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Bancarotta fraudolenta: la distrazione di beni è reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4812/2024, ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta patrimoniale a carico di un’amministratrice. La Corte ha ribadito che la distrazione dei beni aziendali costituisce reato indipendentemente dalla prova di un nesso causale diretto con il successivo fallimento, essendo sufficiente l’atto di depauperamento del patrimonio a danno dei creditori.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: La Distrazione di Beni è Reato a Prescindere dal Nesso Causale con il Fallimento

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4812 del 2024, si è pronunciata su un caso di bancarotta fraudolenta patrimoniale, offrendo importanti chiarimenti sulla natura del reato e sui suoi elementi costitutivi. La decisione conferma un orientamento consolidato, ribadendo che la condotta distrattiva è penalmente rilevante di per sé, in quanto lede la garanzia patrimoniale dei creditori, senza che sia necessario dimostrare un legame di causa-effetto tra l’atto di depauperamento e la successiva dichiarazione di fallimento.

I Fatti del Caso

La vicenda riguarda l’amministratrice unica di una società a responsabilità limitata, successivamente dichiarata fallita. L’imputata è stata ritenuta responsabile, in concorso con un’altra persona, di aver commesso atti di bancarotta fraudolenta patrimoniale e preferenziale. In particolare, le è stato contestato di aver distratto beni aziendali significativi, tra cui due punti vendita e le relative rimanenze di magazzino. La distrazione sarebbe avvenuta attraverso la stipula di un contratto di affitto di ramo d’azienda con un’altra società, riconducibile alle stesse imputate, a un canone palesemente irrisorio e sproporzionato rispetto al valore dei beni.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna di primo grado, spingendo le imputate a ricorrere per Cassazione sulla base di quattro motivi di censura.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Le ricorrenti hanno articolato la loro difesa su diversi punti:

1. Incertezza sui beni distratti: Sostenevano una presunta incertezza sui beni sottratti, affermando che l’accusa si basasse unicamente sui dati contabili, senza un riscontro concreto sulla loro effettiva esistenza.
2. Mancanza del nesso causale: Contestavano l’omesso accertamento del nesso eziologico tra la loro condotta e il fallimento. Secondo la loro tesi, il fallimento dovrebbe essere considerato un elemento costitutivo del reato, e non una mera condizione oggettiva di punibilità, richiedendo quindi la prova che l’imprenditore abbia agito con la consapevolezza e la volontà di causare il dissesto.
3. Insussistenza dell’aggravante: Deducevano la mancanza dei presupposti per l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, ritenendo che la Corte territoriale non avesse adeguatamente valutato il pregiudizio concreto subito dai creditori.
4. Errata determinazione delle pene accessorie: Infine, criticavano la determinazione della sanzione accessoria fallimentare (fissata in dieci anni), giudicata eccessiva e immotivata.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo tutti i motivi perché infondati o generici.

Sulla configurabilità della bancarotta fraudolenta patrimoniale

In risposta al secondo motivo, il più rilevante dal punto di vista giuridico, la Corte ha ribadito un principio cardine della giurisprudenza in materia. Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale si perfeziona con la realizzazione della condotta distrattiva che incide negativamente sulla consistenza del patrimonio dell’impresa. Il fallimento non è l’evento del reato, ma una condizione obiettiva di punibilità. Pertanto, è del tutto arbitrario pretendere la prova di un nesso eziologico tra la condotta e il dissesto. La norma, infatti, punisce ‘l’imprenditore che ha distratto’ e non ‘l’imprenditore che cagiona l’insolvenza’. La condotta è sanzionata per la sua autonoma valenza patrimoniale negativa, in quanto intrinsecamente lesiva della garanzia dei creditori, a prescindere dal suo legame causale con l’insolvenza.

Analisi degli altri motivi

Primo motivo (incertezza dei beni): Giudicato generico e inammissibile. Le ricorrenti non hanno contestato la stipula del contratto di affitto a canone irrisorio né l’omesso recupero delle merci, ma si sono limitate a criticare la valutazione basata sulle scritture contabili senza offrire una determinazione alternativa.
Terzo motivo (aggravante): Ritenuto manifestamente infondato. La Corte territoriale aveva adeguatamente motivato la sussistenza del grave pregiudizio per i creditori, evidenziando la palese sproporzione tra il canone di affitto irrisorio (1.200 euro) e il valore del depauperamento patrimoniale, quantificato in oltre 600.000 euro.
Quarto motivo (pene accessorie): Anch’esso manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato che la durata delle pene accessorie può essere determinata discrezionalmente dal giudice, anche nella misura massima, sulla base della gravità della condotta. In questo caso, la motivazione era ampia e fondata sulla particolare offensività dei mezzi utilizzati (la cessione del ramo d’azienda a una società riconducibile alla figlia, anch’essa imputata) e sull’ingente danno provocato.

Conclusioni

La sentenza in esame consolida un’interpretazione rigorosa del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. La decisione chiarisce che il disvalore penale risiede nell’atto stesso di diminuzione del patrimonio sociale in danno dei creditori. L’imprenditore che compie atti di distrazione o dissipazione non può difendersi sostenendo che tali atti non siano stati la causa diretta del fallimento. La tutela della par condicio creditorum è l’obiettivo primario della norma, e qualsiasi comportamento che la metta a rischio è sanzionato, purché si verifichi la successiva dichiarazione di fallimento. Questa pronuncia serve da monito per gli amministratori, richiamandoli a una gestione corretta e trasparente del patrimonio sociale, specialmente in momenti di crisi aziendale.

Per commettere bancarotta fraudolenta patrimoniale, è necessario aver causato il fallimento dell’azienda?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il reato si consuma con l’atto di distrazione o dissipazione dei beni aziendali. La dichiarazione di fallimento è una condizione oggettiva di punibilità, ma non è necessario dimostrare che l’atto di distrazione abbia direttamente causato il dissesto finanziario.

Come viene valutato il danno ai creditori ai fini dell’applicazione dell’aggravante?
Il danno viene valutato considerando l’effettiva entità della diminuzione patrimoniale a svantaggio dei creditori. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto il danno di rilevante gravità basandosi sulla macroscopica sproporzione tra il valore dei beni aziendali ceduti (oltre 600.000 euro) e il canone di affitto pattuito, definito irrisorio (1.200 euro al mese).

La durata delle pene accessorie fallimentari, come l’inabilitazione, deve essere proporzionata alla pena principale?
No. La Corte ha stabilito che il giudice ha il potere discrezionale di determinare la durata delle pene accessorie, anche fino al massimo previsto dalla legge, in modo autonomo rispetto alla pena detentiva. La decisione deve essere adeguatamente motivata in base a criteri come la gravità della condotta, l’offensività dei mezzi utilizzati e l’entità del danno provocato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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