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Bancarotta Fraudolenta: la delega non esclude il dolo

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4558/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore condannato per bancarotta fraudolenta documentale e distrattiva. La Corte ha ribadito che delegare la contabilità a un professionista esterno non esonera l’amministratore dalla responsabilità penale, poiché su di lui grava un obbligo di vigilanza. Inoltre, per la bancarotta distrattiva è sufficiente il dolo generico, ovvero la volontà di sottrarre beni alla garanzia dei creditori, senza che sia necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: La Delega al Commercialista Non Salva l’Amministratore

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 4558 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di reati fallimentari: la responsabilità dell’amministratore per bancarotta fraudolenta. La pronuncia conferma principi consolidati, chiarendo che affidare la gestione contabile a un professionista esterno non costituisce uno scudo sufficiente a escludere la responsabilità penale, specialmente quando le condotte distrattive sono evidenti. Questo caso offre spunti fondamentali per comprendere i confini del dolo e gli obblighi di vigilanza che gravano su chi gestisce un’impresa.

I Fatti del Processo: Dall’accusa di bancarotta fraudolenta al ricorso in Cassazione

Il caso riguarda l’amministratore di una società di costruzioni, fallita nel 2012, condannato in primo e secondo grado per tre diverse fattispecie di reato:
1. Bancarotta fraudolenta documentale, per aver tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio.
2. Bancarotta fraudolenta distrattiva, per aver sottratto risorse aziendali, anche attraverso prelevamenti qualificati come finanziamenti ai soci.
3. Bancarotta societaria da operazioni dolose, per aver aggravato il dissesto con condotte quali il rimborso di finanziamenti in violazione delle norme sulla postergazione e l’omesso versamento di ingenti somme di IVA.

L’imprenditore ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo di non aver agito con dolo. In particolare, per la bancarotta documentale, ha affermato di aver delegato la contabilità a un commercialista qualificato, limitando la sua colpa a una mancata vigilanza. Per la bancarotta distrattiva, ha negato la sussistenza di un nesso causale tra le sue azioni e il fallimento, nonché la volontà di provocare il dissesto.

L’analisi della Corte sulla bancarotta fraudolenta documentale

La Suprema Corte ha respinto la tesi difensiva, dichiarando il ricorso inammissibile. Per quanto riguarda la bancarotta documentale, i giudici hanno ribadito un principio giurisprudenziale pacifico.

La delega della contabilità e l’obbligo di vigilanza

L’imprenditore non è esente da responsabilità per il solo fatto di aver affidato la contabilità a un soggetto esterno. Su di lui grava un preciso obbligo di vigilanza e controllo sulle attività del delegato. Esiste una presunzione semplice di responsabilità che può essere superata solo con una prova rigorosa che i dati siano stati trascritti in modo difforme rispetto alle indicazioni fornite. Nel caso specifico, la sentenza ha evidenziato come alcuni artifici contabili fossero talmente rilevanti da non poter essere stati realizzati senza uno specifico accordo tra l’amministratore e il professionista, finalizzato a impedire la ricostruzione degli affari a danno dei creditori.

La bancarotta fraudolenta distrattiva e l’elemento soggettivo del dolo

Anche le censure relative alla bancarotta fraudolenta distrattiva sono state giudicate infondate. La difesa aveva tentato di sostenere che per la configurabilità del reato fosse necessario che l’agente avesse previsto e voluto il fallimento come conseguenza della propria condotta (dolo eventuale).

Il nesso di causalità e la sentenza “Passarelli” delle Sezioni Unite

La Cassazione ha richiamato l’importante pronuncia delle Sezioni Unite (n. 22474/2016, Passarelli), che ha chiarito due punti fondamentali:
1. Nesso causale: Ai fini della sussistenza del reato, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento. È sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa.
2. Elemento soggettivo: Il dolo richiesto è quello generico. Non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo specifico di recare pregiudizio ai creditori. Basta la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile perché le argomentazioni difensive miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità. Le censure sono state ritenute generiche, assertive e non in grado di scalfire la coerenza logica della sentenza impugnata. La condanna è stata confermata sulla base della giurisprudenza consolidata, secondo cui la delega di funzioni non elimina l’obbligo di vigilanza dell’amministratore e il dolo nella bancarotta distrattiva non richiede l’intenzione di provocare il fallimento, ma solo la volontà di distrarre i beni aziendali.
Anche la richiesta di concessione delle attenuanti generiche è stata respinta, poiché le presunte buone intenzioni dell’imputato erano in palese contraddizione con le accertate condotte distrattive, caratterizzate da un’intensa volontà colpevole e da una notevole durata.

Le Conclusioni: Principi Consolidati e Responsabilità dell’Imprenditore

Questa sentenza riafferma con forza la responsabilità dell’amministratore nella gestione dell’impresa. La delega di compiti tecnici, come la tenuta della contabilità, è una prassi comune e legittima, ma non può mai tradursi in una deresponsabilizzazione totale. L’imprenditore resta il garante ultimo della corretta gestione e deve vigilare attivamente per prevenire condotte illecite. Inoltre, la pronuncia consolida l’interpretazione del dolo nella bancarotta distrattiva, sottolineando che qualsiasi atto di disposizione del patrimonio sociale per fini estranei all’attività d’impresa integra il reato, a prescindere dalla percezione che l’agente possa avere sulla salute finanziaria della società.

Un amministratore può essere ritenuto responsabile per bancarotta fraudolenta documentale se ha delegato la tenuta della contabilità a un commercialista esterno?
Sì. La Corte di Cassazione ha confermato che la delega non esonera l’amministratore dalla responsabilità penale. Su di lui grava un obbligo di vigilanza e controllo sull’operato del delegato, e la responsabilità è esclusa solo fornendo una rigorosa prova contraria, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

Per commettere il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva è necessario che l’amministratore sia consapevole dello stato di insolvenza della società?
No. La sentenza chiarisce, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite, che per la sussistenza del reato è sufficiente il ‘dolo generico’, ovvero la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia per i creditori. Non è richiesta la consapevolezza dello stato di insolvenza.

È necessario un nesso di causalità tra l’atto di distrazione dei beni e il successivo fallimento della società per configurare il reato?
No. Secondo la giurisprudenza consolidata richiamata dalla Corte, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il fallimento. È sufficiente che l’agente abbia causato il depauperamento del patrimonio dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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