Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29376 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29376 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nato a Cremona il 27/01/1954
avverso la sentenza del 13/11/2024 della Corte d’appello di Milano
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. NOME COGNOME che ha insistito nei motivi di ricorso.
Ritenuto in fatto
È stata impugnata la sentenza della Corte d’appello di Milano, che previa rideterminazione del trattamento sanzionatorio con la formulazione del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla circostanza aggravante contestata -ha
confermato l’affermazione di reità di COGNOME NOME , sancita in primo grado in ordine al delitto di cui agli artt. 216 prima parte n. 2 e 223 comma 1 e al delitto di cui all’art. 223 comma 2 n. 2 r.d. n. 267 del 1942, commessi in qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 27 dicembre 2016.
Il ricorso consta di tre motivi, di seguito sintetizzati nei limiti di stretta necessità di cui all’art. 173 comma 1 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Il primo motivo ha denunciato i vizi di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod. proc. pen. -anche per travisamento probatorio – in relazione alla affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. La documentazione contabile era stata sequestrata dalla guardia di finanza nel 2013 e, in seguito, una volta restituita, sarebbe stata collocata in un deposito inaccessibile al ricorrente che, in ogni caso, non ne avrebbe avuto neppure la fisica disponibilità. Egli non avrebbe distrutto, occultato o sottratto alcunché. Il sequestro di polizia giudiziaria avrebbe interrotto l’attività e, di conseguenza, quest’ultima non sarebbe più ripresa dopo il luglio del 2013. La formazione e l’accumulo dei debiti inerenti ai rapporti di lavoro dipendente, tenuto anche conto di interessi e sanzioni incrementate nel tempo, negli anni successivi, non comporterebbe la prosecuzione dell’attività di impresa. Inoltre, la sentenza impugnata affermerebbe che il Consorzio RAGIONE_SOCIALE, di cui faceva parte la fallita, avrebbe cessato di operare nel 2013, circostanza in contraddizione con l’asserzione della prosecuzione dell’attività della RAGIONE_SOCIALE, che aveva come unico cliente il consorzio.
2.2. Il secondo motivo ha dedotto analoghi vizi con riferimento alla ritenuta sussistenza del reato di bancarotta impropria per effetto di operazioni dolose, in quanto il mancato versamento dei tributi non costituirebbe omissione dolosa o fraudolenta, ma il semplice effetto del blocco dell’attività imposto dal sequestro; i debiti degli anni precedenti sarebbero marginali; il debito IVA in particolare è venuto meno dopo il sequestro, perché la società non avrebbe più operato, mentre sarebbero sorti o aumentati gli altri debiti, per sanzioni e interessi e nei confronti dei dipendenti, che non avrebbero potuto essere licenziati, che hanno maturato crediti e che hanno chiesto il fallimento. Infine, COGNOME era l’amministratore di diritto e per ciò solo le condotte di bancarotta non potrebbero essergli automaticamente addebitate.
2.3. Il terzo motivo si è concentrato sul vizio di inosservanza della legge penale per la mancata derubricazione dell’imputazione di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta documentale semplice, punibile a titolo di colpa; non vi sarebbe alcuna prova -che la Corte territoriale non avrebbe evidenziato -dello scopo di trarne un profitto o di recare pregiudizio ai creditori, necessario in caso di bancarotta fraudolenta documentale.
È stata richiesta la trattazione orale del ricorso di pubblica udienza e le parti hanno concluso come evidenziato in epigrafe.
Considerato in diritto
Il ricorso, a tratti inammissibile, è nel complesso infondato.
Il primo e il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, presentano alcuni profili di genericità e, comunque, globalmente sono infondati.
1.1. E’ necessario premettere, in vista della delibazione dell’atto di ricorso, che la giurisprudenza di questa Corte, nell’ipotesi di doppia conforme, è radicata nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi cioè che la sentenza di appello si saldi con quella precedente, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252615; da ultimo v. Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, non mass.).
In presenza di una “doppia conforme”, come nel caso di specie, il giudice di appello non è tenuto a svolgere un’analisi dettagliata di tutte le deduzioni delle parti né a esaminare singolarmente ogni risultanza processuale. È sufficiente che, attraverso una valutazione complessiva, esponga in modo logico e adeguato le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver considerato i fatti decisivi che compendiano la ratio decidendi della sentenza (sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, COGNOME, Rv. 277593 – 01; sez. 5, n. 5123 del 16/01/2024).
In tale prospettiva, si ritiene implicitamente superate le deduzioni difensive che, pur non espressamente confutate, risultino logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché il giudice dia conto, in modo coerente, della propria valutazione globale delle risultanze e delle deduzioni ( ex multis , Sez. 4, n. 26660 del 13/05/2011, COGNOME, Rv. 250900).
Va ricordato, inoltre, che i motivi di impugnazione sono inammissibili quando risultano intrinsecamente indeterminati, risolvendosi sostanzialmente in formule di stile, come
pure quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (nel primo caso, si parla di “genericità intrinseca”; nel caso di mancata correlazione con le ragioni della decisione impugnata, si tratta di “genericità estrinseca”: Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, in motivazione). In tale ottica, deve essere ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione che si risolva nella pedissequa reiterazione dei motivi già dedotti in appello e motivatamente disattesi dal giudice di merito: esso, infatti, non assolve la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di impugnazione in sede di legittimità (Sez. 5, n. 3337 del 22/11/2022, dep. 2023, COGNOME, n.m.; Sez. 5, n. 21469 del 08/03/2022, COGNOME, n.m.; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708).
1.2. D’altra parte, quando si censuri la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen. o si lamenti una violazione di legge penale, occorre che tali vizi risultino dal testo del provvedimento impugnato, ovvero che il testo del provvedimento si presenti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e comunque che il loro esame non comporti una rivisitazione nel merito delle argomentazioni illustrate dalle pronunce dei due gradi di giudizio, perché rimane esclusa, in sede di legittimità, la possibilità di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621).
Né l’esito del giudizio di responsabilità -in sede di legittimità – può essere invalidato da prospettazioni alternative, sostanzialmente risolventesi, come avvenuto nel caso in esame, nella sollecitazione di una mirata “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della sentenza, ovvero nell’autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata (sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Bosco, Rv. 234148; sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, COGNOME, Rv. 226074; sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; sez. U n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507), così come non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, la valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilità delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni e interpretazioni dei fatti (sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME e a., Rv. 271623; sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362).
1.3. Vale allora la pena sottolineare che oggetto della condotta illecita illustrata dalla sentenza di appello è nel complesso la mancata tenuta dell’impianto contabile , mai
osteso agli organi fallimentari e tale da precludere qualsiasi rielaborazione degli accadimenti aziendali – a riguardo, in particolare, dell’interruzione totale del loro aggiornamento a partire quantomeno dal l’annualità 2013.
È bene precisare che si tratta di un quadro fattuale già delineato nella sentenza di primo grado, sebbene in quella sede impropriamente ricondotto alla seconda ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, ovvero alla fattispecie di bancarotta documentale cosiddetta generica .
Tale erronea qualificazione non incide, tuttavia, sulla tenuta complessiva della decisione, giacché la corretta individuazione della fattispecie da parte del giudice di appello consente di ritenere infondati i motivi di ricorso sul reato di bancarotta documentale.
Va, infatti, ribadito che il giudice di appello è legittimato a confermare la sentenza di primo grado sulla base di elementi di prova differenti e, più in generale, di argomentazioni diverse da quelle sviluppate dal primo decidente, poiché il vincolo dell’effetto devolutivo di cui all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen. riguarda gli aspetti decisionali e non si estende ai contenuti espositivi della motivazione (sez. 5, n. 40981 del 15/05/2014, COGNOME, Rv. 261366; sez. 3, n. 9841 del 10/12/2008, COGNOME, Rv. 242995).
In tal senso, è principio consolidato che il giudice di appello possa correggere la qualificazione giuridica erroneamente attribuita ai fatti dal primo giudice, purché non si tratti di una modifica che comporti una diversa contestazione o un ampliamento dell’addebito, in violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ( sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205621; sez. 5, n. 44886 del 23/09/2015, Rv. 265508).
Questa Corte ha, altresì, chiarito che, in presenza di una ‘doppia conforme’, il giudice di appello può fondare la propria decisione su una diversa lettura degli elementi probatori, purché la nuova motivazione sia logicamente coerente e non alteri il nucleo essenziale dell’imputazione ( sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304).
1.4. Costituisce orientamento ormai consolidato di questa Corte quello secondo il quale ‘in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’occultamento delle scritture contabili, per la cui sussistenza è necessario il dolo specifico di recare pregiudizio ai creditori, consistendo nella fisica sottrazione delle stesse alla disponibilità degli organi fallimentari, anche sotto forma della loro omessa tenuta, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, lett. b), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture, in quanto quest’ultima integra un’ipotesi di reato a dolo generico, che presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai citati organi’ (sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; sez. 5, n.18320 del 07/11/2019, COGNOME, Rv.279179; sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv.
271611). L’indirizzo in esame ha superato l’interpretazione che tendeva ad equiparare a riguardo delle condotte riconducibili alla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale nella duplice declinazione, specifica e generica l’omissione della tenuta della contabilità alla sua conservazione irregolare od incompleta.
La ‘omissione’ connota l a ‘inesistenza’ degli adempimenti contabili, ritenuta equivalente alla sottrazione o all’occultamento di scritture esistenti e non consegnate al curatore, purché accompagnata dalla prova dello scopo di trarne un ingiusto profitto o di recare nocumento alla massa creditizia; invece, la cura irregolare o incompleta di un impianto contabile messo a disposizione della curatela, per assurgere all’integrazione del più grave delitto di bancarotta fraudolenta documentale nella forma di cui all’art. 216 comma primo n. 2, seconda ipotesi, R.D. n. 267 del 1942 rispetto a quello di bancarotta semplice di cui all’art. 217 comma 2 del R.D. n. 267 del 1942, deve essere caratterizzata quanto all’elemento soggettivo -dal dolo generico di ‘fraudolenza’, inteso quantomeno come compiuta rappresentazione che le scritture consegnate alla curatela del fallimento non renderanno possibile la puntuale ricostruzione del patrimonio o dell’andamento degli affari (cfr. sez. 5, n. 18634 del 1/2/2017, Autunno, Rv. 269904; sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, cit.) ovvero, in altre parole, come consapevolezza che la tenuta della contabilità sarà potenzialmente idonea ad influire sulla rituale intellegibilità degli eventi aziendali da parte degli organi fallimentari (es. sez. 5, n. 32733 del 25/05/2021, ric. COGNOME, n.m.; sez. 5, n. 2900 del 02/10/2018, COGNOME, Rv. 274630).
1.5. Pertanto, l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili, che si attaglia al caso condotto all’attenzione del collegio, può rientrare in questi termini – nell’alveo della bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216 comma 1 n. 2, prima ipotesi, del R.D. n. 267 del 1942, qualora si accerti (e si dia conto) che scopo dell’omissione sia stato quello di assicurarsi un profitto ingiusto o di recare pregiudizio ai creditori, atteso che altrimenti risulterebbe impossibile distinguere tale fattispecie da quella, analoga sotto il profilo materiale, prevista dall’art. 217 comma 2 L. Fall. (per quanto riferita alla sola contabilità obbligatoria: sez. 5, n. 44886 del 23/09/2015, Rv. 265508), punita sotto il titolo della bancarotta semplice documentale (sez. 5, n. 25432 del 11 aprile 2012, COGNOME e altri, Rv. 252992).
1.6. E sugli elementi della prova del dolo specifico si sono soffermati i diversi arresti giurisprudenziali che hanno sottolineato la necessità di privilegiare una chiave di lettura che esalti la specularità di talune emergenze probatorie -come, a titolo esemplificativo, la dimostrazione dell’esistenza di risorse finanziarie o di un patrimonio positivo resi inaccessibili agli organi fallimentari, anche attraverso la realizzazione di atti depauperativi o la sproporzione tra l’entità del passivo e l’inesistenza d i attivo -che orientino sull’intenzionalità di ostacolarne il tracciamento attraverso la mancata consegna delle
scritturazioni (cfr. sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv.284304; sez.5, n. 2228 del 04/11/2022, COGNOME, Rv. 283983).
1.7. Orbene, la sentenza dei giudici di seconde cure, con i cui compiuti passaggi il ricorso non si misura, ha posto l’accento sulla prosecuzione dell’attività caratteristica dell’impresa fallita quantomeno tra l’estate del 2013 (periodo di collocazione cronologica di un sequestro, operato dalla polizia giudiziaria) e, ragionevolmente, i primi mesi del 2015, con il perfezionamento di operazioni commerciali produttive di risorse -di ignota sorte e ricostruibilità – appropriatamente e logicamente valutata come simmetrica rispetto alla inesistenza dei relativi riscontri contabili, con la debita realizzazione dell’elemento essenziale di fattispecie rappresentato dalla finalità di trarne un profitto ingiusto o di recare nocumento ai creditori, che esclude -in radice -l’ipotizzabilità della consumazione del meno grave reato di bancarotta semplice, il quale con il reato di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta condivide l’elemento materiale ma non è connotato da dolo specifico.
Senza indulgere in inutili ripetizioni, nella sentenza impugnata sono state messe in rilievo, a riguardo della piena operatività dell’attività commerciale fino almeno -e a tutto concedere al settembre 2014, le dichiarazioni dell’imputato al curatore fallimentare, la deposizione della teste COGNOME già impiegata amministrativa della fallita, l’esistenza di insinuazioni al passivo degli ex dipendenti per gli emolumenti dovuti e non pagati sino al maggio 2015, l’elencazione di debiti erariali e previdenziali maturati nel 2014, allegata alla relazione del curatore, per importi ‘incompatibili con l’inattività dell’impresa’, desunti, in particolare, dalle cifre esposte nei modelli DM10 relativi ai contributi previdenziali. È stata altresì considerata l’inclusione, tra i creditori ammessi al passivo, di fornitori –RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALEin relazione a prestazioni eseguite nel corso del 2014.
E si è dato conto, con enunciati appropriati, dettagliati e pienamente satisfattivi dell’adempimento dell’onere di esaustiva motivazione (pag. 13 e seg. app.), che a tale ‘deserto’ contabile , ben precedente al sequestro della documentazione in sede di verifica fiscale perché delineatosi dalla fine del 2012 (pagg. 10-11 primo grado), sia corrisposta invece un’attività ‘certamente produttiva di reddito, non rintracciato dalla Curatela né in alcun modo ricostruibile per l’impossibilità di individuare in modo documentato e giuridicamente utile le somme incassate, la destinazione delle risorse incamerate dalla società, nonché le eventuali ragioni di credito della fallita per esperire eventuali azioni di recupero dell’attivo’ ; un attivo indubitabilmente esistente, come registrato dal curatore fallimentare in attinenza ad un credito per circa 40.000 euro riferiti al solo mese di settembre 2014 nei confronti del Consorzio RAGIONE_SOCIALE divenuto irrecuperabile a causa della mancata esibizione delle scritture.
A fronte di tali piane e puntuali argomentazioni, il motivo di ricorso oppone generiche proteste di dissenso, in contrasto con le emergenze probatorie e, in ogni caso, volte ad offrire una panoramica ricostruttiva dei dati di fatto semplicemente alternativa a quella condivisa dalle conformi decisioni del duplice grado, improponibile nella fase di legittimità.
2. Il secondo motivo è generico e anche manifestamente infondato.
2.1. Le decisioni di merito, in armonia con la radicata giurisprudenza di legittimità, hanno individuato nella deliberata e costante omissione dei versamenti erariali un ob iettivo di ‘autofinanziamento’ dell’imprenditore, che anziché destinare le risorse all’adempimento dei debiti tributari e previdenziali le ha utilizzate per finalità differenti, così da cagionare l’ingravescente dimensione del dissesto, per ciò solo ragionevolmente prevedibile (pagg. 12-14 sentenza del primo giudice, pagg. 1415 sentenza d’appello ).
È stato dunque dato risalto alle durevoli ed ingenti inadempienze degli obblighi erariali, risalenti al 2010 -periodo di molto antecedente all’intervento ablativo della Guardia di Finanza -con ingravescente dimensione dello squilibrio economico-finanziario, anche a cagione della maturazione di interessi e sanzioni, con inevitabile refluenza sul dissesto societario, al punto da raggiungere il culmine di un’esposizione superiore ai 500.000 euro, a fronte di un’entità complessiva, quantificata in sede concorsuale, di circa 700.000 euro; alla rilevanza penale, a tale titolo, dei comportamenti omissivi (sez. 5, n. 24572 del 19/02/2018, COGNOME e altri, Rv. 273337).
Si è rimarcato che tali condotte non si concretano in una forma di depauperamento mediante sottrazione di attivo, come avviene nella bancarotta fraudolenta patrimoniale, che non esige necessariamente un collegamento con il dissesto o con il fallimento, ma attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la “salute” economicofinanziaria dell’impresa, e comportano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato (ex multis, sez. 5, n. 47621 del 25/09/2014, Prandini, Rv. 261684).
Il dissesto è solo l’effetto di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrlo, anche se il soggetto attivo dell’operazione ne abbia in definitiva accettato il rischio (sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, COGNOME ed altri, Rv. 214856), o, comunque, esso si presenti tra le conseguenze ragionevolmente prevedibili della condotta antidoverosa (sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286349).
Anche in tal caso i rilievi del ricorso si rivelano aspecifici ed inconcludenti, perché nuovamente agganciati all’assunto, infondato, del ‘blocco’ cruciale dell’attività d’impresa
nel luglio del 2013, circostanza che avrebbe impedito di onorare i debiti nei confronti dell’Erario.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., alla declaratoria di reiezione del ricorso, consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 17/06/2025