Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 1672 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 1672 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 08/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOMECOGNOMENOME COGNOME nato a TARANTO il 26/05/1954
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di MILANO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per l’imputato, che ha chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 14 dicembre 2023 dalla Corte di appello di Milano, che – per quanto qui di interesse – ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, resa all’esito di rit
abbreviato, che aveva condannato COGNOME Bartolomeo per diverse fattispecie di bancarotta, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE DRAGIONE_SOCIALE” (già “RAGIONE_SOCIALE“, fino al 20 luglio 2009), dichiarata fallita il 23 aprile 2
L’imputato – nella qualità di socio accomandatario – avrebbe distratto, quando la situazione economico-finanziaria della società era divenuta irreversibilmente compromessa, ingenti risorse della società, prelevando denaro dalla cassa e dai conti correnti ed effettuando pagamenti per finalità non inerenti all’attività dell società.
Avrebbe, senza alcuna ragione, prestato una fideiussione a favore di un’altra società a lui riconducibile, dall’importo di euro 1.083.650,00, poi escussa dal creditore, per impossibilità del debitore garantito di adempiere all’obbligazione pecuniaria.
Avrebbe, allo scopo di procurarsi un ingiusto profitto (rappresentato dall’occultamento delle numerosissime distrazioni effettuate) e di recare pregiudizio ai creditori, falsificato le scritture contabili e le avrebbe tenute in mo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Avrebbe cagionato il dissesto della società, commettendo i reati di cui agli artt. 2621 e 2622 cod. civ.
Avrebbe cagionato il fallimento della società per effetto di operazioni dolose, attraverso il sistematico omesso pagamento di imposte e contributi previdenziali.
Avrebbe ceduto ad altra società a lui riconducibile un’imbarcazione per il prezzo di euro 706.741,17, pagato mediante compensazione con un credito di pari importo vantato dall’acquirente, venendo in tal modo a favorire il creditore acquirente, in danno di tutti gli altri creditori.
Si sarebbe reso responsabile anche del delitto di bancarotta fraudolenta post fallimentare, distraendo, dopo la dichiarazione di fallimento, rilevanti somme di denaro prelevate dal conto corrente della fallita, acceso presso Poste italiane.
Avrebbe inoltre, in qualità di unico socio accomandatario della società fallita, illimitatamente responsabile per le obbligazioni della società e conseguentemente fallito in proprio, dissipato e dissimulato beni personali.
Contro la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello, espressamente condividendo la sentenza pronunciata dal giudice di primo grado, avrebbe finito, illogicamente, per valutare a sfavore dell’imputato la circostanza che la società fosse stata trasformata da
società di capitali in società di persone. I giudici di merito, invero, anziché ritener che la trasformazione fosse stata finalizzata ad aggirare gli obblighi di trasparenza e pubblicità, avrebbero dovuto valorizzare la circostanza che l’imputato, a seguito di tale trasformazione, aveva finito per rispondere anche con il proprio patrimonio personale delle obbligazioni contratte dalla società fallita.
Sotto altro profilo, sostiene che una parte delle somme prelevate dall’imputato dai conti della società (e, precisamente la somma di euro 656.473,53) costituirebbe il compenso spettante per l’attività di amministratore della società. Una parte di tali somme (e, precisamente, euro 46.552,38), peraltro, sarebbe stata anche restituita dall’imputato, che in tal modo avrebbe manifestato la volontà di operare correttamente. Altra parte delle somme in questione (euro 68.526,41) costituirebbe il rimborso per spese di varia natura.
Quanto al denaro che l’imputato avrebbe versato in favore dei familiari, quello corrisposto a COGNOMENOME, costituirebbe il corrispettivo per l’attivi lavorativa da questo svolta per conto della società. Quello corrisposto a favore degli altri familiari, riguarderebbe soggetti che «sono stati coinvolti a vario tito nella gestione della società».
Quanto ai pagamenti effettuati in favore di altre società (pari a euro 99.063,39), «dovrebbero considerarsi nella logica di gruppo societario».
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello si sarebbe limitata a recepire le motivazioni di giudice di primo grado, non valutando le circostanze di seguito riportate, che avrebbero dovuto indurla a escludere la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta.
Con riferimento ai bonifici di euro 329.695,89 in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e di euro 304.397,54, in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, sostiene ch sarebbero i «pagamenti effettuati per l’attività di riparazione, manutenzione e messa a punto delle autovetture che tali società avrebbero effettuato a favore del gruppo RAGIONE_SOCIALE, formato da numerose società». Il numero di auto «potenzialmente» interessate agli interventi di manutenzione sarebbe di «almeno 14.000 pezzi».
Con riferimento al bonifico di euro 83.000,00, in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, sostiene che si tratterebbe di un versamento effettuato, a titolo d sponsorizzazione, a favore di una società del gruppo, che stava per vincere il campionato di categoria, ma si trovava in difficoltà per il pagamento degli stipendi ai calciatori. Vincendo il campionato, il “RAGIONE_SOCIALE” avrebbe ottenuto un premio di promozione pari a ben 5.000.000,00 di euro e vi sarebbe stata la possibilità di vendere la squadra per recuperare risorse per tutto il gruppo.
Con riferimento ai prelievi per complessivi euro 19.800,00 effettuati dal conto della società aperto presso la “Deutsche Bank S.p.a.” e quelli per complessivi euro 386.121,48, effettuati dal conto della società aperto presso la “Banca di San Marino”, sostiene che «il fatto che la società non abbia deliberato un compenso o il rimborso delle spese non significa certamente che gli stessi non spettassero all’amministratore o che le spese non siano di fatto state sostenute».
Tali fatti, in ogni caso, dovrebbero «essere sempre considerati all’interno della logica del gruppo societario».
Con riferimento alla fideiussione dall’importo di euro 1.083.650,00, prestata a garanzia delle obbligazioni contratte dalla “RAGIONE_SOCIALE“, sostiene che si tratterebbe di «un’operazione richiesta dagli istituti finanziari» e che, in ogni caso rientrerebbe nella logica di gruppo.
Con riferimento alla bancarotta fraudolenta documentale, sostiene che le scritture contabili sarebbero state messe a disposizione della curatela, che avrebbe potuto ricostruire la natura delle operazioni contabili. Vi sarebbe stata solo «la necessità di approfondire alcune registrazioni contabili, che appaiono come semplici compensazioni di crediti e debiti».
Con riferimento alle false comunicazioni sociali, aventi ad oggetto le immobilizzazioni materiali, sostiene che la differenza di valore sarebbe «dovuta solamente alla particolare situazione del mercato immobiliare che è nota a tutti» e che sarebbero stati applicati «i criteri di valutazione previsti dalle norme civilistiche sui bilanci di esercizio».
Con riferimento alle false comunicazioni sociali, aventi ad oggetto le immobilizzazioni immateriali, sostiene che i costi per ricerca, sviluppo e pubblicità si riferirebbero principalmente ai contratti di pubblicità con il “RAGIONE_SOCIALE“, ch sarebbe stata una società del gruppo, e pertanto la loro iscrizione dovrebbe «inquadrarsi nella logica di gruppo». Quanto al conto “Altri oneri pluriennali”, rileva che l’incremento del conto sarebbe avvenuto solo nell’anno 2012; «dopo tale impennata», vi sarebbero stati «incrementi poco significativi». Quanto al conto «Oneri pluriennali da cessione partecipazioni e cess. risc. Leasing», rileva che «è stato un movimentato soltanto nell’anno 2011».
Con riferimento alle false comunicazioni sociali, aventi ad oggetto componenti di reddito fittizi, il ricorrente ipotizza che l’importo delle operazioni «sia s contabilizzato dalla fallita tra le plusvalenze, come ricavo per la cessione del contratto, e, nell’attivo, in parte tra i crediti, per il finanziamento pattuito, che era stato ancora perfezionato con il versamento, e, per la differenza, tra le mobilizzazioni materiali, come bene immateriale».
Con riferimento alla cessione dell’imbarcazione ad altra società a lui riconducibile, sostiene che il pagamento sarebbe avvenuto mediante compensazione con debito di quasi pari importo e che l’intera operazione andrebbe «ridimensionata», considerato che essa non avrebbe comportato «un danno patrimoniale di rilevante gravità».
Con riferimento alla dissipazione dei beni personali e, in particolare, alla donazione in favore della Murgia dell’intera quota di partecipazione nella “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE“, proprietaria di un immobile acquistato al prezzo di euro 2.500.000,00, rileva che, al momento della donazione, la società era da tempo insolvente, sia nei confronti della persona che aveva venduto la società, che nei confronti del Monte dei Paschi di Siena. L’immobile, pertanto, non aveva più l’ingente valore indicato nell’acquisto, trattandosi di un bene che a breve sarebbe stato ipotecato.
Con riferimento alla dissimulazione dei beni personali e, in particolare, alla titolarità delle quote della “RAGIONE_SOCIALE” e delle quote della “RAGIONE_SOCIALE sostiene che la prima società sarebbe stata costituita dalla moglie dell’imputato (NOMECOGNOME, con versamento del capitale effettuato con disponibilità personali, mentre la seconda società sarebbe stata costituita dalla “RAGIONE_SOCIALE“, il cui amministratore, NOME COGNOME avrebbe riferito alla Guardia di finanza di essersi interfacciato sempre con NOME.
2.3. Con un terzo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 62-bis cod. pen. e 216 legge fa Il.
Contesta la pena applicata e il giudizio di bilanciamento delle circostanze, sostenendo che la Corte di appello avrebbe dovuto infliggere il minimo edittale e ritenere le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti. La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe considerato le attuali condizioni economiche dell’imputato e la circostanza che egli, trasformando la fallita in una società di persone, aveva finito per rispondere anche con il proprio patrimonio personale.
L’avv. NOME COGNOME per l’imputato, ha presentato due memorie scritte, con le quali ha chiesto di: annullare senza rinvio la sentenza impugnata e assolvere l’imputato dai reati contestati ai capi 1, 2 e 3 della rubrica; in subordine derubricare i reati in bancarotta semplice; in subordine, riqualificare in bancarotta preferenziale i fatti relativi alle somme prelevate dall’imputato per i propri bisogni di vita o annullare la sentenza, relativamente a tali fatti; in via subordinata rimettere gli atti alle Sezioni Unite, affinché dirimano il contrasto giurisprudenziale in materia di bancarotta preferenziale oppure «sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 216 L.F., per violazione degli artt. 3 e 36 Cost.»; in vi
subordinata, annullare senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
Il ricorrente, invero, si è limitato a effettuare delle generiche asserzioni, senza indicare e tantonneno allegare gli atti dai quali dovrebbero dedursi le circostanze affermate nel ricorso.
Non indica da quali atti si dovrebbe desumere che il denaro versato a NOMECOGNOMENOME sarebbe stato il corrispettivo per l’attività lavorativa da lui svolta in favore della società. Non indica neppure quale sarebbe l’attività lavorativa svolta dal COGNOME. Ancor più generico è il riferimento alle somme corrisposte a favore degli altri familiari, che sarebbero «stati coinvolti a vario titolo nella gestione del società».
Così come generici sono i riferimenti alle somme che costituirebbero rimborso di spese di varia natura. Anche rispetto a tali spese, manca qualsiasi indicazione degli atti dai quali dovrebbero desumersi le circostanze dedotte.
Altrettanto generica è la deduzione secondo la quale l’importo di euro 99.063,39 «dovrebbe considerarsi nella logica di gruppo societario». Rispetto a tale deduzione, peraltro, la Corte di appello aveva rilevato che il ricorrente non aveva dimostrato la sussistenza di un vero gruppo societario e che, comunque, nel caso di specie, la sola società fallita risultava svantaggiata a favore delle altre, in assenza di contropartite e di vantaggi compensativi.
Si tratta di una decisione perfettamente in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che ha affermato che, «in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata» (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME, Rv. 277545).
Con riferimento a tale censura, dunque, il motivo si presenta anche privo della necessaria specificità estrinseca, non essendosi il ricorrente effettivamente confrontato con la congrua motivazione della sentenza impugnata.
Inammissibile risulta anche la deduzione con la quale il ricorrente (anche nella memoria scritta) sostiene che una parte consistente delle somme in questione costituirebbe il compenso per l’attività di amministratore svolta dall’imputato.
Anche in tale caso, la deduzione si presenta del tutto generica, non avendo il ricorrente neppure indicato quali specifiche attività, estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica, l’imputato avesse svolto nell’amministrazione della fallita, che era una società di persone.
Al riguardo va ricordato che «configura il delitto di bancarotta per distrazione, e non quello di bancarotta preferenziale, la condotta del socio amministratore di una società di persone che prelevi dalle casse sociali somme asseritamente corrispondenti a crediti dal medesimo vantati per il lavoro prestato nell’interesse della società, senza l’indicazione di elementi che ne consentano un’adeguata valutazione, atteso che il rapporto di immedesimazione organica che si instaura tra amministratore e società, segnatamente di persone, non è assimilabile né ad un contratto d’opera né ad un rapporto di lavoro subordinato o parasubordinato che giustifichino di per sé il credito per il lavoro prestato, dovendo invece l’eventuale sussistenza, autonoma e parallela, di un tale rapporto essere verificata in concreto attraverso l’accertamento dell’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti all’immedesimazione organica» (Sez. 5, n. 14010 del 12/02/2020, COGNOME, Rv. 279103).
Il rapporto che lega l’amministratore alla società, invero, «si inquadra tra i “rapporti societari”, data l’essenzialità del rapporto di rappresentanza in capo all’amministratore, che, essendo funzionale, secondo la figura della c.d. immedesimazione organica, consente alla stessa di agire». In altri termini, «tale rapporto è rapporto “di società”, perché serve ad assicurare l’agire della società stessa, non assimilabile a un contratto d’opera, né tantomeno a un rapporto di tipo subordinato o parasubordinato». Non è escluso, però, che s’instauri, tra la società e la persona fisica che la rappresenta e la gestisce, un autonomo, parallelo e diverso rapporto che assuma, secondo l’accertamento esclusivo del giudice del merito, le caratteristiche di un rapporto subordinato, parasubordinato o d’opera, ma la sussistenza di un simile rapporto deve essere verificata in concreto, essendo indispensabile, accertare l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti al rapporto organico.
Tale rapporto di “immedesimazione organica” rileva ancor più per le società di persone come la fallita, che è una s.a.s., ove il potere di amministrare è strettamente connesso alla responsabilità illimitata del socio, che ha un preciso interesse a svolgere l’attività gestoria appunto.
Ebbene, nel caso in esame, il ricorrente non ha dimostrato, ma nemmeno dedotto, l’oggettivo svolgimento di attività estranee alle funzioni inerenti a
rapporto organico, che giustificassero, nell’ambito di una società di persone, l’attribuzione di un compenso, peraltro di considerevole importo.
Egli si è limitato ad affermare che quell’ingente somma di denaro costituiva il compenso per l’attività di amministratore, senza neppure specificare se l’imputato avesse mai percepito altri compensi. Tantomeno, ha allegato elementi di confronto (quali, ad esempio, gli emolumenti riconosciuti a eventuali precedenti amministratori, gli impegni orari osservati, i risultati garantiti, gli eventu compensi corrisposti ai dirigenti di vertice della società, i compensi riconosciuti agli amministratori delle società del medesimo settore e di analoga grandezza), dai quali poter desumere la congruità degli emolumenti che l’imputato si era riconosciuto.
Nel caso in esame, non si pone neppure la questione se il prelevamento di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o, diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, essendosi il ricorrente limitato a generiche asserzioni.
Il ricorrente, nella memoria difensiva, ha chiesto di rimettere gli atti all Sezioni Unite per dirimere il contrasto giurisprudenziale in materia. La richiesta appare riferibile al contrasto relativo alla questione se risponda di bancarotta preferenziale o di bancarotta fraudolenta per distrazione l’amministratore che, senza autorizzazione degli organi sociali, si ripaghi dei suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi per il lavoro prestato, prelevando dalla cassa sociale una somma congrua rispetto a tale lavoro (cfr. Sez. V, n. 36416 dell’Il maggio 2023, COGNOME, Rv. 285115; Sez. V, n. 32378 del 12 aprile 2018, COGNOME, Rv. 273576; Sez. V, n. 38328 del 30 maggio 2023, COGNOME, Rv. 285303).
La richiesta non può essere accolta, atteso che, nel caso in esame, come detto, non si pone neppure la questione se il prelevamento di denaro dalle casse della società in dissesto configuri il delitto di bancarotta preferenziale o diversamente, quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, essendosi il ricorrente limitato a generiche asserzioni, che rendono il motivo inammissibile.
Il ricorrente prospetta una questione di legittimità costituzione dell’art. 216 legge fai!., in relazione agli artt. 3 e 36 Cost., per un presunto contrasto con i diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro. La questione oltre a essere prospettata in maniera del tutto generica, risulta manifestamente infondata, atteso che la norma in questione per come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità – non esclude affatto che l’amministratore, quando ne sussistano i presupposti, abbia diritto alla dovuta retribuzione.
Va, infine, rilevato che i giudici di merito non sono incorsi in alcun vizio logico nel porre in rilievo che la trasformazione della fallita in società di persone l
liberava dai controlli e dagli obblighi di trasparenza e pubblicità, previsti dalla legg per la società di capitali. Si tratta, peraltro, di una circostanza che ha assunto rilievo del tutto marginale nel giudizio di responsabilità.
1.2. Il secondo motivo è infondato nelle censure relative alla dissipazione dei beni personali e inammissibile nel resto.
1.2.1. Gran parte delle censure mosse con tale motivo sono generiche, essendosi il ricorrente limitato a effettuare delle mere asserzioni, senza indicare e tantomeno allegare gli atti dai quali dovrebbero dedursi le circostanze affermate nel ricorso.
Del tutto generica è l’asserzione secondo la quale i bonifici di euro 329.695,89 in favore della “RAGIONE_SOCIALE” e di euro 304.397,54, in favore della “RAGIONE_SOCIALE” costituirebbero il corrispettivo per l’attività di riparazi manutenzione e messa a punto delle autovetture che tali società avrebbero effettuato a favore del gruppo RAGIONE_SOCIALE, formato da numerose società. Il ricorrente non indica neppure da quale atto si dovrebbe desumere la circostanza in questione. Si limita ad affermare che il numero di auto «potenzialmente» interessate agli interventi di manutenzione sarebbe di almeno 14.000 pezzi, in tal modo lasciando trasparire che la tesi prospettata è, al più, una mera ipotesi.
Assertive e generiche sono le deduzioni relative al bonifico di euro 83.000,00, effettuato in favore della società “RAGIONE_SOCIALE. Il ricorrente, peralt prima afferma che il pagamento troverebbe titolo in un contratto di sponsorizzazione, ma poi sembra affermare che si sia trattato di una sorta di finanziamento in favore di una società del gruppo. Con riferimento a quest’ultimo profilo, va ribadito quanto già esposto nell’analizzare il primo motivo di ricorso e cioè che i giudici di merito non hanno ritenuto dimostrato l’esistenza del gruppo e che, in ogni caso, non risulta in alcun modo dimostrato il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse del gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società danneggiata.
Del tutto generiche sono le deduzioni relative ai prelievi effettuati dai conti della società aperti presso la “Deutsche Bank S.p.a.” e la “Banca di San Marino”. Il ricorrente, invero, si è limitato ad affermare che «il fatto che la società non abbia deliberato un compenso o il rimborso delle spese non significa certamente che gli stessi non spettassero all’amministratore o che le spese non siano di fatto state sostenute». Alcun elemento è indicato per poter ricondurre tali prelievi ai compensi e ai rimborsi spese non meglio specificati. Ancor più generico è il riferimento «alla logica del gruppo societario», in ordine alla quale, peraltro, valgono i rilievi gi esposti.
Generiche e poco rilevanti sono le deduzioni relative alla fideiussione dall’importo di euro 1.083.650,00, prestata a garanzia delle obbligazioni contratte dalla “RAGIONE_SOCIALE“. Il ricorrente, infatti, si è limitato ad affermare che tratterebbe di «un’operazione richiesta dagli istituti finanziari». Quanto «alla logica di gruppo», valgono i rilievi già esposti.
Generiche e poco conferenti sono anche le deduzioni relative alla bancarotta fraudolenta documentale.
Va, invero, rilevato che all’imputato non è stata contestata la mancata consegna delle scritture, ma il fatto di averle tenute in maniera tale da occultare le numerosissime distrazioni delle risorse della fallita. Va rilevato che i giudici d merito hanno evidenziato che le alterazioni delle scritture avevano reso «ostica» e particolarmente complicata la ricostruzione delle vicende della fallita: essa aveva impegnato lungamente un collegio di più esperti, fin dalla richiesta di concordato preventivo. Le deduzioni del ricorrente appaiono non solo generiche ed assertive, ma anche poco conferenti, a fronte di un’imputazione con la quale viene contestata la registrazione in contabilità di prelievi di denaro di natura distrattiva, ricorren a causali generiche, manifestamente ultronee e prive di documenti giustificativi.
Generiche e meramente assertive sono anche le deduzioni relative alle false comunicazioni sociali, aventi a oggetto le immobilizzazioni materiali. Il ricorrente, invero, a fronte di un’imputazione con la quale viene contestata una sovrastima delle immobilizzazioni materiali, per almeno 18 milioni di euro, pari alla differenza tra la valutazione degli immobili nel bilancio del 2014 e l’importo indicato nella stessa proposta di concordato preventivo, si limita ad affermare che la differenza di valore sarebbe «dovuta solamente alla particolare situazione del mercato immobiliare che è nota a tutti».
Generiche e poco conferenti sono anche le deduzioni relative alle false comunicazioni sociali, aventi ad oggetto le immobilizzazioni immateriali, a fronte di un’imputazione con la quale è stata contestata, in maniera specifica, la capitalizzazione nell’attivo dello stato patrimoniale di importi assolutamente sproporzionati, in rapporto alla specifica attività svolta in quegli anni dalla societ e alla sua precaria situazione finanziaria, nella quale si trovava sin dal 2009.
Del tutto irrilevanti sono le deduzioni relative alle false comunicazioni sociali, con le quali il ricorrente si limita a prospettare delle mere ipotesi, senza indicare gli elementi concreti sui quali potrebbero basarsi.
Del tutto GLYPH inconferenti sono le deduzioni GLYPH relative alla cessione dell’imbarcazione ad altra società riconducibile all’imputato, atteso che rispetto a essa è stata contestata la bancarotta preferenziale e non quella distrattiva.
1.2.2. Quanto alle deduzioni relative alla dissipazione dei beni personali, generiche e assertive risultano quelle relative alla donazione in favore della Murgia
dell’intera quota di partecipazione nella “RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE“. Il ricorrente non indica neppure gli atti dai quali dovrebbero dedursi le circostanze dedotte, che, peraltro, potrebbero portare a una mera riduzione e non a una completa esclusione della dissipazione, realizzata mediante un atto, stipulato poco prima della presentazione della domanda di concordato preventivo, con il quale veniva trasferita la partecipazione a una società che era proprietaria di una masseria, con annessa tenuta di moltissimi ettari di terreno, dal valore di due milioni e mezzo di euro.
Infondate sono le deduzioni relative alla titolarità delle quote della “RAGIONE_SOCIALE” e delle quote della “RAGIONE_SOCIALE“. La Corte di appello, infatti, h evidenziato che non solo la dissimulazione risultava dagli accertamenti della Guardia di finanza e della curatela, ma anche che l’estraneità dell’imputato alla società svizzera – alla quale la moglie dell’imputato aveva trasferito l’intera partecipazione alla società proprietaria della masseria sopra descritta – risultava smentita dalle conversazioni intercettate, dalle quali emergeva come l’imputato e la moglie, ancora nel 2016, programmassero di vendere l’immobile in questione, per ricavarne «alcuni milioni di euro di liquidità».
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Con esso, il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione sia, come nel caso di specie (cfr. pagina 24 della sentenza impugnata), sorretta da sufficiente motivazione (cfr. Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Rv. 238851).
Va, poi, ricordato che «le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Ebbene, nel caso in esame, la Corte di appello ha motivato, in maniera adeguata e coerente, in ordine all’esercizio del suo potere discrezionale, rappresentando che, in considerazione delle gravi conseguenze che si erano determinate a seguito delle condotte tenute dall’imputato e dei suoi precedenti penali, le generiche non potevano prevalere sulle aggravanti.
Inammissibile risulta anche la richiesta di riqualificazione dei fatti in bancarotta semplice, avanzata dal ricorrente con la memoria scritta. Tale richiesta, infatti, è priva di qualsiasi argomentazione, oltre a essere completamente incompatibile con la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, 1’8 ottobre 2024.