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Bancarotta fraudolenta: la prova della distrazione

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta di un amministratore. La sentenza chiarisce i criteri per provare la distrazione di beni, inclusa la cessione dell’azienda a una società collegata e i prelievi ingiustificati di somme di denaro. La Corte ribadisce che spetta all’amministratore dimostrare la legittima destinazione dei fondi sociali, altrimenti si presume la loro dolosa sottrazione. Viene inoltre confermata la responsabilità per la tenuta irregolare delle scritture contabili, il cui dolo generico può essere desunto dalla stessa condotta distrattiva.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta: la prova della distrazione di beni e l’onere dell’amministratore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17814 del 2025, torna a pronunciarsi sul tema della bancarotta fraudolenta, offrendo importanti chiarimenti sulla prova della distrazione di beni e sulla responsabilità dell’amministratore. La decisione conferma una condanna per un imprenditore accusato di aver svuotato le casse della sua società attraverso operazioni economicamente svantaggiose e prelievi ingiustificati, portandola al fallimento. Questo caso evidenzia come la gestione opaca e la mancanza di prove sulla destinazione dei fondi sociali ricadano interamente sull’amministratore.

I Fatti di Causa

L’amministratore e socio unico di una S.r.l., dichiarata fallita nel 2014, è stato ritenuto colpevole di bancarotta fraudolenta per due condotte principali:

1. Distrazione patrimoniale: Aver ceduto l’intero compendio aziendale a un’altra società, amministrata dalla propria madre, in cambio di un semplice accollo di debiti. L’operazione è stata giudicata priva di convenienza economica, dato che la società acquirente era a sua volta in gravi difficoltà economiche (e successivamente fallita), rendendo fin dall’inizio prevedibile il mancato pagamento dei debiti accollati.
2. Distrazione di fondi: Aver prelevato nel tempo una somma complessiva di oltre 930.000 euro, mai restituiti alla società. L’imputato si era difeso sostenendo che si trattasse della restituzione di un precedente finanziamento, ma i giudici hanno qualificato il versamento iniziale come un conferimento in “conto capitale”, non esigibile se non allo scioglimento della società.

A queste accuse si aggiungeva quella di bancarotta documentale, per aver tenuto le scritture contabili in modo irregolare, tale da non permettere la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

I Motivi del Ricorso e la Risposta della Cassazione

La difesa ha contestato la decisione dei giudici di merito, sostenendo che la cessione dell’azienda fosse avvenuta a un prezzo congruo e che i prelievi fossero legittimi. Per quanto riguarda la bancarotta documentale, si adduceva la distruzione involontaria dei registri a causa di un allagamento.

La Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando le sentenze precedenti. I giudici hanno sottolineato il principio della “doppia conforme”, secondo cui, quando due sentenze di merito giungono alla stessa conclusione, la valutazione dei fatti è difficilmente contestabile in sede di legittimità.

Analisi della Corte sulla bancarotta fraudolenta

La Cassazione ha chiarito che, in tema di bancarotta fraudolenta, la prova della distrazione può essere desunta dalla mancata dimostrazione, da parte dell’amministratore, della destinazione dei beni usciti dal patrimonio sociale. L’imprenditore ha una posizione di garanzia verso i creditori e deve essere in grado di giustificare ogni operazione. In assenza di una prova contraria, il prelievo di somme dalle casse sociali crea una presunzione di dolosa distrazione.

Per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Corte ha ribadito che il dolo richiesto è quello “generico”: è sufficiente l’intenzione di tenere le scritture in modo tale da rendere difficile la ricostruzione degli affari, non è necessario uno scopo specifico di frode. Tale intenzione, inoltre, può essere logicamente dedotta dalla presenza di atti di distrazione patrimoniale che si intendeva occultare.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha motivato il rigetto del ricorso basandosi su diversi punti chiave.

Sulla distrazione patrimoniale, la cessione dell’azienda è stata ritenuta un’operazione palesemente svantaggiosa. L’amministratore era pienamente consapevole dello stato di decozione della società acquirente, gestita dalla madre, il che rendeva l’operazione priva di logica imprenditoriale se non quella di spogliare la società fallita dei suoi asset.

In merito ai prelievi di denaro, in assenza di documentazione contabile che attestasse la natura di “finanziamento soci”, i giudici hanno correttamente presunto che si trattasse di un conferimento a patrimonio. Di conseguenza, il prelievo di tali somme è stato qualificato come un atto distrattivo, poiché l’amministratore non è riuscito a fornire alcuna prova della loro legittima destinazione. L’onere della prova, in questi casi, è a suo carico.

Sulla bancarotta documentale, la Corte ha evidenziato come la redazione di un bilancio finale di gestione, risultato poi falso e inattendibile, e le difformità contabili legate proprio ai crediti oggetto dei prelievi, costituissero prova sufficiente della condotta. La tenuta irregolare dei libri contabili è stata vista come funzionale a nascondere le operazioni distrattive, integrando così l’elemento psicologico del reato.

Conclusioni

La sentenza ribadisce principi fondamentali in materia di reati fallimentari. In primo luogo, l’amministratore di una società è il custode del patrimonio sociale e ha l’obbligo di giustificare la destinazione di ogni bene o somma di denaro. La semplice assenza di fondi o la loro fuoriuscita senza una valida causa economica fa scattare una presunzione di distrazione dolosa. In secondo luogo, la gestione contabile irregolare, quando collegata ad atti di spoliazione del patrimonio, è sufficiente a integrare il reato di bancarotta documentale, per il quale è richiesto solo un dolo generico, facilmente desumibile dal contesto complessivo delle azioni illecite.

Quando un prelievo di un socio-amministratore è considerato bancarotta fraudolenta?
Un prelievo è considerato bancarotta fraudolenta per distrazione quando l’amministratore non fornisce la prova di una legittima destinazione delle somme. In assenza di prove che si tratti, ad esempio, della restituzione di un finanziamento, si presume che sia una sottrazione dolosa di risorse ai danni dei creditori.

Per il reato di bancarotta documentale è necessario provare l’intenzione di frodare i creditori?
No, non è necessario. La sentenza chiarisce che per la forma di bancarotta documentale consistente nel tenere le scritture in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza e volontà di creare confusione contabile, a prescindere da uno specifico scopo di frode. Tale dolo può essere dedotto da altri comportamenti illeciti, come la distrazione di beni.

La vendita dell’azienda a una società controllata da un familiare è sempre un atto illecito?
Non sempre, ma lo diventa quando l’operazione è priva di qualsiasi vantaggio economico per la società che vende ed è palese che la società acquirente non sarà in grado di onorare i propri impegni (come l’accollo dei debiti). Se l’amministratore è consapevole di queste circostanze, l’operazione viene qualificata come un atto di distrazione finalizzato a spogliare la società dei suoi asset.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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