Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4812 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4812  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/09/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da COGNOME NOME, nata in Australia il DATA_NASCITA; COGNOME NOME, nata a Caltagirone il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 5 luglio 2022, della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del letta la memoria depositata il 19 settembre 2023 dall’AVV_NOTAIO,
Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; nell’interesse dei ricorrenti, che ha insistito per l’accoglimento di tutti i motiv ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 5 luglio 2022, la Corte di appello di Catania, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto
NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di legale rappresentante e amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE (dichiarata fallita il 29 2010), dei reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale (per aver distratto i punti
l&
vendita di Caltagirone e Niscemi, cedendoli in affitto ad un canone irrisorio, unitamente rimanenze di magazzino – capo A – e), bancarotta preferenziale (per aver eseguito pagamenti preferenziali in favore dei soci, capo C);
NOME COGNOME responsabile, quale concorrente esterno (istigatrice e deternninatrice), del reato di cui al capo B).
Propongono ricorso per cassazione entrambe le imputate articolando quattro motivi di censura.
Il primo, formulato sotto i profili della violazione di legge e del vizio motivazione, attiene alla contestazione di bancarotta distrattiva e deduce l’assoluta incertezza in ordine ai beni asseritamente sottratti, individuati, s sostiene, alla luce dei soli inventari depositati, senza alcun riscontro concreto quanto alla merce effettivamente esistente.
Il secondo, anch’esso formulato sotto i profili della violazione di legge e del vizio di motivazione, censura l’omesso accertamento dell’elemento soggettivo e del nesso eziologico tra condotta e fallimento e deduce che un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 216 I. fall. imporrebbe di valutare la dichiarazione di fallimento, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, non come condizione obbiettiva di punibilità, ma come elemento costitutivo del reato e, quindi, in applicazione dei principi di imputabilità oggettiv e soggettiva, legato eziologicannente alla condotta e frutto di una consapevole previsione e volizione da parte dell’agente.
Il terzo attiene, invece, alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 219 I fall. e deduce che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad una laconica affermazione di conformità alla previsione normativa, omettendo di valutare il concreto pregiudizio subito dai creditori in conseguenza delle condotte contestate.
Il quarto, in ultimo, attiene alla determinazione della sanzione accessoria fallimentare, indicata assertivamente nella misura di dieci anni, in violazione dei principi stabiliti dalle Sezioni unite con la nota sentenza n. 28910 del 2019.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è inammissibile.
Le condotte distrattive attengono alla ritenuta dissipa2:ione di due punti vendita (Niscemi e Caltagirone) e delle relative merci di magazzino, realizzata attraverso la stipula di un contratto di affitto, con altra società riconducibile a stesse coimputate, al canone irrisorio di 1.200 euro al mese e senza una preventiva ed effettiva individuazione delle merci stesse.
Ebbene, le ricorrenti non contestano che le merci di magazzino siano state oggetto del contratto di affitto (o, in ipotesi difensiva, di un contratto estimatori
circostanza irrilevante a fronte dell’omesso recupero delle merci), ma solo che non si è proceduto alla loro esatta determinazione, fondandosi la contestazione sul mero dato contabile. E non solo non viene dedotto alcun profilo d’inattendibilità delle scritture contabili utilizzate, ma non si offre, neanche in questa sede, alcuna differente valutazione o determinazione. E tanto rende il motivo generico e, quindi, inammissibile.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
È indiscusso in giurisprudenza che il fallimento, anche a volerlo considerare elemento costitutivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (tanto più ove lo si consideri condizione obbiettiva di punibilità), non ne rappresenta l’evento, sicché diventa arbitrario pretendere un nesso eziologico tra la condotta, realizzatasi con l’attuazione di un atto dispositivo che incide sulla consistenza patrimoniale di un’impresa commerciale, e lo stesso fallimento (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942). D’altronde, l’art. 216 I. fall. (così come l’art. 223, comma 1, che lo richiama) fa riferimento “all’imprenditore che ha distratto” e non “all’imprenditore che cagiona l’insolvenza”, rendendo così evidente l’assoluta irrilevanza – rispetto all’insolvenza o al fallimento – di ogni profilo causale della condotta distrattiva sanzionata; una condotta che assume rilevanza nella sua autonoma valenza palximoniale negativa, a prescindere dall’eventuale legame causale con l’insolvenza o il dissesto, solo perché intrinsecamente depauperativa del patrimonio aziendale e, quindi, lesiva della garanzia dei creditori.
E tanto dà conto, sotto il profilo soggettivo, dell’irrilevanza di un’eventuale volontà di cagionare il fallimento o di recare pregiudizio ai creditori e, con essa, della coerenza con i principi costituzionali di personalità della responsabilità penale e di colpevolezza, dell’art. 216 comma 1 n.1 delle legge fallimentare.
Anche il terzo motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale, seppur non esplicitamente (ma la giustificazione di ciascun punto della decisione può essere desunta anche dall’intero contesto del discorso argonnentativo: Sez. 5, n. 24241 del 11/05/2004, n. 228107), ha dato atto di tutti gli elementi dai quali desumere l’effettiva entità del danno: da un cant l’irrisorietà del prezzo d’affitto (stabilito in 1200 euro) e, dall’altro, il pa valore del depauperamento patrimoniale, quantificabile in oltre 600.000; valore che, in assenza di contrarie deduzioni, rappresenta all’evidenza un grave pregiudizio per gli interessi creditori.
Ad identiche conclusioni deve giungersi anche con riferimento al quarto motivo. Va premesso che, ai fini della determinazione della durata delle pene accessorie fallimentari, per la spiccata finalità specialpreventiva delle stesse, assumono significativo rilievo, oltre alla gravità della condotta, anche tutti gl elementi fattuali indicativi della capacità a delinquere dell’agente (Sez. 5, n. 12052 del 19/01/2021, Rv. 280898). Nella concreta determinazione di queste, tuttavia, in applicazione dei generali principi che assistono la motivazione, ove la durata sia determinata in misura superiore alla media edittale, è necessaria una specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi e oggettivi di cui all’art. cod. pen., tenendo conto della funzione rieducativa, retributiva e preventiva della pena, ancor più ove sussista divaricazione nei trattamento sanzionatorio complessivo tra pena principale, irrogata nel minimo, e pene accessorie fissate nel massimo (Sez. 5, n. 1947 del 03/11/2020, dep. 2021, Rv. 280668). Ciononostante, ove il giudice del merito, avvalendosi del proprio potere discrezionale, determini, in base ai criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., co specifica e adeguata motivazione, le pene accessorie fallimentari nella misura massima prevista dalla legge, senza rapportarle automaticamente alla durata della pena principale, il relativo provvedimento non è sindacabile in sede di legittimità (Sez. 5, n. 7034 del 24/01/2020, Rv. 278856)
Ebbene, la Corte territoriale ha ampiamente motivato in ordine al trattamento sanzionatorio e, nello specifico, quanto alla determinazione delle pene accessorie fallimentari, evidenziando, in particolare, la particolare offensività dei mezz utilizzati (la cessione in affitto del ramo di azienda alla figlia, anche lei imput nello stesso procedimento) e il rilevante danno provocato ai creditori. La motivazione non è manifestamente logica o contraddittoria e, per quanto osservato, non è sindacabile in sede di legittimità.
In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e le ricorrenti condannate, in solido, al pagamento delle spese processuali e, ciascuno, al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29 settembre 2023
Il C  GLYPH lier estensore
[l Presidente