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Bancarotta fraudolenta: la responsabilità del consigliere

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta a carico di un consigliere di amministrazione, anche se privo di deleghe operative. La sentenza stabilisce che la responsabilità sorge quando l’amministratore, pur potendo conoscere i chiari segnali d’allarme della crisi aziendale dai bilanci, non interviene per impedire operazioni dannose, come finanziamenti ingenti a società collegate o il sistematico omesso versamento delle imposte, accettando così il rischio del fallimento.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: La Responsabilità del Consigliere Senza Deleghe

La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 16407/2025 offre un’importante analisi sulla bancarotta fraudolenta, chiarendo i confini della responsabilità penale per i consiglieri di amministrazione privi di deleghe operative. La decisione sottolinea come l’assenza di un ruolo apicale non costituisca uno scudo contro le accuse, specialmente quando i segnali di allarme della crisi aziendale sono evidenti e ignorati.

I fatti del caso

Il caso riguarda i vertici di una società a responsabilità limitata, dichiarata fallita nel 2013. Il presidente e un consigliere del consiglio di amministrazione venivano tratti a giudizio per due principali capi d’accusa:

1. Bancarotta fraudolenta patrimoniale: per aver distratto ingenti risorse finanziarie (oltre 3 milioni di euro) a favore di un’altra società partecipata, in cui lo stesso consigliere era socio. Questi finanziamenti, erogati in un periodo di già conclamata difficoltà finanziaria, venivano successivamente convertiti in capitale di rischio, annullando di fatto ogni possibilità di restituzione per la società fallita.
2. Bancarotta impropria da operazioni dolose: per aver causato il dissesto della società attraverso il sistematico e protratto omesso versamento di debiti tributari e contributivi per un ammontare di oltre 2,6 milioni di euro.

La difesa del consigliere si fondava principalmente sulla sua posizione non operativa, sostenendo di non aver mai avuto un ruolo decisionale, di non aver firmato contratti o assegni e di essere all’oscuro delle operazioni contestate. Sosteneva inoltre che i finanziamenti fossero parte di una strategia di gruppo, compensati da contratti d’appalto affidati alla società fallita.

L’analisi della Corte di Cassazione sulla bancarotta fraudolenta

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la condanna e fornendo chiarimenti fondamentali sulla configurabilità del reato di bancarotta e sulla responsabilità degli amministratori.

La responsabilità del consigliere senza deleghe

Il punto centrale della sentenza è che la mancanza di deleghe operative non esonera il consigliere dai suoi doveri di vigilanza. La Corte ha stabilito che la responsabilità concorsuale nel reato sorge non solo da un’azione diretta, ma anche da un’omissione consapevole.

L’amministratore ha l’obbligo di agire se è a conoscenza di fatti pregiudizievoli per la società o, quantomeno, di “segnali di allarme” inequivocabili. Nel caso specifico, questi segnali erano palesemente desumibili dai bilanci societari, che mostravano una forte tensione finanziaria, un’ingente esposizione verso il fisco e i controversi finanziamenti verso una società in cui l’imputato aveva un interesse diretto. Poiché il bilancio è un atto proprio dell’intero consiglio di amministrazione, la sua approvazione implica la conoscenza del suo contenuto. Ignorare tali segnali e non attivarsi per impedire il danno equivale ad accettare il rischio del verificarsi dell’evento illecito (dolo eventuale).

L’irrilevanza dei “vantaggi compensativi” insufficienti

La difesa aveva tentato di giustificare i finanziamenti intersocietari come parte di una logica di gruppo, sostenendo che avessero generato vantaggi compensativi sotto forma di contratti di appalto. La Corte ha smontato questa tesi, precisando che la valutazione sulla fraudolenza di un’operazione va condotta ex ante. I presunti vantaggi non erano adeguati a compensare il rischio enorme assunto. Il margine di profitto previsto per gli appalti era palesemente inferiore al capitale messo a rischio con i finanziamenti, rendendo l’operazione intrinsecamente irrazionale e pericolosa per i creditori della società finanziatrice.

La bancarotta da omesso versamento di imposte

Anche per il reato di bancarotta impropria, la Corte ha confermato un orientamento consolidato. Il sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e contributive non è una mera gestione imprudente, ma un’operazione dolosa idonea a causare il dissesto. Tale condotta, infatti, aggrava l’esposizione debitoria dell’impresa non solo per l’importo omesso, ma anche per le sanzioni e gli interessi che ne derivano, agendo come un “catalizzatore dell’insolvenza”. La Corte ha ritenuto irrilevante l’argomentazione difensiva secondo cui l’omissione avrebbe permesso la prosecuzione dell’attività, in quanto viola l’obbligo primario di gestire la società in modo sano e nel rispetto delle leggi.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio che ogni amministratore, anche se privo di poteri esecutivi, è titolare di un dovere di vigilanza informata sull’andamento della gestione. La fonte primaria di questa informazione è il bilancio d’esercizio. La presenza in bilancio di operazioni manifestamente anomale, rischiose e prive di una valida contropartita economica costituisce un segnale di allarme che non può essere ignorato. La mancata attivazione per impedire tali operazioni, o quantomeno per chiederne conto, integra una condotta omissiva che, sul piano psicologico, equivale a un’adesione all’evento dannoso, configurando il dolo eventuale richiesto per il concorso nel reato di bancarotta fraudolenta. La Corte ha inoltre ribadito che la valutazione del rischio e del vantaggio di un’operazione deve essere proporzionata e ragionevole, e non può giustificare un’esposizione patrimoniale sproporzionata a fronte di benefici minimi o incerti.

Le conclusioni

Questa sentenza rappresenta un monito per tutti i membri dei consigli di amministrazione: il ruolo di consigliere non è una mera formalità. La legge impone un dovere attivo di controllo e intervento. Accettare una carica in un CdA significa assumersi la responsabilità di vigilare sulla corretta gestione, analizzando criticamente i dati contabili e opponendosi a operazioni che possano mettere a repentaglio il patrimonio sociale e i diritti dei creditori. L’inerzia di fronte a evidenti segnali di crisi non è una scusante, ma un presupposto per la responsabilità penale.

Un consigliere di amministrazione senza deleghe operative può essere ritenuto responsabile per bancarotta fraudolenta?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, anche un consigliere senza deleghe ha un dovere di vigilanza sull’andamento della società. Se dai bilanci emergono chiari segnali d’allarme (come finanziamenti anomali o forte indebitamento) e il consigliere non si attiva per impedire le condotte dannose, può essere ritenuto responsabile per concorso nel reato, in quanto con la sua inerzia accetta il rischio che il fallimento si verifichi.

Un finanziamento a una società collegata è sempre un atto di bancarotta fraudolenta se l’azienda poi fallisce?
No, non sempre. Diventa un atto di bancarotta fraudolenta quando è privo di una valida ragione economica o quando i cosiddetti “vantaggi compensativi” per la società che eroga il finanziamento sono inadeguati o sproporzionati rispetto al rischio assunto e al sacrificio patrimoniale. L’operazione deve essere valutata nella sua razionalità economica al momento in cui è stata compiuta (valutazione ex ante).

Il sistematico mancato pagamento delle tasse può integrare il reato di bancarotta impropria?
Sì. La Corte ha confermato che l’omissione protratta e sistematica del versamento di imposte e contributi costituisce un’operazione dolosa che può causare il dissesto. Questa condotta aggrava l’indebitamento della società (anche a causa di sanzioni e interessi) e viene considerata una causa diretta o concorrente del fallimento, integrando così il reato di bancarotta impropria.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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