Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3020 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3020 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALO DEL COLLE il 10/07/1960
avverso la sentenza del 03/06/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso limitatamente al trattamento sanzionatorio e per l’inammissibilità nel resto;
lette le note di replica con le quali il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino confermava la pronuncia di condanna di primo grado del ricorrente NOME COGNOME per i delitti di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, limitandosi a ridurre il trattamento sanzionatorio.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME mediante il difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME articolando sei motivi di impugnazione, di seguito ripercorsi entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo l’imputato deduce, in relazione al capo a) della rubrica, erronea applicazione degli artt. 216, comma 1, n. 1, 223, comma 1, I. fall. con riferimento alla sussistenza degli elementi oggettivi del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione.
Premesso di essere stato condannato per avere distratto, nella veste di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE beni di proprietà della fallita cedendoli alla società RAGIONE_SOCIALE della quale era parimenti amministratore per il prezzo mai versato di euro 65.000,00, assume che la condotta non può considerarsi distrattiva poiché egli non ha distolto dal patrimonio sociale i macchinari oggetto della vendita né li ha alienati ad un corrispettivo inferiore al valore.
Non potrebbe, in sostanza, prospettarsi una condotta distrattiva nell’alienazione, ad un prezzo congruo, di un bene cui non sia poi seguito il versamento del prezzo.
E, del resto, la sua condotta non avrebbe pregiudicato i creditori, a fronte della transazione intervenuta tra la Curatela e la società cessionaria.
2.2. Con il secondo motivo assume vizio di carenza e illogicità della motivazione avendo la Corte territoriale fondato la sua condanna sulle dichiarazioni del Curatore, a propria volta basate su quelle che aveva reso allo stesso in un momento nel quale era privo della necessaria lucidità stante l’intervenuto fallimento della sua azienda. Né i giudici di merito avrebbero ponderato l’attendibilità delle dichiarazioni rese da altri soggetti al medesimo Curatore.
Al contrario non sarebbe stata oggetto della dovuta considerazione la situazione, emergente dalle scritture contabili della società fallita, e ritraibil
2 GLYPH
dalla consulenza tecnica di parte, per la quale era la società cessionaria, piuttosto, ad essere creditrice della società cedente.
Deduce, infine, che non sussisterebbe l’elemento soggettivo del delitto ascritto per avere egli immesso, attraverso la IVIT, in modo diretto o indiretto, ingenti somme nelle casse sociali, superiori al valore dei beni asseritamente sottratti.
2.3. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 216, comma 1, n. 2, e 223, comma 1, I. fall. e vizio di motivazione quanto alla sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di bancarotta fraudolenta documentale.
A fondamento della doglianza lamenta che essa non sarebbe configurabile per la mera situazione di “confusione contabile” della società fallita e che, sul piano dell’elemento soggettivo, la sussistenza del dolo non avrebbe potuto essere presuntivamente argomentata sulla scorta di un supposto svuotamento delle casse sociali che neppure era stato oggetto di contestazione.
2.4. Mediante il quarto motivo, proposto in via subordinata, deduce vizio di motivazione in ordine alla mancata derubricazione del delitto di cui al capo a) nelle ipotesi delittuose di cui agli artt. 217, comma 1, e 224 I. fall. poiché la cessione dei macchinari sarebbe avvenuta nel tentativo di tenere in vita l’azienda e, quindi, sarebbe al più qualificabile in termini di operazione manifestamente imprudente.
2.5. Sempre in subordine, il ricorrente denuncia vizio di motivazione per mancata derubricazione del delitto di bancarotta fraudolenta documentale in bancarotta semplice, in quanto il dedotto disordine contabile sarebbe dipeso solo dalla sua distrazione.
2.6. In via ulteriormente gradata l’imputato lamenta carenza e manifesta illogicità della motivazione della pronuncia impugnata poiché le circostanze attenuanti generiche negate erano invece state concesse (sebbene non nella massima estensione) già dalla sentenza di primo grado e non era stato proposto appello dal Pubblico Ministero.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo del ricorso è inammissibile.
1.1. Innanzi tutto, la difesa dell’imputato, laddove assume che la vendita dei macchinari ad un prezzo congruo non configura una forma di bancarotta fraudolenta per distrazione se non segue il pagamento del prezzo non si confronta con la motivazione della decisione impugnata (e con quella di primo grado che, in quanto conforme, integra la stessa) la quale ha valorizzato, a tal fine, la circostanza decisiva che il COGNOME era all’epoca amministratore anche della società cessionaria.
Ne segue la genericità della censura (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822 – 01).
1.2. Sotto un secondo aspetto, il motivo è manifestamente infondato laddove pretende di valorizzare, ai fini dell’esclusione del delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, la transazione intervenuta tra la Curatela e la società cessionaria.
Questo sia in quanto l’accordo è avvenuto tra soggetti differenti rispetto all’imputato sia perché, anche a voler valorizzare la carica rivestita dal COGNOME nella società cessionaria, una riparazione del danno, ove integrale ed effettiva consente di invocare la circostanza attenuante di cui all’art. 62, comma primo, n. 6, cod. pen., che è stata invero riconosciuta a favore del ricorrente, e non già di escludere il fatto di reato (arg., ex ceteris, Sez. 5, n. 116 del 08/10/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 282424 – 01; Sez. 5, n. 44100 del 24/09/2019, Fukuta, Rv. 278315 – 01).
Il secondo motivo di ricorso non è fondato per le ragioni di seguito indicate.
In primo luogo, va osservato, a riguardo, che i giudici di merito, nel basare il proprio convincimento sulle dichiarazioni rese dal Curatore, hanno fatto corretta applicazione del consolidato principio in virtù del quale le dichiarazioni rese dal fallito al curatore non sono soggette alla disciplina di cui all’art. 63, comma 2, cod. proc. pen., che prevede l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria, in quanto il Curatore non rientra nell’ambito di tali categorie di soggetti e la sua attività non è riconducibile alla previsione di cui all’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. che concerne le attività ispettive e d vigilanza (ex multis, Sez. 5, n. 12338 del 30/11/2017, dep. 2018, Castelletto, Rv. 272664 – 01; Sez. 5, n. 46422 del 25/09/2013, Besana, Rv. 257584 – 01).
Inoltre la decisione impugnata ha chiarito, con motivazione adeguata, per quali ragioni non è stata considerata attendibile la differente versione dei fatti prospettata dal COGNOME solo in dibattimento ponendo in rilievo che: gli importi
erano stati versati in un periodo antecedente da otto a due mesi rispetto all’emissione della fattura; sulla fattura si faceva riferimento a “finanziamenti”; gli importi non erano corrispondenti a quelli concordati per la cessione dei macchinari; alcuni bonifici non erano stati effettuati in favore della società fallita bensì di un dipendente della stessa, tale COGNOME
Per altro verso, come ha pure congruamente osservato la Corte territoriale, l’assunta assenza di dolo per la circostanza che la società cessionaria avrebbe corrisposto alla fallita importi molto superiori rispetto al valore dei macchinari in contanti o mediante pagamento dei creditori si scontra con le decisive circostanze che tali somme, oltre a non risultare dalla contabilità, non sono state rinvenute nelle casse sociali.
Il terzo, il quarto e il quinto motivo, suscettibili di valutazione unitari sono inammissibili, ancora una volta, perché rifuggono un confronto con le articolate argomentazioni poste a fondamento della decisione impugnata.
Come ha evidenziato tale pronuncia, infatti, il dottor COGNOME, commercialista della società fallita, aveva riferito in maniera puntuale, in una missiva inviata alla Curatrice, sulla documentazione contabile mancante, specificando che non vi erano il libro giornale, i partitari e i mastrini. Inoltre aveva precisato che era presente nella contabilità solo un brogliaccio del libro IVA 2013 e che non era stata effettuata, a causa dell’assenza del libro cespiti, la registrazione della fattura n. 31 di cessione dei macchinari (ossia quelli oggetto della bancarotta fraudolenta distrattiva).
Una parte di tale documentazione, la cui esistenza era stata esclusa dal commercialista, è “ricomparsa”, dopo oltre sette anni, in dibattimento, prodotta dal ricorrente insieme a documentazione afferente la contabilità reciproca tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, delle quali l’imputato era stato all’epoca dei fatti amministratore.
L’anomalia di tale situazione anche sul piano dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta documentale è stata coerentemente rappresentata dalla Corte territoriale, sottolineando che, ove tale documentazione si ritenesse genuina, vi sarebbe stato un occultamento della stessa da parte del COGNOME volto ad evitare che potesse essere ricostruita l’operazione distrattiva, mentre qualora non fosse autentica, sarebbe stata integrata una falsificazione.
D’altra parte, alla stregua di quanto ulteriormente sottolineato dalla decisione impugnata, la contabilità prodotta è comunque insufficiente per pervenire a una corretta ricostruzione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società, specie nei rapporti con la IVIT, ai fini della
5 GLYPH
comprensione degli apporti in denaro effettivamente confluiti dalla stessa nella RAGIONE_SOCIALE Il che consente di illuminare le dimenticanze e le distrazioni dell’imputato, amministratore delle due società, nella prospettiva della bancarotta documentale fraudolenta e non già di quella semplice.
L’ultimo motivo è invece fondato considerato che, effettivamente, nel giudizio di primo grado erano state concesse le circostanze attenuanti generiche negate in sede di gravarne, pur in assenza di appello del Pubblico Ministero. Non è necessario annullare la sentenza con rinvio per nuovo esame sul punto (Sez. U, Sentenza n. 3464 del 30/11/2017 -dep. 24/01/2018- Rv. 271831 – 01), sicché la pena principale deve essere rideterminata in anni uno e mesi quattro di reclusione e quelle accessorie fallimentari in pari misura.
In definitiva la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al trattamento sanzionatorio, rideterminando la pena principale in anni uno e mesi quattro di reclusione e quelle accessorie fallimentari in pari misura. Il ricorso deve essere rigettato nella restante parte.
P.Q.M.
Annulla sentenza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e ridetermina la pena principale in anni uno e mesi quattro di reclusione e quelle accessorie fallimentari in pari misura. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso in Roma il 17 dicembre 2024 Il Consigliere Estensore COGNOME