidenzia che, dal testo del contratto, non emergeva che le somme ricevute a seguito del mutuo dovessero essere messe a disposizione della banca.
3.1.4. Con una quarta censura, contesta la natura dissipativa della vendita della quota del 49% della “RAGIONE_SOCIALE“, detenuta dalla fallita, al RAGIONE_SOCIALE.
In primo luogo, evidenzia che: secondo le intenzioni delle parti, l’operazione contestata doveva consistere in un semplice conferimento della quota nel trust e non in una vendita; era stato poi il notaio a decidere di ricorrere a una vendita e di fissare il prezzo nell’importo di euro 49.000,00, per non gravare l’atto da eccessivi oneri fiscali.
In secondo luogo, evidenzia che, all’art. 6 dell’atto istitutivo del trust, e previsto che tutti i beni conferiti nel trust, nell’eventualità in cui la società f interessata da una procedura concorsuale, sarebbero stati restituiti alla società conferente, a semplice richiesta dell’organo della procedura. E, infatti, una volta dichiarato il fallimento, il curatore aveva chiesto di rientrare in possesso dei beni e la richiesta aveva ricevuto riscontro, con la messa a disposizione della procedura fallimentare di tutti i beni, comprese le quote della RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di mancata assunzione di una prova decisiva.
Contesta il rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe fornito alcuna motivazione a supporto della decisione.
Rappresenta che la difesa, con i motivi di gravame, aveva chiesto che venissero acquisiti i bilanci degli anni 2014 e 2015 della RAGIONE_SOCIALE e il contratto di mutuo stipulato con la Banca Intesa San NOME.
Dai primi due documenti sarebbe stato possibile desumere che la RAGIONE_SOCIALE non aveva la capacità patrimoniale e reddituale per provvedere alla restituzione della parte residua del finanziamento a suo tempo concesso. Il terzo documento avrebbe consentito di valutare l’effettiva portata del contrat:to di mutuo e di stabilire se la destinazione delle somme ottenute dovesse essere necessariamente vincolata alle decisioni dell’istituto bancario oppure fosse lasciata alla libera scelt dell’imputato.
Nonostante l’evidente rilevanza dei documenti, la Corte di appello avrebbe respinto la richiesta di rinnovazione dell’Istruttoria, senza fornire alcuna motivazione.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di sei motivi.
4.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 27 Cost. e 40 e 110 cod. pen.
Rappresenta che l’imputato è stato condannato, in concorso con COGNOME NOME, anche per avere azzerato il credito di euro 450.000,00 vantato dalla fallita nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“, per effetto del conferimento del credito nell’aumento di capitale della società debitrice.
Tanto premesso, il ricorrente evidenzia che: la suddetta operazione aveva avuto luogo in data 4 dicembre 2014, alilorché la RAGIONE_SOCIALE era stata trasformata in s.r.l. e messa in liquidazione volontaria per riduzione del capitale sotto il limite legale e, contestualmente, la RAGIONE_SOCIALE deliberava il proprio aumento di capitale per nominali euro 1.057,00, con sovrapprezzo di 448.943,00 euro; l’aumento di capitale era stato interamente sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, mediante rinuncia al proprio credit corrispondente, in modo tale da risultare, al termine dell’operazione stessa, titolare del 49% del capitale di RAGIONE_SOCIALE
Tale operazione di trasformazione del credito in partecipazione sociale era stata posta in essere, da un lato, da RAGIONE_SOCIALE, nella quale il COGNOME non aveva mai ricoperto alcun ruolo, e, dall’altro, da RAGIONE_SOCIALE, quando essa non aveva ancora mutato la propria denominazione in RAGIONE_SOCIALE e, soprattutto, quando il COGNOME non aveva ancora assunto alcuna carica societaria.
L’operazione, dunque, sarebbe stata realizzata senza alcun intervento di COGNOME, che avrebbe assunto un ruolo nelle vicende oggetto del presente procedimento solo a partire dal 26 marzo 2015, allorché era divenuto liquidatore di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
All’imputato, al più, potrebbe essere contestata la fattispecie di cui all’art. 379 cod. pen., per avere aiutato il COGNOME ad assicurare il prodotto del reato.
4.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di motivazione.
4.2.1. Con una prima censura, sostiene che le condotte poste in essere dall’imputato non avrebbero dato origine alla dissipazione dei beni societari. Il trasferimento della partecipazione in “RAGIONE_SOCIALE” al trust RAGIONE_SOCIALE, in particolare, non aveva avuto alcun effetto dissipativo, atteso c:he, come previsto dall’atto costitutivo del trust, la partecipazione era stata restituita, con valo immutato, al fallimento. La presunta dissipazione, eventualmente, sarebbe stata realizzata con la precedente operazione, realizzata quando l’imputato non aveva assunto ancora alcuna carica societaria.
4.2.2. Con una seconda censura, sostiene che: la Corte di appello non avrebbe tenuto conto del fatto che l’operazione contestata doveva consistere in un semplice conferimento delle quote nel trust e non in una vendita; sarebbe stato il notaio a decidere di ricorrere a una vendita e di fissare il prezzo nell’importo di euro 49.000,00, per non gravare l’atto da eccessivi oneri fiscali; il notaio,
n -)
contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte di appello, non avrebbe mai negato di aver consigliato tale cessione; il notaio, come sarebbe desumibile dalle dichiarazioni da lui rese, avrebbe indirizzato l’operazione in questione e, in ogni caso, avrebbe avuto rapporti solo con l’AVV_NOTAIO COGNOME e con il signor COGNOME. L’imputato, pertanto, non avrebbe fornito il benché minimo apporto all’operazione.
4.2.3. Con una terza censura, contesta l’attribuzione all’imputato delle operazioni dissipative realizzate con i pagamenti in favore dell’ingegnere COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, sostenendo che tale attribuzione, seppur ineccepibile dal punto di vista formale, non terrebbe minimamente conto del fatto che l’imputato aveva assunto le cariche dalle quali era scaturita l’imputazione solo su richiesta dei professionisti della famiglia COGNOME e, nello specifico, del signor COGNOME All’imputato era stato semplicemente prospettato di dover ricoprire la carica formale nell’ambito del trust; solo in un secondo momento gli era stato prospettato di intervenire, quale procuratore della società di diritto britannico RAGIONE_SOCIALE, per l’acquisto delle quote RAGIONE_SOCIALE (che, nel frattempo, aveva assunto la denominazione di RAGIONE_SOCIALE) e di assumere la carica di liquidatore di RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE. Il tutto, in ogni caso, sarebbe avvenuto all’unico scopo di evitare che, nel caso in cui la società fosse stata dichiarata fallita, il nominativo di COGNOME NOME potesse essere legato al fallimento. L’imputato avrebbe rivestito un ruolo meramente formale e non avrebbe avuto il potere di disporre delle risorse finanziare delle società.
4.2.4. Con una quarta censura, sostiene che la Corte d’appello non si sarebbe soffermata sulla notevole complessità delle operazioni in questione, che non potevano che essere riconducibili ai professionisti intervenuti nella vicenda. L’imputato sarebbe intervenuto in tali operazioni con il ruolo di mero prestanome, adempiendo alle formalità, di volta in volta, richiestegli.
4.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe aderito illogicamente alle dichiarazioni del curatore, che aveva riferito di essersi trovato costretto a esercitare il diritto di recesso e accettare una stima del controvalore della quota di soli 80.000 euro, riscuotendone in concreto solo 14.000.
Il ricorrente contesta tale affermazione del curatore, evidenziando che la scelta della curatela di recedere dalla società non era obbligata, dal momento che il fallimento aveva a disposizione lo strumento dell’azione revocatoria per ripristinare la precedente situazione.
Il recesso da RAGIONE_SOCIALE, con la conseguente accettazione di una stima della quota di soli 80.000 euro, era stata una scelta della procedura fallimentare e non poteva essere ricollegata alla precedente cessione della quota al trust, che non
aveva determinato alcun effetto dissipativo, considerato che la quota era stata poi restituita al fallimento al suo stesso valore nominale.
4.4. Con un quarto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Il ricorrente sostiene che i giudici di merito avrebbero errato nell’attribuire natura dissipativa all’operazione di trasformazione del credito vantato dalla fallita nei confronti di RAGIONE_SOCIALE in quote di quest’ultima società. I giudici di merito, infatti, avrebbero ignorato che questa trasformazione costituiva parte di un’operazione più ampia, che ricomprendeva anche il precedente pagamento della somma di euro 780.000,00, ideata dai professionisti della famiglia COGNOME e concordata con Intesa Sanpaolo.
I giudici di merito, inoltre, non avrebbero tenuto adeguatamente conto del fatto che, con specifico riferimento alla trasformazione della parte residua del credito in quote societarie, il valore di queste ultime era stato commisurato al valore del patrimonio societario.
4.5. Con un quinto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Il ricorrente contesta l’addebito all’imputato dei pagamenti effettuati in favore dell’ingegnere COGNOME e della RAGIONE_SOCIALE, per il solo fatto che egli rivestisse la carica di amministratore della RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo, il ricorrente ribadisce che l’imputato era una rnera testa di legno e che, nel corso dell’istruttoria, non era emersa alcuna prova idonea a dimostrare che i pagamenti in questione fossero riconducibili alla responsabilità dell’imputato.
Con specifico riferimento al pagamento effettuato in favore dell’ingegnere COGNOME, il ricorrente evidenzia inoltre che si trattava del corrispettivo previsto p un’attività che il professionista aveva svolto in epoca anteriore all’ingresso dell’imputato nella RAGIONE_SOCIALE. Sotto altro profilo, pone in rilievo che si trattava di un’attività posta sicuramente nell’interesse della societ RAGIONE_SOCIALE, atteso che era legata a un possibile inserimento degli immobili oggetto di valutazione in un’eventuale procedura di concordato preventivo. Risultava, dunque, del tutto irrilevante la circostanza che il formale incarico non fosse stato dato dalla società, ma dai fratelli COGNOME.
Con specifico riferimento al pagamento in favore della RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente sostiene che tale operazione andrebbe ricondotta tra quelle poste in essere in base alle direttive ricevute dai professionisti di fiducia di COGNOME NOME.
In ordine a entrambi i pagamenti in questione, il creditore sostiene che, in ogni caso, essi, al più, potrebbero integrare la diversa fattispecie della bancarotta preferenziale.
4.6. Con un sesto motivo, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la decisione della Corte di appello di non applicare il minimo della pena, sostenendo che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato l’esiguo apporto causale conferito dall’imputato, il contenuto periodo di tempo nel quale lo stesso aveva ricoperto la carica di amministratore della società fallita e, soprattutto, la sua estraneità all’operazione di conversione del credito in partecipazione sociale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi devono essere rigettati.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato.
2.1. Il primo motivo di ricorso, in tutte le censure nelle quali si articola, inammissibile.
2.1.1. Le censure relative alla natura dis3sipativa del pagamento, nel marzo 2015, della fattura emessa dall’ingegnere NOME COGNOME sono prive di specificità, perché meramente reiterative di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagine 21 e 22 della sentenza), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha posto in rilievo che rincarico di valutare gli immobili non era stato conferito dalla società fallita, ma dall’imputato e dalla sorella, e riguardava beni di proprietà della famiglia COGNOME. La circostanza che tali immobili potessero essere poi utilizzati dai soci della fallita come apporto di capitale legato a un ipotetico concordato non giustificava il fatto che il costo della loro valutazione dovesse essere posto a carico della società, a maggior ragione in considerazione del fatto che la prospettiva del concordato era stata rapidamente abbandonata in favore di una serie di operazioni che avevano lo scopo esattamente contrario, ossia mettere il patrimonio dei soci al riparo dal fallimento e da azioni esecutive.
2.1.2. Prive di specificità estrinseca sono anche le censure relative alla natura dissipativa del pagamento della fattura emessa dalla “RAGIONE_SOCIALE“, dall’importo di euro 12.200,00.
La Corte di appello, in particolare, ha rilevato che il trasferimento della sede all’estero era avvenuto quando la società era ormai inattiva e aveva avuto il solo scopo di scongiurare l’inevitabile dichiarazione di fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE“, con un’operazione di mera facciata, che non rispondeva ad alcun interesse della società, ma a quello dei soci di salvare il nome della famiglia COGNOME. L’intento di evitare il fallimento della società “RAGIONE_SOCIALE” e di salvare il nome della famiglia,
attraverso successive operazioni che avrebbero poi portato al fallimento della RAGIONE_SOCIALE, in ogni caso, non poteva valere a giustificare una spesa priva di utilità per la società e pregiudizievole per la garanzia patrimoniale dei creditori.
Si tratta di una motivazione adeguata e priva di vizi logici, rispetto alla quale il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
2.1.3. Anche la terza e la quarta censura – che possono essere analizzate congiuntamente, essendo strettamente correlate – sono prive di specificità estrinseca.
Il ricorrente, infatti, non si è confrontato effettivamente con le motivazioni rese dalla Corte d’appello, che: ha rilevato che l’operazione aveva portato al sacrificio del credito di ben 450.000,00 euro, in cambio di quote che attribuivano una mera posizione di minoranza (peraltro attraverso una specifica operazione di sovrapprezzo che evitava l’acquisizione della maggioranza della società); la quota era stata poi ceduta a COGNOME per soli 49.000,00 euro; dopo la restituzione alla curatela, quest’ultima ben poco era risuscita ad assicurare alla massa dei creditori (di fatto soli 14.000,00 euro).
Va, più in generale, evidenziato che il ricorrente non si confronta con una motivazione che, in maniera del tutto lineare, ha posto in rilievo come tutte le operazioni erano in maniera evidente finalizzate a perseguire gli esclusivi interessi della famiglia COGNOME, tanto che il risultato finale era stato quello della fuoriusci della famiglia COGNOME (COGNOME NOME e COGNOME NOME) dalla decotta “RAGIONE_SOCIALE” e il sostanziale dissipamento del credito di 450.000,00 euro vantato dalla società fallita, attraverso operazioni che, nel loro complesso, avevano portato, prima, a trasformare un credito di euro 450.000,00 in un credito di 49.000,00 euro e, poi, dopo la restituzione della quote dal trust alla curatela, a un rientro effetti di soli 14.00,00 euro.
2.2. Il secondo motivo è infondato.
La Corte di appello, invero, ha rigettato la richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, che aveva a oggetto l’assunzione sia di prove testimoniali che di prove documentali, fornendo un’adeguata motivazione. In particolare, ha evidenziato che le richieste attenevano a circostanze già ampiamente chiarite nel corso dell’istruttoria o comunque ininfluenti rispetto all’affermazione della penale responsabilità degli imputati (cfr. pagina 13 della sentenza).
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere rigettato.
3.1. Il primo motivo è infondato.
I giudici di merito, invero, hanno posto in luce che il conferimento del credito a titolo di sottoscrizione dell’aumento di capitale costituiva parte dell’unitaria e pi ampia operazione dissipativa, posta in essere nel solo interesse della famiglia
COGNOME («l’impiego del credito per acquisire una quota di RAGIONE_SOCIALE, infatti, non può essere valutato disgiuntamente dalle operazioni successive»). Valutando l’operazione dissipativa nel suo complesso, risultava evidente che l’imputato aveva fornito, da intraneo, il proprio determinante contributo a essa, proprio esercitando i poteri conseguenti alle cariche formali da lui assunte.
3.2. Il secondo, il terzo e il quarto motivo, in tutte le censure nelle quali s articolano, sono inammissibili.
Il ricorrente “frammenta” la complessa operazione dissipativa, cercando di trovare una giustificazione formale alle varie fasi nella quale si era articolata. I tal modo, però, non si confronta effettivamente con le motivazioni rese dalla Corte di appello, che – come già detto analizzando il primo motivo del ricorso del COGNOME – ha evidenziato che i vari atti nei quali si era articolata l’operazione in questione (realizzati, peraltro, in un brevissimo periodo di tempo) costituivano parti di una più ampia operazione dissipativa, finalizzata a perseguire gli esclusivi interessi della famiglia COGNOME. Come già detto, l’imputato ha fornito il suo determinante contributo all’operazione dissipativa, esercitando i poteri conseguenti alle cariche formali da lui assunte.
L’operazione, come già detto, aveva portato, prima, a trasformare un credito di euro 450.000,00 in un credito di 49.000,00 euro e, poi, dopo la restituzione delle quote dal trust alla curatela, a un rientro effettivo di soli 14.00,00 euro.
Generiche e meramente assertive sono ie critiche poste dal ricorrente alle scelte della curatela fallimentare, che, come risulta dalla sentenza impugnata, erano state conseguenti alle successive vicende delle società coinvolte e all’incidenza che queste avevano avuto sul valore delle quote in questione (cfr. pagine 18 e ss. della sentenza impugnata). Così come generiche e assertive sono le deduzioni relative al collegamento con il precedente pagamento della somma di euro 780.000, che, in ogni caso, non giustificava la dissipazione del credito di euro 450.000,00.
Quanto al ruolo di mero prestanome svolto dal COGNOME e all’effettivo contributo da lui fornito alle operazioni contestate, le censure risultano prive della necessaria specificità estrinseca, atteso che il ricorrente non si confronta con la motivazione resa, sul punto, dalla Corte di appello, che ha evidenziato che l’imputato, come da lui stesso ammesso, si era prestato consapevolmente e dietro corrispettivo ad assumere «via via la veste di procuratore speciale della “RAGIONE_SOCIALE“, di liquidatore della “RAGIONE_SOCIALE“, di trustee del “RAGIONE_SOCIALE” e di acquirente della quota di partecipazione al capitale di “RAGIONE_SOCIALE“, fornendo al coimputato» COGNOME un contributo essenziale alla realizzazione dei suoi propositi (cfr. pagine 23 e s. della sentenza impugnata).
A fronte di tale consapevole contributo, l’eventuale coinvolgimento nella vicenda di altre persone, dedotto dal ricorrente, non escluderebbe, comunque, la responsabilità dell’imputato.
3.3. Anche il quinto motivo è privo della necessaria specificità estrinseca.
Il ricorrente, invero, non si confronta cori le argomentazioni spese dai giudici di merito, che – come già detto – hanno evidenziato che si trattava di pagamenti che non rispondevano ad alcun interesse della società, ma a quello dei soci di salvare il nome della famiglia COGNOME. Quello effettuato a favore dell’ingegnere COGNOME, addirittura, era relativo a un incarico che il professionista aveva ricevuto non dalla società, ma dai fratelli COGNOME, che erano gli unici tenuti al pagamento.
Quanto al ruolo di mero prestanome, come già detto, la Corte di appello ha evidenziato come l’imputato si fosse prestato consapevolmente agli intenti della famiglia COGNOME, al cui perseguimento erano finalizzate tutte le operazioni in questione.
3.4. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.
Con esso, il ricorrente prospetta questioni non consenl:ite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Ferrario, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851), come nel caso di specie (cfr. pagina 24 della sentenza impugnata).
Al rigetto dei ricorsi, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 24 aprile 2024
Il Consigliere estensore
Il p’esidente