Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19195 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19195 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 22/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FAENZA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/01/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il difensore
IN FATTO E IN DIRITTO
Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Bologna, riformava in favore dell’imputato, limitatamente alla durata delle pene accessorie fallimentari, la sentenza con cui il tribunale di Ravenna, in data 21.5.2019, aveva condannato COGNOME NOME alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione ai fatti di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione ascrittigli al capo b) dell’imputazione, in qualità di amministratore unico della “RAGIONE_SOCIALE“, dichiarata fallita dal tribunale di Ravenna in data 18.12.2012.
Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, lamentando: 1) vizio di motivazione, in quanto la natura distrattiva della cessione posta in essere dalla società fallita, avente a oggetto il brevetto K, il relativo marchio, nonché la licenza d’uso, al prezzo di euro 3.200.000,00 in favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, è stata affermata dai giudici di merito, decontestualizzandola dall’intera operazione economica, dallo stesso curatore ritenuta ragionevole sul piano economico, in considerazione della difficoltà di rapporti con il sistema bancario, all’interno della quale, rileva il ricorrente, la “RAGIONE_SOCIALE” ha continuato a esercitare l’attività economica caratteristica, rappresentata dall’utilizzazione del brevetto e del marchio ceduti in proprietà alla “RAGIONE_SOCIALE“, ma da questa retrocessi in godimento alla dante causa, a far data dall’1.1.2009, realizzando ricavi che lo stesso curatore ha quantificato in 4.558.000,00 euro al 31.12.2008, per poi diminuire nel corso degli anni, senza tacere che il AVV_NOTAIO, nel descrivere i flussi finanziari che la società fallita avrebbe ragionevolmente realizzato dopo l’operazione di conferimento del ramo d’azienda alla “RAGIONE_SOCIALE” (si tratta della seconda operazione distrattiva), come licenziatario della stessa azienda, ha messo in evidenza che la “RAGIONE_SOCIALE” dal 2003 (quindi anche nel 2009) non ha mai conseguito ricavi inferiori a 3.000.000,00 di euro, risultato di cui si è potuta avvantaggiare nello svolgimento della sua attività imprenditoriale; 2) violazione di legge in punto di ritenuta
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natura distrattiva della indicata cessione posta in essere dalla società fallita, in favore della "RAGIONE_SOCIALE", sia con riferimento al momentaneo trasferimento della proprietà dei beni, sia con riguardo al riconoscimento delle royalties per lo sfruttamento economico dei beni stessi, in quanto la corte territoriale ha omesso di considerare che l'incontestata risoluzione del contratto di cessione per inadempimento della cessionaria, non ha fatto venir meno la funzione di garanzia patrimoniale dei beni ceduti a favore dei creditori, per essere stati retrocessi, nella loro originaria consistenza, alla titolarità esclusiva della "RAGIONE_SOCIALE", con effetto "riparatorio" o "reintegrativo" della consistenza patrimoniale della società in un momento antecedente alla dichiarazione di fallimento. Il giudice di appello configura il reato di cui si discute come un reato di pericolo presunto e non di pericolo concreto, per cui anche la momentanea uscita di un bene dal patrimonio della RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata idonea a integrare la contestata distrazione, come l'ulteriore aggravio economico rappresentato dal pagamento delle royalties, laddove, osserva il ricorrente, quel che rileva è solo la diminuzione della consistenza patrimoniale della società, idonea a danneggiare le aspettative dei creditori.
A tal fine, in particolare, i giudici di merito avrebbero dovuto dimostrare che la continuazione dell'attività economica della "RAGIONE_SOCIALE" attraverso l'utilizzo del suo marchio e brevetto avrebbe generato ricavi o entrate non del tutto sufficienti o compatibili con gli oneri finanziari derivanti dal riconoscimento delle royalties alla "RAGIONE_SOCIALE", per cui si sarebbe inciso negativamente sulle garanzie dei creditori, e che l'operazione di cessione dei beni immateriali da parte della "RAGIONE_SOCIALE" con sua prosecuzione, in veste di licenziataria, dello sfruttamento degli stessi, non sarebbe stato giustificabile sul piano economico e imprenditoriale, conclusione, tuttavia, come si è detto, esclusa dallo stesso curatore fallimentare, senza tacere che l'atto di cessione non è stato stipulato in un periodo prossimo allo stato di insolvenza per cui l'imputato non ha agito nella richiesta "zona di rischio penale"; 3) violazione di legge con riferimento alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato in ordina
all'operazione distrattiva in favore della "RAGIONE_SOCIALE", in relazione al quale si sarebbe dovuto dimostrare non già la consapevole volontà dell'imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, ma, piuttosto che il COGNOME, al momento di disporre dei beni della società, fosse stato consapevole che il suo atto negoziale presentasse un carattere di ingiustificato depauperamento delle disponibilità aziendali, a tale obiettivo finalizzato, con la conseguenza che l'elemento soggettivo del reato di cui si discute può ritenersi integrato solo dopo un'indagine sulla presenza e sulla congruità del controvalore economico e patrimoniale che il singolo riteneva di ricevere, quale corrispettivo dell'atto di disposizione.
In questa prospettiva l'impossibilità di configurare in capo al COGNOME l'elemento soggettivo del reato discende dalla circostanza che in entrambe le operazioni in contestazione egli ha agito non per sacrificare le ragioni dei creditori o per aggravare la situazione finanziaria della "RAGIONE_SOCIALE", ma sulla base di una reale logica economica, nella direzione della conservazione delle capacità produttive ed espansive della società fallita; 4) vizio di motivazione in punto di inadeguata valutazione delle risultanze processuali, sussistendo un'oggettiva incompatibilità tra l'informazione posta alla base del provvedimento impugnato e l'informazione sui medesimi punti esistenti negli atti processuali, a tal punto da sconfinare nel vizio di travisamento della prova; 5) violazione di legge, con riferimento alla ritenuta sussistenza degli elementi costitutivi, sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in ordine all'operazione economica di conferimento di ramo d'azienda comprensiva del marchio e del brevetto della "RAGIONE_SOCIALE" a favore della "RAGIONE_SOCIALE" e successivamente da quest'ultima a vantaggio della "RAGIONE_SOCIALE" 3. Con requisitoria scritta del 29.12.2023 il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, AVV_NOTAIO, chiede che il ricorso sia rigettato.
Con memoria del 4.1.2024 il difensore di fiducia dell'imputato, AVV_NOTAIO, nel replicare alla requisitoria scritta del pubblico
ministero, insiste per l'accoglimento del ricorso, reiterando le proprie doglianze.
4. Il ricorso non può essere accolto, essendo sorretto da motivi in parte infondati, in parte inammissibili.
Al fine di meglio comprendere la fattispecie che ci occupa occorre brevemente riepilogare quali siano state le condotte contestate al ricorrente, come ricostruite dai giudici di merito, nella sua qualità di amministratore unico della "RAGIONE_SOCIALE", dichiarata fallita dal tribunale di Ravenna in data 18.12.2012, operante nel settore della progettazione, produzione e commercializzazione di prodotti ceramici.
Si tratta, in particolare di una serie di cessioni, relative a brevetti e marchi, oggetto di valutazione patrimoniale, che vedono la società fallita, attraverso il suo amministratore, in veste di cedente.
Con riferimento a una prima operazione, la società fallita, in data 15.12.2008, cedeva il brevetto "K", il relativo marchio e la licenza d'uso alla società "RAGIONE_SOCIALE", amministrata da COGNOME NOME, coimputato del COGNOME e socio di quest'ultimo in "RAGIONE_SOCIALE", nonché detentrice dell'intero capitale sociale della "RAGIONE_SOCIALE", in qualità di socio unico, senza incassare il corrispettivo pattuito nella misura di 3.200.000, 00 euro, pagando, inoltre, alla cessionaria royalties nella percentuale del 5%, pari a 250.000,00 euro, del volume d'affari realizzato in un anno, per la licenza d'uso del brevetto di sua proprietà, sino al 3.12.2020, data in cui era intervenuta la risoluzione del contratto di cessione per il mancato pagamento del corrispettivo, con conseguente formale riacquisizione del brevetto in capo alla società fallita.
Successivamente, in data 21.12.2010, la "RAGIONE_SOCIALE" procedeva ad altra cessione del ramo d'azienda, (comprendente il marchio e il brevetto), valutato in 60.000,00 euro, al netto delle passività, in favore della società "RAGIONE_SOCIALE", costituita proprio lo stesso giorno della cessione, partecipata al 100% dalla stessa "RAGIONE_SOCIALE" e amministrata dalla figlia del COGNOME, senza percepire alcun corrispettivo, mantenendo la licenza d'uso del brevetto.
A sua volta, il 14.12.2011, la "RAGIONE_SOCIALE", cedeva il marchio e il brevetto alla società "RAGIONE_SOCIALE", per il prezzo di 2.400.000,00 euro, i cui soci si erano obbligati a cedere entro l'anno successivo al COGNOME e al coimputato COGNOME, le quote della stessa "RAGIONE_SOCIALE", consentendo loro di rientrare in possesso dei suddetti beni immateriali.
La "RAGIONE_SOCIALE", che avrebbe dovuto pagare il prezzo dell'indicata cessione accollandosi i debiti della "RAGIONE_SOCIALE", non rispettò l'impegno assunto contrattualmente, determinando la messa in liquidazione di tale ultima società, ormai divenuta una scatola vuota.
Come evidenziato dalla corte territoriale il curatore fallimentare ha rilevato "che all'esito di tutte le operazioni di cessione del brevetto "K" non vi è mai stata entrata di denaro sebbene la società fallita avesse urgente bisogno di liquidità mentre il brevetto continuava a rimanere nella disponibilità indiretta del COGNOME e del COGNOME, così che ne risultava spogliata unicamente la società fallita, la quale non ha così ottenuto la liquidità necessaria a risanare la gestione" (cfr. p. 2 della sentenza di appello).
Orbene, come rilevato dal giudice di appello, una valutazione non atomistica, ma complessiva dell'intera operazione posta in essere dall'imputato, consente di affermare, che, sin dalla prima cessione in favore della "RAGIONE_SOCIALE", la società fallita si sia privata del marchio e del brevetto senza nessuna reale contropartita economica.
Non è revocabile in dubbio che tale condotta integri gli estremi della bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione.
La corte territoriale ha fatto, invero, buon governo dei principi costantemente affermati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza imrnettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l'apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, Rv. 280106).
Integrano, pertanto, il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione tutte le operazioni economiche che, esulando dagli scopi dell'impresa, determinano, senza alcun utile per il patrimonio sociale, un effettivo depauperamento di questo in danno dei creditori (cfr. Sez. 5, n. 15679 del 05/11/2013, Rv. 262655).
Come è stato ribadito anche recentemente dalla giurisprudenza di legittimità, in tema di bancarotta fraudolenta, la condotta di "distrazione" si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l'impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di "dissipazione" consiste nell'impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell'azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (cfr. Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, Rv. 280550).
Costante nella giurisprudenza della Suprema Corte è, inoltre, l'orientamento, secondo cui il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, in quanto l'atto di depauperamento, incidendo negativamente sulla consistenza del patrimonio sociale, deve essere idoneo a creare un pericolo per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l'apertura della procedura fallimentare (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, Rv. 271437).
Proprio la natura di reato di pericolo del delitto di cui si discute rende del tutto irrilevante ai fini della sua configurabilità, sotto il profilo dell'elemento oggettivo e soggettivo del reato, l'assenza di un danno per i creditori (cfr. Sez. 5, n. 13382 del 03/11/2020, Rv. 281031).
In applicazione di tali principi è stato più volte affermato che integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria patrimoniale l'affitto d'azienda al quale non consegua l'incasso dei canoni pattuiti da parte della società fallita, senza che sia addotta alcuna giustificazione in proposito ovvero
per il quale sia stata previsto un corrispettivo insignificante (cfr. Sez. 5, n. 16989 del 02/04/2014, Rv. 259858; Sez. 5, n. 20370 del 10/04/2015, Rv. 264078; Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, Rv. 272841).
Appare pertanto evidente l'infondatezza dei rilievi difensivi, stante la mancanza di una effettiva contropartita economica alle cessioni poste in essere dal COGNOME, che nemmeno si è attivato per il recupero di quanto dovuto alla cedente.
Da un lato, infatti, con riferimento alla prima operazione, concorrono, nel medesimo contesto, condotte distrattive e dissipative, posto che con essa si è "determinato non solo il depauperamento della società fallita in relazione al suo intero patrimonio sociale conferito a terzi in assenza di qualsivoglia contropartita, ma anche un ulteriore danno economico costituito dal pagare a terzi l'uso di un bene di sua proprietà", nella misura di 250.000,00 euro annui, fino al momento della risoluzione del contratto di cessione, pur in presenza del perdurante mancato pagamento da parte della cessionaria del prezzo pattuito.
Dall'altro, con riferimento alla seconda cessione, non solo anche in questo caso ad essa non ha corrisposto nessun ingresso nelle casse sociali di un effettivo controvalore economico, ma il trasferimento delle passività comprese nella cessione del ramo d'azienda nemmeno ha prodotto un effetto liberatorio nei confronti dei creditori della "RAGIONE_SOCIALE".
Infondati, di conseguenza appaiono i rilievi difensivi volti a contestare la sussistenza degli elementi costitutivi del reato in addebito, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.
Con particolare riferimento a tale ultimo profilo si osserva che l'elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione è integrato dal dolo generico, per il quale è sufficiente che la condotta di colui che pone in essere l'attività distrattiva sia assistita dalla consapevolezza che le operazioni che si compiono sul patrimonio sociale siano idonee a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l'intenzione di causarlo ovvero che l'agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa, (cfr., ex plurimis,
Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, Rv. 260407, Sez. 5, n. 51715 del 05/11/2014, Rv. 261739).
Dolo che, nel caso in esame, correttamente la corte territoriale ha desunto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell'azione criminosa (cfr. Sez. 5, n. 30726 del 09/09/2020, Rv. 279908; Sez. 6, 6.4.2011, n. 16465, Rv. 250007), evidenziando la piena consapevolezza da parte dell'imputato di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte, giungendo addirittura a costituire un'apposita società per rendere possibile la seconda cessione del ramo d'azienda nel momento stesso in cui si perfezionava il trasferimento e dello stato di crisi economica in cui versava la società al momento delle due operazioni distrattive, avendo il curatore fallimentare riferito di perdite di esercizio apprezzabili già nel corso del 2007, quando, pur a fronte dell'aumento di valore della produzione, si realizzava una perdita di ben 2.068.256,00 euro (cfr. p. 9 della sentenza del giudice di appello e p. 3 della sentenza del giudice di primo grado, che vanno lette congiuntamente, costituendo un prodotto unitario, stante l'omogeneità del percorso motivazionale seguito in entrambe).
Infondati appaiono anche i rilievi volti a far valere la sussistenza, nel caso in esame, di un'ipotesi di bancarotta "riparata", figura di creazione giurisprudenziale, di cui appare opportuno delineare le principali caratteristiche.
La bancarotta "riparata" si configura, determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato, quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione (cfr., ex plurimis, Sez. 5, n. 4790 del 20/10/2015, Rv. 266025).
Si è, inoltre, opportunamente precisato che, ai fini della configurabilità della bancarotta "riparata", non è necessaria la restituzione dei singoli beni sottratti, ma occorre che i versamenti nelle casse sociali, compiuti
prima del fallimento onde reintegrare il patrimonio precedentemente pregiudicato, corrispondano esattamente agli atti distrattivi in precedenza perpetrati (cfr. Sez. 5, n. 14932 del 28/02/2023, Rv. 284383).
Ne consegue che è onere dell'amministratore, sul quale grava una posizione di garanzia rispetto al patrimonio sociale, ovvero del soggetto che si sia reso responsabile di atti di distrazione o di dissipazione, provare l'esatta corrispondenza tra i versamenti compiuti prima della dichiarazione di fallimento e gli atti distrattivi precedentemente perpetrati (cfr. Sez. 5, n. 57759 del 24/11/2017, Rv. 271922).
Tale onere non è stato adempiuto dal ricorrente, che non ha dimostrato l'ingresso nelle casse sociali, prima della dichiarazione di fallimento, del prezzo della cessione, né di quanto corrisposto dalla fallita a titolo di royalties.
Nel resto i motivi di ricorso appaiono del tutto inammissibili, essendo precluso in questa sede di legittimità il percorso argomentativo seguito dal ricorrente, che si risolve in una mera e del tutto generica lettura alternativa o rivalutazione del compendio probatorio, posto che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, n. 10289; Cass., Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Rv. 273217; Cass., Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Rv. 253099; Cass., Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, Rv. 277758).
6. Al rigetto del ricorso, segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell'art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 22.1.2024.