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Bancarotta fraudolenta: la distrazione del patrimonio

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta per distrazione a carico di un amministratore che aveva fatto eseguire lavori dalla propria società, poi fallita, a favore di un’altra società da lui stesso controllata, senza che quest’ultima saldasse il corrispettivo. Tale operazione, che ha causato un depauperamento del patrimonio sociale per oltre 700.000 euro, è stata ritenuta un atto distrattivo idoneo a ledere le ragioni dei creditori, indipendentemente dalla crisi di mercato o dalle intenzioni dell’imputato.

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Pubblicato il 11 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta per distrazione: il caso del credito inesigibile tra società collegate

La gestione dei rapporti economici tra società appartenenti allo stesso gruppo o riconducibili allo stesso imprenditore è un terreno scivoloso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale ha ribadito un principio fondamentale: ogni operazione deve avere una sua logica economica e non può scaricare ingiustamente il rischio su una sola delle entità. In caso contrario, si può configurare il grave reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. Analizziamo insieme questo caso per capire i confini tra lecita gestione imprenditoriale e condotta penalmente rilevante.

I Fatti di Causa: un appalto senza corrispettivo

La vicenda riguarda un imprenditore, amministratore di due distinte società. La prima, una società di costruzioni (che chiameremo “Costruzioni S.r.l.”), viene incaricata dalla seconda (che chiameremo “Immobiliare S.r.l.”) di eseguire importanti lavori di ristrutturazione su un immobile di proprietà di quest’ultima. Il valore totale dei lavori fatturati ammonta a oltre 1,4 milioni di euro.

Il problema sorge con le modalità di pagamento: il contratto di appalto prevedeva che il corrispettivo sarebbe stato saldato “a stato di avanzamento lavori” e, soprattutto, che i pagamenti fossero subordinati alle vendite degli immobili ristrutturati da parte dell’Immobiliare S.r.l. Di fatto, l’Immobiliare S.r.l. paga solo metà dell’importo dovuto, lasciando un credito inesigibile di circa 703.000 euro nelle casse della Costruzioni S.r.l. Quest’ultima, pur continuando a sostenere i costi dei lavori, non riesce a incassare il dovuto perché l’Immobiliare S.r.l., a causa della crisi del mercato, non riesce a vendere gli immobili. La conseguenza è inevitabile: la Costruzioni S.r.l. fallisce.

Per i giudici di merito, questa operazione costituisce una distrazione di patrimonio, condannando l’amministratore per bancarotta fraudolenta.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’imprenditore, confermando in toto la condanna. I giudici hanno ritenuto che la condotta dell’amministratore integrasse pienamente gli estremi del reato contestato, in quanto l’operazione, nel suo complesso, aveva causato un ingiustificato depauperamento del patrimonio della società poi fallita, a tutto vantaggio dell’altra società del gruppo.

Le Motivazioni: quando si configura la bancarotta fraudolenta per distrazione

La Corte ha chiarito in modo inequivocabile i principi che regolano la bancarotta fraudolenta per distrazione in contesti simili. Innanzitutto, si è sottolineato che, sebbene le due società fossero riconducibili allo stesso soggetto, esse mantenevano una propria autonomia giuridica e patrimoniale. Ogni patrimonio costituiva una garanzia distinta per i rispettivi creditori. L’operazione posta in essere ha violato questo principio, dirottando di fatto risorse e valore dalla Costruzioni S.r.l. all’Immobiliare S.r.l. senza un reale vantaggio economico per la prima.

La distrazione attraverso il mancato incasso

La distrazione non è avvenuta attraverso una classica sottrazione di denaro o beni materiali, ma attraverso un meccanismo più sottile: l’aver continuato a fornire una prestazione (i lavori edili) senza ricevere il dovuto corrispettivo. Il credito di oltre 700.000 euro, pur formalmente esistente, era di fatto inesigibile a causa delle clausole contrattuali che legavano il pagamento a un evento futuro e incerto (la vendita degli immobili). Questo ha comportato un effettivo impoverimento della società fallita, mettendone in pericolo la capacità di soddisfare i propri creditori.

Il dolo nel reato di bancarotta

L’imputato si è difeso sostenendo di non aver potuto prevedere la crisi del mercato immobiliare e che la sua era l’unica scelta possibile. La Cassazione ha respinto questa tesi, chiarendo un aspetto cruciale del dolo nella bancarotta. Per la configurazione del reato non è necessaria l’intenzione specifica di danneggiare i creditori, né la consapevolezza dello stato di insolvenza. È sufficiente la coscienza e volontà di porre in essere un’operazione che, esulando dagli scopi dell’impresa, impoverisce il patrimonio sociale. L’amministratore era pienamente consapevole che la struttura contrattuale adottata scaricava tutto il rischio d’impresa sulla società appaltatrice, ed è proprio questa consapevolezza a integrare l’elemento soggettivo del reato.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per gli amministratori che operano all’interno di gruppi societari. La Corte di Cassazione ha ribadito che la bancarotta fraudolenta per distrazione è un reato di pericolo concreto: non è necessario attendere il danno effettivo ai creditori, ma è sufficiente che l’atto di gestione ponga in essere un pericolo per la garanzia patrimoniale che il capitale sociale rappresenta. Anche operazioni apparentemente lecite, come un contratto di appalto, possono nascondere una condotta distrattiva se strutturate in modo da avvantaggiare una società a scapito di un’altra, senza alcuna valida ragione economica. La tutela dei creditori e l’integrità del patrimonio sociale rimangono principi cardine che non possono essere sacrificati, neppure di fronte a complesse strategie imprenditoriali o a crisi di mercato.

Quando un mancato pagamento tra società collegate integra la bancarotta fraudolenta per distrazione?
Quando deriva da un’operazione economica che, senza alcun utile per il patrimonio della società creditrice, ne determina un effettivo depauperamento a vantaggio dell’altra. Nel caso specifico, l’aver continuato ad eseguire lavori senza riscuotere il corrispettivo, a causa di clausole contrattuali che addossavano tutto il rischio d’impresa alla società poi fallita, è stato considerato un atto distrattivo.

È necessario che l’amministratore voglia specificamente danneggiare i creditori?
No. Per la sussistenza del reato è sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza che l’operazione compiuta sul patrimonio sociale sia idonea a cagionare un danno ai creditori, senza che sia necessaria l’intenzione di causarlo o la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa.

Una crisi di mercato può giustificare un’operazione che impoverisce una società del gruppo?
No. Secondo la Corte, la crisi di mercato è un rilievo di natura puramente fattuale che non scalfisce la struttura giuridica del reato. La condotta penalmente rilevante consiste proprio nell’aver strutturato l’operazione in modo da porre interamente a carico della società appaltatrice il rischio della controprestazione, determinandone il dissesto patrimoniale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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