Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 29628 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 29628 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a DESIO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 31/10/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME AVV_NOTAIO Il Procuratore Generale conclude, riportandosi alla requisitoria in atti, per l’inammissibilità del ricorso proposto da COGNOME NOME ed il rigetto del ricorso proposto per COGNOME NOME.
udito il difensore
AVV_NOTAIO, si riporta agli atti a firma del Collega COGNOME per la posizione del COGNOME, in relazione al ricorrente COGNOME NOME si riporta agli atti e chiede l’accoglimento del ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 31 ottobre 2023, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del locale Tribunale, posti in continuazione i delitti di bancarotta contestati nel presente processo a NOME COGNOME e a NOME COGNOME con i diversi delitti definitivamente giudicati con sentenza della medesima Corte del 19 luglio 2016, rideterminava la pena inflitta a ciascuno imputato in anni 1 di reclusione, da porre in aumento con quella già divenuta definitiva.
Ai prevenuti era stata contestata la distrazione dal patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 4 aprile 2013 – COGNOME quale amministratore unico e COGNOME quale amministratore di fatto (entrambi dal marzo/aprile 2012 al fallimento) – di somme per un totale di euro 68.000 e degli altri diritti patrimoniali indicati in rubrica e la sottrazione della documentazione contabile in pregiudizio dei creditori e rendendo anche impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Condotte aggravate, oltre che dalla pluralità dei fatti di bancarotta, anche dall’intento di agevolare il locale di ‘ndrangheta di Desio al quale entrambi appartenevano.
1.1. In risposta ai dedotti motivi di appello, per quanto qui interessa, la Corte territoriale osservava quanto appresso.
Rilevava come il versamento di euro 50.000, effettuato il 30 maggio 2012 nel corso dell’amministrazione di COGNOME, era pervenuto, in assenza di qualsivoglia giustificazione, alla srl NOME, amministrata dal fratello del COGNOME ed interamente posseduta da quella medesima società svizzera che aveva acquistato il 90 % delle quote della fallita, società della quale era amministratore lo stesso COGNOME.
Quanto alla somma di euro 15.000, versata lo stesso 30 maggio 2012, a favore di una cooperativa sempre amministrata da un fratello di COGNOME, anch’essa era priva di giustificazione. Così come priva di ragioni era la condotta appunto distrattiva a favore RAGIONE_SOCIALE, compiuta sempre nell’interesse del COGNOME.
Il veicolo Fiat Iveco era stato ceduto senza corrispettivo al fratello di COGNOME, e la gru COGNOME non era stato reperita nel luogo indicato. Così come i beni strumentali erano stati rivenuti in un locale in possesso del referente dell’RAGIONE_SOCIALE mafiosa nel cui interesse gli imputati avevano agito, NOME COGNOME.
Presso il commercialista della società erano state recuperate solo alcune delle scritture contabili.
Era poi emerso che COGNOME, amministratore di diritto della società, spacciandosi come avvocato, aveva tenuto i rapporti con le banche, mentre COGNOME doveva esserne considerato il coamministratore di fatto in considerazione della sua continua presenza nei cantieri, della gestione del personale (decidendo se chiedere la cassa integrazione o se far lavorare i dipendenti) e dell’interessamento all’acquisto stesso delle quote della società (come aveva riferito il AVV_NOTAIO rogante).
Anche grazie all’intercettazione delle conversazioni fra presenti tenute in un locale adibito ad ufficio di NOME COGNOME, il personaggio di vertice della consorteria di ‘ndrangheta a cui entrambi gli odierni imputati facevano riferimento, si era accertato che l’acquisto della società era stato discusso, fra COGNOME e COGNOME, nella prospettiva di impadronirsi dell’immobile industriale che possedeva, di procurare un’attività lavorativa allo stesso COGNOME, destinatario di una misura di prevenzione personale e di inserirsi nel mondo degli appalti pubblici (alla cui partecipazione la società era ammessa).
Lo stesso COGNOME aveva individuato nel COGNOME la persona che avrebbe dovuto interessarsi della società, assumendo la carica di amministratore della fallita, sempre però affiancato dal COGNOME.
Così che, concludeva la Corte, entrambe le condotte di bancarotta, patrimoniale e documentale, doveva essere ascritte a ciascuno degli imputati.
Quanto all’aggravante contestata, ai sensi dell’art. 416 bis 1 cod. pen., la Corte ne riteneva la configurabilità alla luce di quanto si era accertato: la strumentalità del suo acquisto e della sua gestione rispetto agli interessi della cosca capeggiata dal COGNOME.
Propongono ricorso entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. L’AVV_NOTAIO Accorretti, per NOME COGNOME, articola nove motivi.
2.1.1. Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla valutazione della prova relativa alla bancarotta patrimoniale.
La Corte territoriale non aveva considerato che, tra la cessione delle quote della società ed il fallimento, il patrimonio immobiliare della società, del valore di circa un milione di euro, non era andato disperso.
Né l’indebitamento della fallita si era aggravato (rimanendo a circa 4 milioni di euro). Gli odierni imputati non avevano aperto altre linee di credito.
Del resto, la perdita della certificazione NUMERO_DOCUMENTO (attestante il regolare versamento dei contributi RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE) non aveva permesso di operare.
Si era già osservato come le condotte ipotizzate come distrattive erano di valore risibile rispetto al pregresso indebitamento, come le stesse fossero riconducibili ad operazioni infragruppo e come difettasse il dolo di danno ai creditori.
Il periodo di tempo trascorso fra la messa in cassa integrazione dei dipendenti, nel gennaio 2012, ed il passaggio delle quote, nel marzo 2012, non consentiva di attribuire la cessione dei beni presenti in magazzino ai nuovi proprietari.
Così che la Corte non aveva affrontato il tema del concreto depauperamento del patrimonio sociale.
Non si era considerato che l’imputato aveva depositato in giudizio i documenti che attestavano le ragioni della corresponsione della somma di euro 50.000 alla RAGIONE_SOCIALE. Così che non si poteva affermare la genericità della spiegazione fornita della relativa operazione infragruppo.
I beni locati (con un contratto che recava la sottoscrizione del ricorrente, non autentica) alla RAGIONE_SOCIALE erano stati poi reperiti.
La gru COGNOME era stata solo spostata in un diverso cantiere posto che la fallita non era più operativa.
2.1.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla valutazione della prova relativa alla bancarotta documentale.
Il curatore aveva potuto ricostruire il patrimonio della società consultando gli estratti conto bancari. Movimento degli affari non ve ne era stato, non avendo la società operato.
Del resto, la documentazione contabile era stata affidata al ragioner COGNOME, professionista di fiducia della precedente proprietà.
Il reale dominus della società era poi NOME COGNOME che aveva attribuito al ricorrente la carica di amministratore.
2.1.3. Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo di entrambe le condotte di bancarotta.
Come si era detto, NOME COGNOME era il dominus della società dalla quale aveva poi allontanato il ricorrente a fine 2012 (come emerge dal parallelo processo Tibet, le cui imputazioni erano state poste in continuazione con gli odierni delitti).
Dal contenuto delle intercettazioni nulla era emerso carico del prevenuto.
Né COGNOME aveva motivo alcuno per occultare la contabilità. Né era emerso fosse al corrente dell’intento di svuotarne il patrimonio.
Né poteva attribuirsi allo stesso le condotte solo per la carica formale ricoperta.
Non si era neppure provata la consapevolezza del ricorrente di porre in concreto pericolo il soddisfacimento dei creditori, richiamando anche quanto già sopra osservato in tema di elemento oggettivo del reato.
2.1.4. Con il quarto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla mancata derubricazione nell’ipotesi di bancarotta documentale semplice.
Il prevenuto si era affidato ad altri soggetti così che i reati contestati gl potevano essere attribuiti solo a titolo di mera colpa.
2.1.5. Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen.
Non si era affatto raggiunta la prova che il dissesto della società fosse funzionale all’operatività dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
La motivazione sul punto era meramente assertiva.
Era del tutto assente la prova del necessario dolo specifico.
2.1.6. Con il sesto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dell’aggravante della pluralità di fatti di bancarotta, qualora la bancarotta fraudolenta documentale fosse derubricata nell’ipotesi della bancarotta semplice.
2.1.7. Con il settimo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante del danno lieve.
Attenuante che avrebbe dovuto essere riconosciuta in considerazione dello scarso valore dei beni distratti e della permanenza nel patrimonio della fallita del compendio immobiliare.
Sul punto la motivazione della Corte era stata meramente assertiva, considerando poi che il danno doveva essere quantificato in relazione alla diminuzione cagionata dal fallito al patrimonio rimasto disponibile per il riparto.
2.1.8. Con l’ottavo motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine al mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti rispetto alle contestate aggravanti considerando il comportamento processuale collaborativo del prevenuto.
2.1.9. Con il nono motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla misura dell’aumento di pena distonico rispetto agli altri aumenti inflitti per i reati giudicati nel processo Tibet.
2.2. L’AVV_NOTAIO, per RAGIONE_SOCIALE, articola cinque motivi.
2.2.1. Con il primo ed il secondo motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione al ritenuto ruolo di amministratore di fatto ricoperto dal ricorrente.
La circostanza era provata, a giudizio della Corte, dalle dichiarazioni del curatore, da quelle di NOME COGNOME, coniuge del precedente titolare della società, dal dipendente NOME COGNOME e dal AVV_NOTAIO.
In realtà, invece, COGNOME si era occupato, in forza di un contratto di collaborazione con la fallita, di seguire i cantieri e di accompagnare gli eventuali acquirenti, così disponendo delle chiavi degli immobili, così che neppure dalle citate testimonianze poteva dedursi la prova di una sua attività di gestione diretta, ed autonoma, della società stessa.
2.2.2. Con il terzo e quarto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in riferimento alla mancata derubricazione dei fatti contestati nell’ipotesi di bancarotta semplice.
Non avendo il ricorrente svolto alcun compito gestorio non poteva avere avuto alcuna contezza dello stato della contabilità né che, in ordine alla bancarotta patrimoniale, le condotte consumate potessero costituire un concreto pericolo per il patrimonio della società e, quindi, per le ragioni dei creditori.
Né nelle stesse ipotesi distrattive si erano individuati quegli indici di fraudolenza che soli consentono di ritenere configurato il contestato reato.
Al più, appunto, poteva attribuirsi al prevenuto un profilo di colpa, punibile soltanto ai sensi dell’art. 217 legge fall., con la conseguente prescrizione dei reati.
2.2.3. Con il quinto motivo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’avvenuto riconoscimento dell’aggravante di cui all’art. 416 bis 1 cod. pen.
Le Sezioni unite avevano chiarito che la circostanza si configura solo a titolo di dolo specifico (e si tratta di circostanza soggettiva), dolo che, nell’odierno caso concreto, non sussisteva affatto visto che il prevenuto non aveva condiviso i fini che intendeva perseguire il referente della cosca, NOME COGNOME.
2
e
Il Procuratore generale della Repubblica presso questa corte, nella persona del sostituto NOME COGNOME, ha inviato requisitoria scritta con la quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso COGNOME e per il rigetto del ricorso COGNOME.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Entrambi i ricorsi non meritano accoglimento.
I motivi di censura proposti avverso la declaratoria di responsabilità dei ricorrenti in ordine alle due imputazioni loro ascritte – la bancarotta per distrazione e la bancarotta fraudolenta documentale – hanno un nucleo comune e vanno per questo unitariamente trattati.
1.1. Quanto alla bancarotta patrimoniale deve ricordarsi che:
in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici di fraudolenza”, rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passivi rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763);
in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, la prova della distrazione o dell’occultamento dei beni della società dichiarata fallita può essere desunta dalla condotta dell’amministratore che ometta di indicare al curatore l’esistenza, destinazione ed ubicazione di beni aziendali (nella specie rinvenuti dal curatore solo a seguito di ricerche e verifiche documentali), trattandosi di una condotta post-fallimentare intrinsecamente e concretamente pericolosa e non già di una iniziativa assunta nel corso della gestione sociale di cui si debba sindacare “ex post” la pericolosità (Sez. 5, n. 669 del 04/10/2021, dep. 2022, Rossi, Rv. 282643).
Da tali principi di diritto deriva che, nel caso concreto, la non manifesta illogicità della motivazione della Corte territoriale laddove questa ha considerato
che i pagamenti effettuati dalla fallita senza congrua giustificazione (tanto più che le stesse difese riconoscono che, dopo il suo acquisto, la società non aveva più operato) a favore di società sostanzialmente correlate (perché riconducibili a familiari dell’imputato COGNOME, dato che di per sé costituisce un ulteriore indice di fraudolenza) e laddove, sempre la Corte, ha rilevato come i beni strumentali della medesima fossero stati reperiti dal curatore, e dagli operanti, presso altri soggetti (fra cui, nuovamente, un fratello del COGNOME), comunque riferibili al contesto più ampio facente riferimento al capo della cosca nel cui interesse la società era stata acquistata, NOME COGNOME.
Che poi fosse rimasto nel patrimonio della fallita l’immobile di proprietà (che pure, significativamente al fine di comprendere l’intento spoliativo che aveva mosso COGNOME e, di conseguenza COGNOME e COGNOME, avrebbe dovuto essere distratto) nulla mutava circa la rilevanza penale delle condotte realizzate e contestate come distrattive, avendo anche le stesse (seppure in misura minore) depauperato l’attivo della società, così danneggiandone i creditori.
Quanto, in particolare, al versamento di euro 50.000 ad una società riferibile al fratello del COGNOME, le difese lamentano la mancata considerazione, ad opera della Corte territoriale, delle ragioni, sostenute da una produzione documentale, di tale operazione, che si definisce “infragruppo”. E, tuttavia, tale censura difetta di specificità non argomentandosi, nel ricorso, in cosa consistesse tale operazione e quale “vantaggio compensativo” ne fosse derivato alla, inattiva, fallita.
Si è infatti affermato che, in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per escludere la natura distrattiva di un’operazione di trasferimento di somme da una società ad un’altra non è sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo “gruppo”, dovendo, invece, l’interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell’interesse di un gruppo ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, ex art. 2634 cod. civ., per la società apparentemente danneggiata (Sez. 5, n. 47216 del 10/06/2019, COGNOME, Rv. 277545).
Peraltro, nell’odierno caso concreto le due società, la fallita e la beneficiata, neppure potevano dirsi appartenere ad un medesimo gruppo, così come individuato dagli artt. 2497 e ss. cod. civ., non esistendo fra le stesse alcun formale intreccio di quote né alcun coordinamento, o comune direzione, gestorio. L’unico legame societario della fallita riconosciuto era quello con la società svizzera di cui era amministratore RAGIONE_SOCIALE e che ne aveva acquistato il 90 ( 3/0 delle quote (per ordine di COGNOME e con la collaborazione di COGNOME).
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1.2. Quanto alla ritenuta bancarotta fraudolenta documentale, il curatore aveva rinvenuto presso il commercialista della società alcuni dei libri e dei registri contabili, solo parzialmente scritturati; nulla gli era stato consegnato da COGNOME e tantomeno da COGNOME.
La documentazione contabile rinvenuta, sia perché del tutto parziale sia perché mancante dei documenti di appoggio e riscontro (parimenti non depositati) non aveva consentito alcuna concreta ricostruzione del patrimonio della fallita e del movimento degli affari, in sicuro pregiudizio dei creditori, anche per l’evidente strumentalità dell’occultamento della documentazione rispetto alle condotte di bancarotta per distrazione.
E che i prevenuti ne disponessero era provato dalle dichiarazioni del precedente amministratore NOME COGNOME che aveva riferito di aver consegnato loro tutta la documentazione contabile (consegna a cui era del resto tenuto, cessando egli dalla carica di amministratore).
Dovendosi così escludere anche la mera colpa, in capo ai ricorrenti, e la conseguente invocata derubricazione della condotta in quella punita ai sensi dell’art. 217, comma 2, legge fall.
Quanto alle ulteriori censure mosse nei ricorsi, in particolare in ordine alla tenuta della contabilità da parte di un professionista e in riferimento alla possibilità di ricostruire l’andamento degli affari servendosi di ulteriore documentazione autonomamente reperita dal curatore, occorre ricordare che si è costantemente affermato che:
in tema di bancarotta fraudolenta documentale, l’imprenditore non è esente da responsabilità per il fatto che la contabilità sia stata affidata a soggetti fornit di specifiche cognizioni tecniche, in quanto, non essendo egli esonerato dall’obbligo di vigilare e controllare le attività svolte dai delegati, sussiste una presunzione semplice, superabile solo con una rigorosa prova contraria, che i dati siano stati trascritti secondo le indicazioni fornite dal titolare dell’impresa (Sez. 5, n. 36870 del 30/11/2020, COGNOME, Rv. 280133; Sez. 5, n. 24297 del 11/03/2015, COGNOME, Rv. 265138);
sussiste il reato di bancarotta fraudolenta documentale anche quando la documentazione possa essere ricostruita “aliunde”, poiché la necessità di acquisire i dati documentali presso terzi costituisce riprova che la tenuta dei libri e delle altre scritture contabili era tale da rendere, se non impossibile, quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279346; Sez. 5, n. 2809 del 12/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262588).
1.3. Da ultimo, restano da affrontare le censure mosse nei ricorsi circa il contributo causale fornito da ciascuno degli imputati alle ricordate ipotesi di bancarotta fraudolenta.
Si tratta tuttavia di doglianze interamente versate in fatto e, comunque, sia manifestamente infondate sia già adeguatamente confutate dalla Corte di merito.
NOME, infatti, era stato, in continuità, l’amministratore della fallita, dal momento in cui la stessa era stata acquistata da una società svizzera dal medesimo amministrata, su esplicita richiesta di NOME COGNOME.
Si era presentato ai vecchi proprietari ed alle maestranze come “avvocato2 ed aveva promesso un rilancio, che, peraltro, mai vi era stato, ed anzi, cessata l’attività e posti i dipendenti in cassa integrazione, si era iniziato a spogliarla rapidamente conducendola all’inevitabile fallimento.
Non vi sono pertanto ragioni per ricondurlo al mero ruolo di “prestanome” così come la Corte di merito ha non illogicamente motivato, confermandone la condanna per entrambi i delitti contestatigli.
Anche NOME COGNOME si era direttamente interessato all’acquisto della società, avendola del resto suggerito e concordato con NOME COGNOME (ed il AVV_NOTAIO aveva confermato la sua presenza nelle relative riunioni), e come, insieme al COGNOME si fosse presentato come rappresentante della nuova proprietà e gestore della medesima, sia ai vecchi proprietari sia ai dipendenti (come dimostrano le deposizioni del precedente proprietario NOME COGNOME, della moglie di questi dal teste COGNOME, nipote del COGNOME e dipendente della società).
Significativi del suo ruolo di amministratore di fatto (pur non escludendo la cogestione con il RAGIONE_SOCIALE) erano anche il fatto che egli si fosse legittimato ad agire per conto della società stipulando con la stessa un contratto di collaborazione e la circostanza che almeno parte delle distrazioni consumate era andata a vantaggio di società e soggetti a lui legati da vincoli economici o familiari, così dovendosi direttamente a lui ricondurre la decisione di tali atti gestori.
1.3. in conclusione non meritano accoglimento i motivi dal primo al quarto (assorbito il sesto non prospettandosi la riqualificazione della bancarotta documentale in bancarotta semplice) del ricorso COGNOME e dal primo al quarto del ricorso COGNOME, tutti spesi sulla declaratoria di penale responsabilità dei medesimi in ordine ai delitti di bancarotta loro ascritti.
Parimenti priva di illogicità manifeste è la motivazione della Corte di merito in ordine alla configurabilità, in capo ad entrambi i ricorrenti, dell’aggravante contestata ai sensi dell’attuale art. 416 bis 1 cod. pen., per avere, con le cotestate
condotte di bancarotta, agevolato l’attività della cosca capeggiata da NOME COGNOME (il “locale” di Desio).
Si era, infatti, accertato che proprio dal COGNOME era partita l’iniziativa di acquisire la società in questione e proprio per meglio coltivare i suoi interessi, come referente della consorteria, e della consorteria stessa, potendo attraverso la stessa (ed anche solo il suo acquisto) anche riciclarne i proventi.
Era pertanto evidente la configurabilità dell’aggravante contestata, e ciò anche alla luce del principio di diritto fissato dalla sentenza delle Sezioni unite n. 8545 del 19/12/2019, dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – secondo cui la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe – posto che entrambi gli odierni imputati erano perfettamente consapevoli e compartecipi delle complessive condotte ideate dal COGNOME e da costoro eseguite, essendo, i due ricorrenti, risultati anche prossimi allo stesso sodalizio di ‘ndrangheta che a questi faceva riferimento.
Risultano pertanto infondati il quinto motivo del ricorso COGNOME ed il quinto motivo del ricorso COGNOME.
Restano i motivi di censura argomentati nel ricorso COGNOME in ordine al trattamento sanzionatorio.
Sono tutti inammissibili.
Nel sesto motivo, sull’attenuante del danno patrimoniale lieve, non si è considerato che l’insieme delle distrazioni costituisce un danno non certo tenue per i creditori, ammontando a decine di migliaia di euro e riguardando mezzi ed attrezzature anche di notevole valore economico (non assumendo rilievo alcuno, a tale riguardo, il fatto che l’immobile sia rimasto in proprietà della fallita).
Si è, infatti, precisato come, in tema di bancarotta fraudolenta, il giudizio relativo all’attenuante della particolare tenuità del danno patrimoniale, di cui all’art. 219, comma 3, legge fall. 16 marzo 1942, n. 267, deve essere posto in relazione alla diminuzione globale che il comportamento del fallito ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti (Sez. 5, n. 19981 del 01/04/2019, COGNOME, Rv. 277243; Sez. 5, n. 52057 del 26/11/2019, NOME, Rv. 277658).
Quanto al giudizio di comparazione delle circostanze eterogenee, oggetto dell’ottavo motivo, si rammenta come lo stesso, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfugga al sindacato di legittimità qualora non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretto da
sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
Infine, la misura dell’aumento di pena per i delitti giudicati nell’odierno processo (in continuazione con i reati le cui condanna era già divenute definitive) era stata congruamente motivata tenuto conto della gravità dei fatti addebitati (non avendo rilievo dirimente la diversa misura degli aumenti ex art. 81 cpv. cod. pen. nel diverso processo). Così da doversi ritenere la manifesta infondatezza anche del nono motivo di ricorso.
Al rigetto dei ricorsi segue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali. Così deciso, in Roma il 19 aprile 2024.