Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 27697 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 27697 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a NAPOLI il 12/08/1985
DI NOME COGNOME nato a POZZUOLI il 22/10/1960
DI COGNOME nato a POZZUOLI il 06/06/1971
avverso la sentenza del 12/12/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME il quale ha visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME chiesto dichiararsi i ricorsi inammissibili
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 12 dicembre 2024, la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, che ha ritenuto NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili dei delitti di bancarotta patrimoniale fraudolenta e bancarotta documentale cd. specifica, condannandoli alla pena ritenuta di giustizia e concedendo alla sola NOME COGNOME il beneficio della sospensione della pena. Secondo i giudici di merito, NOME COGNOME, quale amministratore di fatto della NOME RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza dell’il aprile 2014, NOME COGNOME quale amministratrice di diritto dal 24 febbraio 2009 fino all’8 febbraio 2013 e, in seguito, amministratrice di fatto, COGNOME quale amministratore di diritto dall’8 febbraio 2013 fino al fallimento, sottraevano immobilizzazioni, rimanenze, crediti e disponibilità liquide della fallita, risultanti dall’ultimo bilancio presentato (2010), nonché l’intero compendio immobiliare mediante trasferimento dello stesso in favore della RAGIONE_SOCIALE costituita in data 7 gennaio 2011, di cui era socio RAGIONE_SOCIALE senza alcun corrispettivo effettivamente versato.
2. Avverso la sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del proprio difensore, con atto unico, affidando le proprie censure ad un solo motivo, di seguito enunciato nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si lamenta vizio di motivazione, per avere la Corte d’appello posto a base del giudizio di condanna l’illogica valorizzazione del vincolo familiare tra i coimputati. In particolare, è stato illogicamente ritenuto sussistente il reato di bancarotta distrattiva, in mancanza, peraltro, di ogni considerazione per il diverso apporto fattuale, in capo a ciascuno dei coimputati, rispetto alle condotte contestate.
Del tutto omessa la valutazione, da parte della Corte distrettuale, delle osservazioni difensive relative al fatto che, nel bilancio del 2010, la fallita risultava gravata da debiti per 3 milioni di euro, mentre, nel 2014, il passivo fallimentare ammontava soltanto a euro 396.368, ciò che dimostrerebbe, secondo la difesa, che l’attivo societario, lungi dall’esser stato distratto, era stato utilizzato per pagare i fornitori della fallita, oltre che le imposte dovute agli enti locali. A tal proposito, si contesta la mancata considerazione delle fonti di prova costituite dalle dichiarazioni del curatore e del teste COGNOME
Tautologiche, inoltre, risultano essere le affermazioni della Corte in merito all’assenza di vantaggio economico per la fallita derivante dall’affitto del ramo d’azienda e, poi, della cessione delle quote. Neppure si è considerato, in motivazione, come la Francia mai abbia svolto ruoli effettivi tanto nella vicenda
dell’affitto del ramo d’azienda quanto nella successiva operazione di cessione di quote. Al momento della stipula del contratto di cessione, 5 maggio 2013, amministratore di diritto della fallita era infatti il COGNOME. Inoltre, la fall riceveva il corrispettivo, versato nel capitale sociale, della cessione del ramo d’azienda alla RAGIONE_SOCIALE rimanendo quindi proprietaria dei cespiti aziendali: la fallita incassava il valore così come stabilito nel contratto di cessione del ramo aziendale.
In seguito, per ragioni legate alla necessità di soddisfare i creditori della fallita, venivano venduti immobili della società (previa regolare perizia che ne indicava il valore) alle signore COGNOME e COGNOME; i ricavi di tale vendita aumentavano ulteriormente il capitale sociale della fallita. Sicché, in definitiva, le operazioni predette (cessione di ramo d’azienda e successiva cessione dei compendi immobiliari e di quote), illogicamente ritenute distrattive dai giudici del merito, si traducevano in un’operazione, del tutto lecita, volta a ridurre enormemente i debiti societari. La decisione impugnata ha operato malgoverno dei principi elaborati da questa Corte in tema di bancarotta distrattiva, dal momento che non erano sussistenti né l’elemento oggettivo né quello soggettivo dell’ascritto delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Ulteriore vizio motivazionale inficia la sentenza gravata, là dove, nel confermare la condanna per il delitto di bancarotta documentale fraudolenta, non si è considerato che, a partire dal 2010, la società non era più operativa.
È pervenuta requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi i ricorsi inammissibili.
Considerato in diritto
L’articolato motivo oggetto dei ricorsi è infondato, per le ragioni di seguito illustrate.
Talune delle censure articolate nel motivo lambiscono l’inammissibilità per assertività e genericità delle deduzioni: il riferimento è, in particolare, ai principali assunti difensivi secondo cui 1) l’attivo societario sarebbe stato utilizzato per pagare i creditori; 2) le operazioni di cessione di ramo d’azienda e successiva cessione dei compendi immobiliari sarebbero state oggetto di illogica valutazione da parte della Corte distrettuale.
In relazione al primo profilo, la Corte d’appello ha rimarcato l’assenza di evidenze documentali idonee a dimostrare l’effettiva destinazione del complessivo patrimonio aziendale; più precisamente, in relazione alla destinazione dell’attivo risultante dal bilancio del 2010, la Corte d’appello, valorizzando adeguatamente
quanto riferito dalla curatela, ha ritenuto accertato che la maggior parte dei debiti (per un ammontare di euro 301.000) costituenti il passivo societario fosse costituito di debiti verso i fornitori accumulati tra il 2005 e 2012. E, quanto alle asserite spese effettuate nei quattro anni intercorrenti tra il 2010 e il fallimento, esse sono risultate prive di documentazione.
Sicché, con motivazione logica e con precipui e conferenti riferimenti ai principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta distrattiva, è stata adeguatamente disarticolata la tesi difensiva, secondo cui l’attivo societario, lungi dall’esser stato distratto, era stato utilizzato per pagare i fornitori della fallita, oltre che le imposte dovute agli enti locali, come dimostrato -in tesi difensiva- dal fatto che, nel bilancio del 2010, la fallita risultava gravata da debiti per 3 milioni di euro, mentre, nel 2014, il passivo fallimentare ammontava soltanto a euro 396.368.
Tale assunto difensivo è stato già disatteso con le decisioni di primo e secondo grado, motivate con criteri omogenei e con un apparato logico uniforme (tra le altre, v. Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278611; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595); rispetto alla struttura argomentativa della decisione impugnata, la difesa reitera, in questa sede, la propria ricostruzione in maniera meramente contestativa, senza che la stessa risulti corredata da deduzioni decisive. Da tale punto di vista, il motivo è inammissibile, essendo lo stesso fondato su doglianze che, risolvendosi nella pedissequa reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalle Corti di merito, omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (cfr. ex plur., Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01).
Quanto al secondo profilo, attinente alla cessione di ramo d’azienda e successiva cessione dei compendi immobiliari della fallita alla RAGIONE_SOCIALE, il Collegio non ravvisa illogicità alcuna nella valutazione, operata dai giudici del merito, delle suddette operazioni quali condotte distrattive. Invero, la motivazione dà adeguatamente conto delle ragioni per cui si è ritenuta “anomala” la complessiva operazione con cui la fallita conferiva il ramo d’azienda, in data 3 maggio 2013, e, con ciò, il compendio immobiliare della stessa alla RAGIONE_SOCIALE per poi cedere le quote della cessionaria RAGIONE_SOCIALE alle signore COGNOME e COGNOME. Innanzitutto, la motivazione ha posto in luce che la cessione di ramo d’azienda avveniva nel maggio del 2013, allorché la società era già inoperante e prossima al fallimento; a tal riguardo, risultano correttamente applicati al caso in esame i principi elaborati da questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01; Sez. 5, n. 16748 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272841 – 01; in precedenza, ex multis, Sez. 5, n. 46508 del 27
novembre 2008, COGNOME e altri, Rv. 242614), secondo cui il contratto di affitto di azienda può connotarsi in modo da integrare una bancarotta per distrazione quando la stipula avvenga al preciso scopo di trasferire la disponibilità dei beni societari ad altro soggetto giuridico in previsione del fallimento.
In secondo luogo, la Corte ha evidenziato che gli effetti cambiari, con scadenza 7 gennaio 2014, che la fallita avrebbe dovuto ricevere quale corrispettivo del conferimento di beni (terreni agricoli e un fabbricato), non sono mai stati rinvenuti dalla curatela (sul punto, v. Sez. 5, n. 36850 del 06/10/2020, COGNOME, Rv. 280106 – 01: «integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo e senza alcun utile, beni ed altre attività, così da impedirne l’apprensione da parte degli organi fallimentari e causare un depauperamento del patrimonio sociale, in pregiudizio dei creditori»). Infine, la Corte territoriale ha rimarcato come l’aumento del capitale sociale della fallita, seguito a detta operazione, venisse effettuato per un valore notevolmente inferiore a quello dei beni; ciò che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, può costituire condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all’area d’operatività dell’art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., (cfr. Sez. 5, n. 44891 del 9 ottobre 2008, P.M. in proc. COGNOME, Rv. 241830).
Sulla base di tale ricostruzione, i giudici del merito hanno correttamente ritenuto i coimputati responsabili per l’ascritto delitto, nelle qualità 1) per quel che concerne NOME COGNOME, di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE nonché socio della RAGIONE_SOCIALE (sulle cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, quale “indice di fraudolenza” in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione, v. Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01); 2) per quel che concerne NOME COGNOME in qualità di amministratrice di diritto (fino al 7 marzo 2013) e di amministratrice di fatto. A tal proposito, diversamente da quanto lamentato dalla ricorrente, i giudici di merito hanno mostrato di tenere presente la cornice di riferimento giurisprudenziale in tema di amministratore di fatto (v., ad es., Sez. 2 n. 36556 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283850; Sez. 5, n. 27264 del 10/07/2020, COGNOME, Rv. 279497 – 01), valorizzando la pregnanza, ai fini dell’attribuzione della qualifica o della funzione, non soltanto della natura familiare della società, ma anche dati ricavati dall’istruttoria dibattimentale, come le fonti testimoniali indicate a p. 6 della gravata sentenza; 3) per quel che ha riguardo a NOME COGNOME in qualità di amministratore di diritto a partire dall’8 marzo 2013. A tal riguardo, la Corte d’appello ha ribadito l’assenza di qualsivoglia prova documentale a sostegno dell’assunto difensivo secondo cui altri (segnatamente,
COGNOME Vincenzo) avrebbero rivestito il ruolo di amministratore di diritto in luogo del COGNOME.
Infondata è, infine, l’eccezione circa l’asserito vizio motivazionale che inficerebbe la decisione impugnata per la condanna per il delitto di bancarotta
documentale fraudolenta. Sul punto, infatti, la difesa elude il confronto con la motivazione, in cui si è correttamente osservato che, tra la denuncia di rapina con
conseguente sparizione della documentazione contabile, occorsa, secondo il narrato dei ricorrenti, nel 2012, e la dichiarazione di fallimento, nel 2014,
trascorrevano ben due anni. La Corte distrettuale ha operato buon governo del principio, alla luce del quale il reato di bancarotta fraudolenta documentale è
integrato dall’omessa tenuta della contabilità anche se relativa alla fase finale della vita dell’impresa (Sez. 5, n. 39808 del 23/09/2022, COGNOME, Rv. 283801 – 01).
Peraltro, in motivazione sono congruamente disattese le doglianze difensive, posto che ricordato che, ancora nel 2012, venivano a maturazione taluni debiti verso
fornitori, ciò che indicava, comunque, un livello, anche se minimo, di operatività
della fallita. Non dispiega, infine, alcuna efficacia difensiva l’osservazione secondo cui il curatore, nel 2013, non richiedeva le scritture contabili all’amministratore, in ragione dell’assorbente considerazione che l’amministratore ha l’obbligo di consegnare le scritture al curatore.
L’infondatezza dei ricorsi ne impone il rigetto. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14/07/2025 Il consigliere estensore COGNOME9> Il presidente