Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25635 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25635 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 21/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a MILANO il 06/11/1965
avverso la sentenza dei 21/06/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
COGNOME il Sostituto Procuratore generale COGNOME– COGNOME ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 21 giugno 2024 dalla Corte di appello di Brescia, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Bergamo che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME Marco per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e di bancarotta impropria da
operazioni dolose, in relazione alla società RAGIONE_SOCIALE, fallita il 9 novembre 2017.
Secondo l’impostazione accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, l’imputato – amministratore della società – avrebbe tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società.
Avrebbe, inoltre, per effetto di operazioni dolose, cagionato il fallimento della società, mediante il sistematico inadempimento degli obblighi tributari e previdenziali, determinando un debito verso l’erario pari ad euro 1.935.466,97.
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 217 legge fall.
Rappresenta che: la situazione di dissesto si era manifestata già a partire dal 2008; il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributari e previdenziali era iniziato nel 2009; il capitale sociale si era totalmente azzerato nel 2014; la documentazione contabile era stata regolarmente tenuta fino all’anno 2014.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che tali circostanze sarebbero poco compatibili con la qualificazione del fatto in termini di bancarotta fraudolenta documentale, atteso che l’imputato, se avesse voluto effettivamente rendere incomprensibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, avrebbe provveduto alla distruzione della documentazione fino dal 2008, momento in cui erano iniziate le difficoltà finanziarie della società.
La finalità di recare pregiudizio ai creditori, d’altronde, sarebbe poco compatibile anche con la circostanza che l’imputato, al fine di consentire la prosecuzione dell’attività la società, avrebbe immesso nelle casse sociali proprie risorse personali.
Le circostanze evidenziate avrebbero dovuto indurre i giudici di merito a riqualificare il fatto in bancarotta documentale semplice, per non avere provveduto a tenere le scritture contabili, nei tre anni precedenti alla dichiarazione del fallimento.
2.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 217, 223 e 224 legge fall.
Sostiene che la Corte di appello non avrebbe dimostrato l’efficacia causale del mancato versamento delle imposte rispetto alla determinazione del dissesto della società, che, in realtà, sarebbe stato determinato dalla drastica riduzione dei ricavi. La natura dolosa delle operazioni contestate, peraltro, sarebbe poco
compatibile anche con la circostanza che l’imputato avrebbe immesso nella società proprie risorse personali.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è infondato.
La tesi del ricorrente trova precisa smentita nella sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello ha correttamente ritenuto configurata la bancarotta fraudolenta documentale, ritenendo infondata la richiesta dell’appellante di riqualificazione del fatto in bancarotta semplice. Il giudice di secondo grado, in particolare, ha posto in rilievo che le lacune nella tenuta della documentazione erano iniziate a partire proprio dall’anno (il 2014) in cui si era verificato il tota azzeramento del capitale sociale, al quale era seguita la deliberata protrazione dell’attività della società, con accumulo di ulteriori ingenti perdite. Risultava, pertanto, evidente che la sottrazione della documentazione a partire proprio da quell’anno fosse stata «finalizzata, da un lato, a nascondere ai creditori e ai terzi l’ingravescente stato di decozione della RAGIONE_SOCIALE, onde rendere possibile, pur con generazione di gravi ulteriori perdite, la protrazione dell’attività commerciale della società e, dall’altro, a nascondere o comunque rendere opaca e non ricostruibile e pertanto non sindacabile l’attività di gestione del COGNOME proprio nel periodo antecedente al fallimento della società».
Il fatto che l’imputato non si fosse meramente disinteressato della contabilità della società, ma avesse invece operato in maniera «opaca» e poco lineare, nascondendo l’effettiva situazione finanziaria della società, era confermato da una circostanza significativa: «successivamente alla dichiarazione di fallimento e addirittura dopo il deposito dello stato passivo esecutivo, aveva luogo un’assemblea dei soci della fallita, in cui, sul presupposto di documentazione contabile asseritamente rinvenuta, ma mai sottoposta né prima né successivamente alla curatela e di non precisata consistenza, venivano approvati i bilanci relativi agli anni 2015 e 2016 e ciò a fallimento già dichiarato».
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Quanto all’elemento oggettivo del reato, invero, la Corte di appello ha rilevato che la sistematica omissione dell’adempimento degli obblighi tributari e previdenziali aveva avuto un’incidenza determinante nella causazione del dissesto
della società, atteso che tale consapevole scelta aveva determinato una rovinosa ricaduta dell’esposizione debitoria della società verso l’erario, fino ad arrivare a quasi due milioni di euro, pari ai due terzi del complessivo passivo fallimentare.
Va, peraltro, rilevato che l’eventuale concorso nella causazione del fallimento anche della circostanza della contrazione dei ricavi, in ogni caso, non escluderebbe il nesso di causalità, atteso che, «in tema di fallimento determinato da operazioni dolose, non interrompono il nesso di causalità tra l’operazione dolosa e l’evento fallimentare né la preesistenza alla condotta di una causa in sé efficiente verso il dissesto, valendo la disciplina del concorso causale di cui all’art. 41 cod. pen., né il fatto che l’operazione dolosa in questione abbia cagionato anche solo l’aggravamento di un dissesto già in atto» (Sez. 5, n. 8413 del 16/10/2013, COGNOME, Rv. 259051; Sez. 5, n. 40998 del 20/05/2014, COGNOME, Rv. 262189; Sez. 5, n. 16407 del 12/02/2025, COGNOME, n.m.).
Quanto all’elemento soggettivo, la Corte territoriale ha rilevato che l’omissione dell’adempimento degli obblighi tributari e previdenziali, essendo stata sistematica e perdurante, era chiaramente frutto di una scelta cosciente e volontaria dell’imputato, finalizzata a protrarre l’attività della società nonostante l’accumulo di ulteriori ingenti perdite; scelta che rendeva prevedibile il dissesto come inevitabile conseguenza di tale condotta.
Va rilevato che si tratta di una motivazione perfettamente in linea con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, «ai fini della configurabilità della bancarotta impropria da operazioni dolose, non deve risultare dimostrato il dolo specifico diretto alla causazione del fallimento, ma solo il dolo generico, ossia la coscienza e volontà delle singole operazioni e la prevedibilità del dissesto come conseguenza della condotta antidoverosa» (Sez. 5, n. 16111 del 08/02/2024, COGNOME, Rv. 286349; Sez. 5, n. 38728 del 3/4/2014, COGNOME, Rv. 262207; Sez. 5, n. 17690 del 18/02/2010, Cassa di risparmio di Rieti S.p.a., Rv. 247315).
Va, infine, posto in rilievo che l’asserita circostanza che l’imputato avesse immesso nella società non meglio precisate risorse personali, da un lato, sì presenta del tutto generica, non essendo stata chiarita l’entità delle risorse immesse e la loro incidenza rispetto alla complessiva situazione economica della società, e, dall’altro, non assume rilevanza determinante, atteso che essa non è incompatibile con la scelta dell’imputato di protrarre l’attività della RAGIONE_SOCIALE, nonostante l’accumulo di ulteriori ingenti perdite e il conseguente dissesto.
Al rigetto del ricorso, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 21 marzo 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente