Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17814 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17814 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MATERA il 06/10/1966
avverso la sentenza del 17/05/2024 della CORTE APPELLO di POTENZA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che si riporta alla requisitoria scritta e conclude per il rigetto del ricorso.
udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Potenza ha confermato la decisione del G.U.P. presso il Tribunale di quella stessa città, che ha dichiarato NOME COGNOME NOME COGNOME colpevole dei delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, a lui contestati quale socio unico e amministratore della società RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 09/12/2014.
Il ricorso per cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME è affidato a due motivi, enunciati nei limiti richiesti per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp.att. cod.proc.pen..
2.1. Con il primo motivo, denuncia erronea applicazione della legge fallimentare, e correlati vizi della motivazione, con riferimento alla condotta distrattiva.
La Corte di appello ha ritenuto la responsabilità del ricorrente per due condotte distrattive, ascritte nella qualità di socio unico ed amministratore della RAGIONE_SOCIALE fino al 25.7.2012 (data della liquidazione), costituite da:
cessione dell’intero compendio aziendale della fallita alla società RAGIONE_SOCIALE amministrata dalla madre dell’imputato, che ha comportato sostanzialmente la dismissione di tutte le attività aziendali e, in buona sostanza (come affermato dal curatore), priva di convenienza economica per la fallita, a fronte della fittizia controprestazione costituita dall’accollo, da parte della cessionaria, dei debiti della cedente verso istituti bancari ed Equitalia, in realtà mai effettivamente onorati, per le difficoltà economiche in cui versava la cessionaria, che fallirà anch’essa;
distrazione della complessiva somma di euro 930.676,53 a fronte di prelevamenti effettuati nel corso degli anni e mai restituiti alla società.
Lamenta il ricorrente che la cessione non possa essere considerata come avvenuta a prezzo vile, rispetto all’entità dei debiti della fallita accollati dall cessionaria. GLYPH Del GLYPH tutto congetturale GLYPH sarebbe l’affermazione GLYPH circa GLYPH la consapevolezza della vitalità o meno della cessionaria, che è stata fondata dalla Corte di appello esclusivamente sul rapporto parentale; la sentenza impugnata non ha replicato alle censure difensive con sui si deduceva l’assenza di prova della responsabilità del ricorrente per i prelevamenti contestati, non essendo stato dimostrato che essi siano a lui riconducibili, prova non proveniente dalla deposizione del curatore fallimentare, che ha solo riferito dei prelevamenti; la sentenza impugnata si concentra sulla bancarotta riparata, ignorando la questione posta dalla difesa, anche in punto di diversa qualificazione della condotta, atteso che il ricorrente aveva versato nelle casse societarie, nel 2007,
una cospicua somma di danaro, ma non è stato svolto alcun accertamento per ricostruirne la genesi. Si contesta che il versamento sia stato fatto in conto capitale, cosicchè, l’imputato avrebbe potuto chiederne la restituzione solo al momento dello scioglimento della società.
2.2. Con il secondo motivo, sono denunciati analoghi vizi con riguardo alla bancarotta documentale. La sentenza impugnata non si è misurata con le deduzioni dell’appellante, che miravano a escludere la responsabilità dell’imputato per la distruzione delle scritture contabili, dovuta all’allagamento dei locali in cui erano custodite; d’altro canto, il ricorrente ha consegnato al liquidatore due anni prima della sentenza di fallimento tutte le scritture contabili in suo possesso. Non risulta provato il dolo specifico, che, secondo consolidata giurisprudenza, non può desumersi dalla sola oggettiva mancanza delle scritture contabili, occorrendo indici di fraudolenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1. E’ opportuno premettere che le due sentenze di merito integrano una c.d. doppia conforme, giacchè – contrariamente a quanto sostenuto in ricorso – la Corte di appello ha reso una decisione sostanzialmente confermativa della sentenza del primo giudice, con ripetuti richiami argomentativi alla sentenza di primo grado, della quale condivide i medesimi criteri utilizzati nella valutazione delle prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo decisionale ( Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218). Discende da tale evenienza, secondo una linea interpretativa in questa Sede da tempo tracciata, che l’esito del giudizio di responsabilità non può certo essere invalidato da prospettazioni alternative, che si risolvono in una “mirata rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (Sez. 6, n. 22256/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369/2006, Rv. 235507). In tale ottica, si collocano anche le censure non contenenti elementi di novità rispetto a quelle già esaminate e disattese dalla sentenza richiamata, in tal caso essendo legittimo il richiamo ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e l’utilizzazione di omogenei criteri valutativi per la disamina dei motivi d’appello poiché “Il giudice di appello non è tenuto a riesaminare dettagliatamente questioni sulle quali si sia già soffermato il primo giudice con argomentazioni ritenute esatte ed esenti da vizi logici” (Sez. 5, n. 7572 del 22/04/1999, COGNOME, Rv. 213643 – 01).
1.1.Nella giurisprudenza di questa Corte si è chiarito il valore specifico di maggiore tenuta motivazionale in sede di legittimità, in presenza di doppia conforme, e indicate le condizioni di proponibilità e ammissibilità di un eventuale ricorso che prospetti il vizio del travisamento della prova ( ex multis, Sez. 5 n. 1927 del 20/12/2017, Rv. 273224; Sez. 2 n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). La c.d. “doppia conforme” postula, infatti, che il vizio di motivazione deducibile e censurabile in sede di legittimità è soltanto quello che – a presidio del devolutum discende dalla pretermissione dell’esame di temi probatori decisivi, ritualmente indicati come motivi di appello e trascurati in quella sede (Sez. 5, n. 1927 del 20/12/2017 – dep. 2018, Rv. 272324; Sez. 2, n. 10758 del 29/1/2015, Rv. 263129; Sez. 5, n. 2916 del 13/12/2013 – dep. 2014, Rv. 257967), o dal loro manifesto travisamento in entrambi i gradi di giudizio (Sez. 2, n. 5336 del 09/01/2018, Rv. 272018). Al di fuori di tali ristretti binari, resta precluso il rilievo del vizio di motivazione secondo la nuova espressione dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., nel caso di adeguata valutazione conforme nei gradi di merito del medesimo compendio probatorio.
Ebbene, quanto al primo motivo, – che, come premesso, attiene alla configurabilità della bancarotta fraudolenta distrattiva – i giudici di merito hanno ben spiegato le ragioni della propria decisione con riguardo a entrambi i profili contestati.
2.1. Con riguardo alla cessione del ramo d’azienda, il ricorrente concentra la censura sulla congruità del prezzo convenuto per l’operazione, ma il giudice di primo grado – con cui non ci si confronta – aveva posto l’attenzione piuttosto sulla logica imprenditoriale della cessione.
2.1.1. Come si legge nella sentenza di primo grado, infatti, la cessione (avvenuta sei mesi prima della messa in liquidazione) ha comportato sostanzialmente la dismissione di tutte le attività aziendali e, in buona sostanza come osservato dal curatore, non aveva alcuna convenienza economica per la RAGIONE_SOCIALE alla quale non apportava alcun vantaggio, sia perché la società si veniva a trovare nella sostanziale impossibilità di proseguire la propria attività commerciale, sia perché era ampiamente prevedibile che da essa non avrebbe ricavato alcun utile, per la situazione di incapienza dell’acquirente (circostanza che era nota al COGNOME, che era stato amministratore della RAGIONE_SOCIALE sino al 2011 prima di cedere le redini della società alla madre), che non avrebbe consentito, come è stato, di corrispondere il pagamento dei debiti assunti in accollo, tanto da fallire poi nel 2015, procedura che ne evidenziava l’incapienza.
2.1.2. La valutazione espressa in ordine alla scelta imprenditoriale – ben argomentata dal primo giudice – trova il suo fondamento nell’analisi complessiva
della scelta gestionale, valorizzando sinergicamente una pluralità di dati, ovvero che essa si collochi in un momento di conclamato dissesto (fatto risalire già al 2008), che avesse comportato la dismissione totale dell’attività aziendale e quello, altrettanto certo e prevedibile, dell’impossibilità di conseguire il ricavato sperato dalla cessione. La circostanza che l’operazione di disnnissione dell’azienda fosse priva di vantaggio economico è stata condivisa dalla sentenza impugnata, la quale ha anche aggiunto la considerazione della fittizietà dell’accollo dei debiti, considerando che “l’imputato ben sapeva che la cessionaria era da tempo anch’essa in stato di decozione”, considerato il ruolo di amministratrice svolto dalla madre.
2.2. Quanto alla seconda distrazione – in relazione alla quale la difesa ricorrente si duole del mancato raggiungimento della prova in merito alla natura del versamento iniziale da parte del ricorrente – si osserva che, invece, i giudici di merito hanno condotto un corretto ragionamento inferenziale che fonda logicamente la conclusione, implicita nella sentenza impugnata, che si sia trattato di un conferimento in conto capitale, di cui l’imputato avrebbe potuto chiedere la restituzione solo al momento dello scioglimento della società.
2.2.1. E tanto in ragione delle carenze contabili di cui ha riferito il curatore, atteso che, dalla lettura della sentenza di primo grado, si evince che la documentazione bancaria e contrattuale relativa allo svincolo del consistente importo di euro 985 mila circa ed il versamento di tale somma su un conto bancario intestato allo stesso ricorrente è stata prodotta dal ricorrente in dibattimento; ciò che rende evidente come, dell’iniziale versamento, risalente al 2007, difettasse qualsiasi annotazione contabile, circostanza che ha impedito la acquisizione di un dato oggettivo certo in merito alla esatta giustificazione causale di tale versamento. D’altro canto, neppure sono stati forniti dal ricorrente – che era gravato del relativo onere – elementi inequivoci indicativi della diversa natura del (supposto) finanziamento quale mutuo, trattandosi anche per tale aspetto di mera prospettazione sprovvista di qualsivoglia riscontro effettivo.
2.2.2. E, dunque, certi i prelevamenti effettuati e, prima ancora, l’esistenza di disponibilità di cassa venute meno (non negate dall’imputato) e stante l’impossibilità di ricostruire i passaggi sia relativi all’approvvigionamento della somma che alle ragioni del prelevamento, nonché tenuto conto del momento in cui sono intervenuti i prelievi dal conto corrente della società per essere riversati su quello del Fusco (ciò che rende ragione della riconducibilità dei prelievi a colui che ne ha beneficiato) – anche a volere ammettere che si tratti di versamenti in favore della società, nonostante il conto corrente nel quale sono confluiti sia quello riferibile all’imputato e non alla società -la Corte
territoriale, rifacendosi alla sentenza di primo grado sul punto, ha implicitamente, quanto, razionalmente, ritenuto che si sia trattato di versamenti in conto capitale, affermazione non smentita dalle obiezioni difensive, che si rivelano in verità generiche sul punto, non fornendo elementi dai quali dovrebbe trarsi una diversa conclusione circa la natura del conferimento iniziale.
2.2.3. In presenza dei ricordati dati probatori, la Corte territoriale, nel ritenere la natura distrattiva dei prelievi, si è determinata coerentemente con il costante orientamento della Suprema Corte secondo cui “In tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni suddetti”. (Sez. 5, n. 8260 del 22/09/2015, dep. 29/02/2016, Rv. 267710; Sez. 5 n. 11095 del 13/02/2014, Rv. 262741; Sez. 5 n. 22894 del 17/04/2013, Rv. 255385; Sez. 5 n. 3400/05 del 15/12/2004 , Rv. 231411; Sez. 5 n. 7048 del 27/11/2008, Rv. 243295). L’indirizzo si fonda sulla considerazione che, nel nostro ordinamento, l’imprenditore assume una posizione di garanzia nei confronti dei creditori, i quali confidano nel patrimonio dell’impresa per l’adempimento delle obbligazioni sociali. Da qui, la diretta responsabilità dell’imprenditore, quale gestore di tale patrimonio, per la sua conservazione ai fini dell’ integrità della garanzia. La perdita ingiustificata del patrimonio o la elisione della sua consistenza costituisce un vulnus alle aspettative dei creditori e integra, pertanto, l’evento giuridico presidiato dalla fattispecie della bancarotta fraudolenta. Tali considerazioni giustificano la, solo apparente, inversione dell’onere della prova incombente sul fallito, in caso di mancato rinvenimento di beni da parte della procedura e in assenza di giustificazione al riguardo ( nel senso di dare conto di spese, perdite o oneri compatibili con il fisiologico andamento della gestione imprenditoriale), poiché, anche in ragione dell’obbligo di verità gravante sul fallito ai sensi dell’art. 8 comma 3 della legge fallimentare con riferimento alla destinazione di beni di impresa al momento in cui viene interpellato da parte del curatore, obbligo presidiato da sanzione penale, si tratta di legittima sollecitazione affinchè il diretto interessato dia adeguata dimostrazione, in quanto gestore dell’impresa, della destinazione dei beni o del loro ricavato (Sez. 5 n. 7588 del 26/01/2011, rv.249715), derivando dal prelievo di somme dalle casse sociali, la valida presunzione della loro dolosa distrazione, essendone pacifica la previa disponibilità, da parte dell’imputato, accertata nella loro esatta dimensione (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010 Rv. 248425). La decisione gravata si è, dunque, conformata ai principi accreditati dalla giurisprudenza prevalente in tema di prova della bancarotta per distrazione, attestati sulla affermazione secondo cui ben può operare il meccanismo della presunzione dalla dolosa distrazione, Corte di Cassazione – copia non ufficiale
rilevante, ai sensi dell’art.192 c.p.p., al fine di affermare la responsabilità dell’imputato, nel caso di un ingiustificato mancato rinvenimento, all’atto della dichiarazione di fallimento, di beni e valori societari, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esatta dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione ( Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, Rv. 248425; Sez. 2, n. 5838 del 09/02/1995 Rv. 201517).
2.3. Corretta risulta, dunque, anche la qualificazione giuridica data al fatto, in termini di distrazione, sul punto valendo il richiamo all’arresto con il quale, nello scrutinare una vicenda sovrapponibile a quella in esame, ha affermato che “Ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta preferenziale è necessario che il pagamento estingua un debito effettivo, della cui esistenza l’imprenditore è onerato di fornire la prova, in difetto della quale ricorre un’ipotesi di distrazione dei beni e non di diseguale trattamento dei creditori” (Sez. 5, n. 32637 del 16/04/2018, Rv. 273712).
Il ricorrente è stato ritenuto responsabile anche della bancarotta fraudolenta documentale, di cui al capo B), contestata sia nella forma della irregolare tenuta, che in termini di distruzione e/o sottrazione delle scritture contabili.
3.1. Il ricorso propone una ricostruzione alternativa che non si confronta con un elemento di prova dirimente costituito dall’aver il ricorrente redatto un bilancio finale della gestione ordinaria, dunque – immediatamente prima della liquidazione – totalmente inattendibile e falso, recante l’indicazione di valori che non hanno ricevuto alcun conforto nella ricostruzione del liquidatore, che ha riferito di una situazione contabile dello stesso periodo contenente valori completamenti diversi, con particolare riferimento a voci di attivo ritenute inesistenti.
3.2. Inoltre, la Corte di appello pone in correlazione tali difformità con l’episodio distrattivo inerente ai prelevamenti, ed in particolare con le appostazioni del conto crediti diversi, che non hanno consentito di comprendere minimamente la modalità di composizione di tale voce contabile. Tenuto conto della ritenuta distrazione delle somme oggetto di prelevamento, correttamente se ne è tratta conferma della sussistenza dell’elemento psicologico del reato, giacchè, come si afferma, in tema di bancarotta fraudolenta documentale di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 L.F., il dolo, generico, può essere desunto, con metodo logico-presuntivo, dall’accertata responsabilità dell’imputato per fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale, in quanto la condotta di irregolare tenuta dei libri o delle altre scritture contabili, che rappresenta l’evento fenomenico dal cui verificarsi dipende l’integrazione
dell’elemento GLYPH oggettivo GLYPH del GLYPH reato, GLYPH è GLYPH di GLYPH regola GLYPH funzionale all’occultamento o alla dissimulazione di atti depauperativi del patrimonio sociale” (Sez. 5 -, Sentenza n. 33575 del 08/04/2022 Rv. 283659 -01).
3.3. Giova, qui, precisare, con riferimento all’elemento soggettivo della bancarotta documentale, oggetto di specifica censura difensiva, che già nella sentenza di primo grado i giudici di merito hanno ridimensionato la contestazione ritenendo accertata solo la condotta di bancarotta documentale fraudolenta c.d. generica ( di cui alla seconda ipotesi dell’art. 216, comma 1, n. 2 L.F.), che non richiede il dolo specifico (come eccepito dal ricorrente), ma solo quello generico.
3.4. Con tale esatta perimetrazione della condotta, come proveniente dalla sentenza di primo grado, risulta coerente, e, quindi, corretta, la replica della Corte di appello, in punto di elemento soggettivo del delitto di bancarotta documentale.
3.5. Per chiarezza ermeneutica, va ricordato che, nella giurisprudenza di questa Corte, l’art. 216 del R.d. 16 marzo 1942 n. 267 contempla, nel numero 2 del primo comma, due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale alternative. La prima (sottrazione, distruzione e falsificazione parziale o totale di libri o altre scritture contabili) richiede il dolo specifico, mentre per la seconda (tenuta dei libri e delle scritture contabili in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari) è sufficiente il dolo generico (con indirizzo costante affermato da Sez. 5, n. 6148 del 19/12/1986 (dep. 1987) Rv. 175959, conf., per tutte, Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, Rv. 271611).
Per la ipotesi c.d. “generale”, la legge prevede, dunque, solo il dolo generico, consistente nell’intenzione dell’agente di rendere impossibile o estremamente difficile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, non essendo, per contro, necessaria la specifica volontà di impedire quella ricostruzione (per tutte, Sez. 5, GLYPH n. 5264 del 17/12/2013 (dep. GLYPH 2014 ) ,Rv. 258881). In tale ottica, si afferma che la formula legislativa ” in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari” connota la condotta (e, dunque, l’elemento materiale del reato) e non la volontà dell’agente, così da escludere che la stessa possa configurare un dolo specifico (Sez. 5 n. 13701/1994, n.m.). In sintesi, si ritiene che l’ostacolo alla ricostruzione del patrimonio e del volume di affari dell’impresa costituisca una connotazione modale della condotta oggetto di incriminazione, ritenendosi cioè tipici solo quei comportamenti che si risolvano in una oggettiva compromissione della utile e immediata fruizione dei dati contabili da parte degli organi fallimentari (Sez. 5, n. 21872 del 25/03/2010 Rv. 247444).
3.6. Risulta poi irrilevante, rispetto a tale ricostruzione, il fatto che la dichiarazione di fallimento sia intervenuta due anni dopo la liquidazione poiché
è invece al momento in cui questa è stata disposta che sono fatte risalire false annotazioni contabili, così come indifferente è l’allagamento dei locali, c
riguarda le scritture degli anni dal 1998 al 2010, e dunque un’epoca antecedente a quella in discussione neppure oggetto di contestazione.
4. Al rigetto del ricorso segue, ex lege,
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spes processuali.
Così deciso in Roma, 11 aprile 2025
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