Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 21825 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 21825 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAGLIARI il 17/04/1947
avverso la sentenza del 19/09/2024 della Corte d’appello di Cagliari Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Cagliari ha confermato la sentenza del Tribunale che aveva condannato l’imputato alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione perché ritenuto responsabile del reato di cui agli artt. 223, comma 1, in relazione all’art. 216, I comma n,2, del R.D. n. 267 del 1942, per avere – in qualità di socio accomandatario e quale procuratore fino all’anno 1995, e, successivamente e fino alla dichiarazione di fallimento ( intervenuta nel
febbraio 2016), in veste di amministratore di fatto della società RAGIONE_SOCIALE– sottratto, al fine di procurare a sé un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili obbligatorie o, comunque, tenuto i libri sociali e le scritture contabili obbligatorie, in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e degli affari.
Il Tribunale rilevava che: la società aveva operato solo fino al 1995, per poi essere messa in liquidazione volontaria nel 2014; nell’anno 2016, l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, titolare di un credito pari a circa 5 milioni di euro, aveva presentato davanti al Tribunale di Cagliari istanza per la dichiarazione di fallimento, poi effettivamente pronunciata il 9 febbraio del medesimo anno; era accertato, successivamente un passivo pari quasi a 25 milioni di euro, pur essendo esposta in bilancio una perdita di liquidazione di soli 11.780,00 euro; al momento del fallimento la società risultava formalmente ancora attiva ed iscritta nel Registro delle Imprese e pertanto, obbligata, ex lege , alla tenuta e conservazione delle scritture contabili; dalle dichiarazioni rese in dibattimento dai testi era emerso che il COGNOME aveva assunto, di fatto, le redini della società all’indomani della morte del fondatore ( NOME COGNOME, estromettendo da ogni decisione la relativa famiglia; l’imputato era stato unico e reale dominus delle vicende societarie; anche in sede di perquisizione avvenuta presso l ‘abitazione dell’imputato erano stati ritrovati frammenti di contabilità della società fallita, nonché di altri gruppi, all’interno di una cassaforte di cui solo il COGNOME deteneva le chiavi.
L’imputato, pertanto, veniva dichiarato responsabile del delitto di bancarotta fraudolenta per sottrazione (relativamente al periodo dal 1986 al 1995) e per omessa tenuta delle scritture contabili, per il periodo dal 1996 al 2014 (anno della messa in liquidazione), fino alla dichiarazione di fallimento.
L ‘imputat o, per il tramite dei propri difensori, avv.ti NOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso.
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di legge, vizio di motivazione e travisamento di prova, in relazione agli artt. artt. 2223 legge fall. e 2639 cod.civ.
Deduce insussistenza di prova che l’imputato abbia esercitato poteri di amministratore di fatto in quanto: le dichiarazioni delle testi COGNOME e COGNOME sono state oggetto di travisamento ; la procura speciale rilasciata all’imputato nel 1987 non sarebbe sufficiente a dimostrarne il ruolo di amministratore di fatto,dovendosi, peraltro, considerare che, dal 1995, la società era rimasta inattiva; una procura analoga era stata conferita anche ad altra socia, in un periodo in cui il ricorrente era amministratore di diritto; la procura del 1987 prevedeva un compenso limitato solo a tale anno; nel 1989 e fino al 1995 il ricorrente aveva assunto la carica di amministratore unico; era illogico ritenere
che, successivamente al 1995, vi fosse stata una reviviscenza dei poteri conferiti con la procura.
Sotto altro profilo deduce che: le dichiarazioni della teste NOME COGNOME sarebbero riferibili al rapporto fra il ricorrente e la società RAGIONE_SOCIALE società diversa dalla fallita; le dichiarazioni della teste NOME COGNOME non sono riferibili ad un periodo successivo all’anno 1994 in quanto le sue conoscenze riguardano un periodo antecedente.
2.2. Con secondo motivo deduce vizio di motivazione, sotto il profilo della manifesta illogicità, in relazione alla irregolare tenuta della contabilità nel periodo 1986-1995.
Il Tribunale aveva ritenuto che la contabilità della fallita fosse stata regolarmente tenuta fino al 1995 tanto è vero che, per tale periodo, l’imputato era stato condannato per ‘sottrazione’ della contabilità e non per omessa o irregolare tenuta della stessa; la Corte di appello aveva, invece, ritenuto che, nel primo periodo di vita della società, la contabilità sarebbe stata tenuta in modo irregolare evidenziando che la situazione riportata nel bilancio di liquidazione al 2014 era diversa da quella desumibile attraverso i dati ricavabili dal cassetto fiscale e i documenti depositati presso la Camera di Commercio ; l’imputato, successivamente alla cessazione del suo incarico di amministratore di diritto ( nel 1994) non aveva avuto più nulla a che fare con la società ed il suo disinteresse nella redazione del bilancio di liquidazione nel 2014 non poteva essere utilizzato quale elemento a suo carico ; successivamente al 1994, l’imputato non poteva essere ritenuto responsabile della sottrazione della contabilità e neppure della sua irregolare tenuta; la Corte di appello non aveva considerato che ‘la regolare tenuta della contabilità fino al 1995 non era più in discussione a seguito della decisione di primo grado’.
2.3. Con terzo motivo censura violazione dell’art. 223 della legge fall. e vizio di motivazione deducendo l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato e, in ogni caso, l’erronea qualificazione giuridica della condotta contestata in quanto riconducibile nell’alveo di una bancarotta semplice documentale.
Per il periodo anteriore al 1995, la Corte di appello, tenuto conto della diversa prospettiva del Tribunale, non aveva fornito idonea motivazione rispetto alle doglianze difensive formulate con l’atto di appello e deduce che: la curatela non aveva reperito il ricorrente, per cause non imputabili al medesimo; non era dimostrato che lo stesso disponesse di documentazione contabile della società, ovvero che ne fosse l’amministratore di fatto .
2.4. Con quarto motivo deduce travisamento di prova e violazione di legge in relazione agli artt. 133 cod. pen., 216, comma 4, legge fall in relazione alla commisurazione della pena e alla durata delle pene accessorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1.Il primo motivo è manifestamente infondato. La difesa deduce l’insussistenz a di elementi da cui ritenere che il ricorrente abbia assunto il ruolo di amministratore di fatto della società fallita facendo leva su due elementi: rileva l’inidoneità della procura rilasciata in suo favore , nell’anno 1987, sul presupposto della sua non riferibilità anche ad anni successivi; l’avvenuto travisamento della prova dichiarativa resa dalle due testimoni sentite dal Tribunale, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Le doglianze difensive non appaiono idonee, tuttavia, a disarticolare la tenuta dell’impianto motivazionale della sentenza impugnata secondo cui la responsabilità del COGNOME «trova origine nella procura generale conferitagli nel 1987 -mai revocata- in virtù della quale egli, avendo il potere di agire legittimamente nell’interesse della società era tenuto ai sensi dell’art.2396 del cod. civ., a istituire e conservare le scritture contabili» (pag.10 della sentenza impugnata), avendo, altresì, la Corte territoriale ritenuto irrilevante la circostanza che la procura in questione sia stata rilasciata “per l’esercizio 1987”, considerando tale inciso riferibile alla sola volontà delle parti di limitare temporalmente l’obbligatorietà del compenso . Con motivazione logica ha sottolineato che, ove le parti avessero voluto limitare gli effetti della procura soltanto all’anno in corso, lo avrebbero previsto espressamente, come avevano fatto per il compenso; altrettanto logicamente ha, inoltre, ritenuto indifferente la circostanza che, successivamente – nel periodo in cui il ricorrente era comunque amministratore unico- altra procura era stata conferita ad altro soggetto in quanto la nomina di un secondo procuratore generale non comporta la revoca del precedente e la revoca di quest’ultimo avrebbe comunque dovuto essere espressa e non solo ipotizzata.
Sotto altro profilo appare manifestamente infondata anche la doglianza ulteriore collegata al presunto vizio di travisamento di prova in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, in relazione alle dichiarazioni rese dalle testi COGNOME e COGNOME
In realtà, la doglianza difensiva è fondata su una lettura parziale delle dichiarazioni dal cui tenore complessivo ben si evince che la società fallita era
indicata da tutti i testimoni, compresa la teste NOME, come ‘ TES ‘ . Le sentenze di merito hanno ricostruito le tappe del percorso imprenditoriale dell’imputato , sulla base delle dichiarazioni del curatore fallimentare e dei testi, evidenziando che la società fallita, RAGIONE_SOCIALE, è nata nel 1986 previa trasformazione della società RAGIONE_SOCIALE, costituita da NOME Andrea; nel 1994 la società RAGIONE_SOCIALE veniva trasformata in RAGIONE_SOCIALE di NOME NOME che proseguiva la sua attività sotto la guida dell’imputato, rimanendo come dominus anche di altre società riconducibili al medesimo gruppo ( quali RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e altre). La teste NOME COGNOME le cui dichiarazioni sono state allegate dalla stessa difesa -oltre a dimostrare di essere a conoscenza delle dinamiche societarie, chiarendo come, dopo la morte prematura del padre, l’odierno ricorrente sia divenuto amministratore della società fino ad ‘acquisire tutto’ tanto da estromettere la sua famiglia, riferendo, inoltre, sul coinvolgimento del ricorrente nel ‘c aso tangentopoli’ cui aveva fatto seguito una ‘trasformazione’ della società- ha in maniera univoca indicato la società fallita come ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘. La ulteriore doglianza di travisamento della prova dichiarativa resa dalla teste COGNOME è generica e non si confronta con il tenore univoco delle dichiarazioni rese dalla stessa che ha precisato come dall’imputato provenissero tutte le direttive per l’espletamento delle sue mansioni, mentre i componenti della famiglia NOME erano considerati come meri collaboratori. La doglianza difensiva, inoltre, oblitera la rilevanza pregnante del dato ulteriore, valorizzato dalla sentenza di primo grado, costituito dal fatto che i documenti contabili afferenti la gestione della società fallita sono stati rinvenuti nella cassaforte personale rinvenuta nell’abitazione dell’imputato, e non presso la sede della società.
2.È infondato il secondo motivo con cui la difesa deduce manifesta illogicità della motivazione, in relazione al periodo 1986-1995, rilevando che la Corte di appello avrebbe individuato un profilo di irregolare tenuta della contabilità aziendale relativamente a tale periodo, ascrivibi le all’imputato, in contrasto con quanto ritenuto dal Tribunale che aveva, invece, con riferimento al medesimo periodo, ricostruito la condotta in termini di ‘sottrazione’. La censura è infondata e si fonda su una lettura parziale della motivazione della sentenza impugnata che ha mantenuto ferma la qualificazione giuridica della condotta accertata, con riferimento al segmento temporale in esame, in termini di sottrazione. La considerazione ulteriore, secondo la quale comunque «la situazione economico patrimoniale della società si era rivelata ben diversa da quella riportata nel bilancio di liquidazione depositato nel 2014» in quanto
«redatto sulla base di informazioni insufficienti e inattendibili» ( pagg.8) come desumibile dal raffronto con i dati estratti dal cassetto fiscale e dai documenti depositati presso la Camera di commercio, risulta effettuata dalla Corte territoriale soltanto per respingere l a deduzione difensiva legata all’affermazione secondo la quale, durante il periodo in cui il ricorrente era stato amministratore di diritto, le scritture erano state regolarmente tenute.
Anche il Tribunale, peraltro, contrariamente a quanto dedotto dalla difesa -dopo avere messo in evidenza la sussistenza di chiari indici rivelatori di una tenuta della contabilità, ponendo le basi logiche per la configurabilità di una successiva sottrazione della stessa per gli anni 1986-1995, quando è cessata definitivamente ogni attività di impresa della società fallita -aveva concluso nel senso di irregolarità contabili, avendo evidenziato la macroscopica incongruenza del bilancio finale di liquidazione, depositato presso il registro delle imprese nel 2014, in cui risultava indicata una perdita di liquidazione di soli 11.780,00 euro a fronte di un passivo fallimentare ammontante a quasi quindici milioni di euro.
3.È infondato il terzo motivo. Le sentenze di merito, premessa in termini fattuali una qualificazione giuridica della condotta accertata in termini di sottrazione, per il periodo 1986-1995, ed in termini di omessa tenuta, per il periodo successivo, hanno ritenuto sussistente il dolo specifico, necessario ai fini della configurazione di entrambe le ipotesi (S ez. 5, n. 42546 del 07/11/2024, Rv. 287175 -01; Sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME, Rv. 252992; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, Morace, Rv. 279179). La sentenza di primo grado ha dato rilievo, a conferma della consapevolezza e volontà del ricorrente di creare pregiudizio ai creditori, «alla lunga durata dell’inottemperanza ai propri doveri documentativi», al «comportamento non collaborativo del COGNOME, che non ha mai provveduto alla consegna della documentazione contabile al curatore, essendosi anzi reso irreperibile», evidenziando inoltre l’elevata consistenza del passivo fallimentare e la circostanza che la situazione di forte indebitamento della società fosse stata accompagnata dalla creazione di varie società parallele, tutte direttamente o indirettamente controllate dall’imputato, senza che, nel frattempo, venissero pagati i creditori della società successivamente dichiarata fallita (pag.21 della sentenza di primo grado). Sul medesimo percorso argomentativo si è collocata la sentenza di appello che, oltre ad avere richiamato le modalità della condotta, ha sottolineato, a conferma di un atteggiamento volitivo dell’imputato inquadrabile come dolo specifico, la totale inattendibilità del bilancio di chiusura d epositato dal liquidatore nell’anno 2014 in cui si evidenziavano perdite per una somma di poco superiore ad undici mila euro
anziché quelle reali, superiori a quindici milioni di euro, oltre che la condotta successiva dell’imputato consisti ta nel non avere fornito al curatore alcuna documentazione nonostante alcuni stralci fossero stati rinvenuti nella sua cassaforte personale, nel corso di una perquisizione.
La dimostrazione del dolo specifico è stata rigorosa ed ha, inoltre, tracciato la linea di confine rispetto alla bancarotta semplice documentale, escludendola in quanto configurabile sulla base di presupposti diversi da quelli in esame, solo quando la condotta non risulti caratterizzata da frode, ovvero nelle ipotesi di omessa o irregolare tenuta dei libri contabili, semplicemente volontaria o dovuta a mera negligenza (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179; Sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 274630-01; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915).
Manifestamente infondata è la censura svolta nel l’ultimo motivo. La doglianza è ripetitiva e fuori fuoco rispetto alle ragioni addotte dalla Corte territoriale che -con riferimento alla misura della pena inflitta all’imputato, contenuta, peraltro, entro limiti di poco superiore al limite edittale, e certamente in misura notevolmente inferiore al medio edittale- ha fatto buon governo della legge penale dando conto delle ragioni che hanno guidato, nel rispetto del principio di proporzionalità, l’esercizio del potere discrezionale ex art. 132 cod. pen. La sentenza ha fatto riferimento alla gravità del fatto, in quanto correlato ad una condotta manifestatasi con molteplici modalità fraudolente ( essendo state in parte sottratte e tenute in modo da generale dati non attendibili ed in parte omesse), all’impo nenza del passivo fallimentare e alla mancanza di condotte idonee a porre riparo al pregiudizio per i creditori. Siffatto giudizio, privo di connotazioni illogiche, è espressione del potere discrezionale del giudice che può essere motivato anche nei soli limiti utili a far emergere in misura sufficiente la sua valutazione circa l’adeguamento della pena alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, risultando censurabile nel giudizio di legittimità solo quando sia frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico. Le censure mosse a tale percorso argomentativo, assolutamente lineare, sono meramente assertive, inconsistenti e, in parte, orientate anche a sollecitare, in questa sede, una nuova e non consentita valutazione della congruità della pena.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 15/04/2025.