Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 45109 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 45109 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 13/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 05/08/1968
avverso la sentenza del 08/11/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
– che, con l’impugnata sentenza, la Corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna inflitta a COGNOME NOME per il reato di cui agli artt. 223 e 216, comma 1, n. 1 L.F. (fatto commesso in Bagheria il 19 luglio 2013);
che l’atto di impugnativa consta di due motivi;
– che, con memoria in data 21 ottobre 2024, il difensore del ricorrente, meglio lumeggiate le ragioni a sostegno dei formulati motivi, ha chiesto che il ricorso sia assegnato ad altra sezione, affinché l’impugnata sentenza possa essere annullata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
– che il primo motivo, che denuncia vizio di motivazione in punto di affermazione della responsabilità del ricorrente ed eccepisce l’erronea qualificazione giuridica del fatto, è affidato doglianze generiche, in quanto meramente riproduttive di censure già adeguatamente vagliate e correttamente disattese dai giudici di merito (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Rv. 277710; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708), ed unicamente dirette a sollecitare una non consentita rivalutazione e/o alternativa rilettura delle fonti probatorie, al di fuori dell’alleg di specifici, inopinabili e decisivi travisamenti di emergenze processuali (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Rv. 216260 e n. 6402 del 30/04/1997, Rv. 207944), ed in presenza, comunque, di un apparato motivazionale che, nel suo complesso, non si espone a rilievi di illogicità di macroscopica evidenza (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Rv. 214794)(vedasi pagg. 2 – 4 della sentenza impugnata, in cui, dato per acquisito che il COGNOME nella qualità di legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE di Bagheria, dichiarata fallita il 19 luglio 201 aveva venduto, con contratto del 3 aprile 2012, alla sua omonima ditta individuale alcuni lotti di terreno, sui quali era stata rilasciata licenza per la costruzione di n. 40 villette, del valore di 2.500.000,00 oltre IVA e che l’unica somma entrata nelle casse della società poi fallita, a titol di corrispettivo dei lotti compravenduti, era pari a Euro 250.000,00, giacché una parte del prezzo residuo era stata pagata fittiziamente tramite una compensazione del debito con un credito assistito da una causale stimata – con insindacabile giudizio in fatto – non veritiera, e del mancato versamento dell’ulteriore parte restante del prezzo, la Corte territoriale ha escluso la liceità de detta operazione negoziale, avendone desunto la pericolosità in concreto per le ragioni dei creditori sociali e il dolo generico da parte del soggetto agente dalle modalità già di per sospette in cui ebbe luogo la vendita – dalla società alla ditta individuale riferibile al medesi centro d’interesse economico – e da quelle con cui fu pattuito il pagamento del corrispettivo); che lo stesso motivo è comunque manifestamente infondato, perché articolato in spregio alla pacifica giurisprudenza di legittimità, costante nell’affermare che «Ai fini della sussistenza d reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionat il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività. (In motivazione, la Corte ha precisato che i fatti di distrazione, una volta intervenuta dichiarazione di fallimento, assumono rilievo in qualsiasi momento siano stati commessi e, quindi, anche se la condotta si è realizzata quando ancora l’impresa non versava in condizioni di insolvenza)» (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804) e che «L’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, pe la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte» (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
– che il secondo motivo, proteso a censurare l’operata graduazione della pena, nonché il diniego delle circostanze attenuanti generiche, oltre che replicare senza alcun elemento di effettiva novità i rilievi articolati con i motivi di gravame, pur correttamente e congruamen
disattesi dal giudice di appello, prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli a 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in Cassazione miri ad una nuova valutazione della sua congruità ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007 – dep. 11/01/2008, Rv. 238851), come nel caso di specie (vedasi pag. 6 della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale ha affermato che la pena inflitta all’imputato, pur in misura superiore minimo edittale, era comunque ben al di sotto della media, risultando, dunque, ampiamente adeguata al fatto ed alla personalità dell’imputato), e tenuto conto della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui, in tema di attenuanti generiche, la meritevolezza dell’adeguamento della pena, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni del fatto o del soggetto, non può mai essere data per presunta, ma necessita di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificar mitigazione del trattamento sanzionatorio (Sez. 1, n. 46568 del 18/05/2017, Rv. 271315), di modo che, nel caso in cui la richiesta dell’imputato di riconoscimento delle attenuanti generiche non specifichi le circostanze di fatto che fondano l’istanza, l’onere di motivazione del diniego dell’attenuante è soddisfatto con il mero richiamo da parte del giudice alla assenza di elementi positivi che possono giustificare la concessione del beneficio (Sez. 3, n. 54179 del 17/07/2018, Rv. 275440) (vedasi pag. 6 della sentenza impugnata);
– rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13 novembre 2024
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Il Consigliere estensore
Il Presidente