Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19629 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19629 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CALASCIBETTA il 25/12/1963
avverso la sentenza del 18/11/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilita dei ricorso.
Udito il difensore della parte civile, avvocato COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso depositando conclusioni scritte e nota spese delle quali chiede la liquidazione
Udito il difensore del ricorrente, avvocato NOME COGNOME che espone i motivi di gravame ed insiste nell’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Alessandria – che ha dichiarato NOME COGNOME, quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE colpevole di concorso nella bancarotta fraudolenta distrattiva della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 04/11/2015 – ha rideterminato il trattamento sanzionatorio, confermando, nel resto, la sentenza di primo grado.
1.1. Secondo la ricostruzione proveniente dalle sentenze di merito, la fallita – in perdita già dal 2012 e con crescenti debiti verso clienti e verso l’Erario – in data 28 febbraio 2014, aveva surrettiziamente trasferito l’azienda in favore della neo costituita RAGIONE_SOCIALE, amministrata dal ricorrente, senza alcuna formalizzazione nè corrispettivo, cagionando alla fallita una perdita di fatturato, nell’anno 2014, di almeno 700.000 euro. In particolare, erano stati ceduti gratuitamente i propri contratti di assistenza e manutenzione di materiale e attrezzature da ufficio, in essere con svariati clienti, alla RAGIONE_SOCIALE, costituita pochi giorni prima, avente la medesima sede legale e lo stesso oggetto sociale della fallita, nella quale transitavano alcuni dipendenti di quest’ultima, e in cui compariva quale socio al 50% il figlio del I.r. della fallita, NOME COGNOME per il quale si è proceduto separatamente.
Avverso l’indicata sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore di fiducia, avvocato NOME COGNOME articolando sei motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
Premette il ricorrente come, nel caso di specie, non possa ritenersi configurabile una c.d. doppia conformità delle sentenze di merito, sia con riguardo all’elemento oggettivo che quanto al profilo psicologico, per avere la Corte di appello utilizzato argomentazioni differenti da quelle del primo giudice.
2.1. Con i primi tre motivi, sono denunciati erronea applicazione della legge e correlati vizi di motivazione quanto alla valutazione del fatto sotto il profilo oggettivo, predicandosi la insussistenza della condotta distrattiva.
Le deduzioni del ricorrente si concentrano sul contratto di manutenzione in essere tra la fallita e la RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale quest’ultima si impegnava a prestare assistenza e manutenzione su macchine e attrezzature cedute o noleggiate da RAGIONE_SOCIALE in favore di clienti di quest’ultima, contratto che, in ragione di un rilevante debito accumulato dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, pari a circa 200.000 euro, era stato risolto da RAGIONE_SOCIALE nel gennaio 2014.
La doglianza ha oggetto la denuncia del travisamento del fatto, con ricadute sulla corretta valutazione giuridica, nel quale sarebbero incorsi i giudici di merito per avere ravvisato un depauperamento aziendale nella cessione, in favore della
società amministrata dall’odierno ricorrente, dei contratti di manutenzione stipulati dalla fallita RAGIONE_SOCIALE con la RAGIONE_SOCIALE, atteso che quei negozi erano tutt’altro che remunerativi, quanto, piuttosto, produttivi di perdite.
Errano i giudici di merito nel ritenere oggetto di cessione i contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE in favore della fallita RAGIONE_SOCIALE, posto che si è trattato di mero subentro in un rapporto che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto più condurre, in ragione delle chiare disposizioni contrattuali e della risoluzione attivata da RAGIONE_SOCIALE. Quello che si è verificato – in tesi difensiva – è un mero subentro nella gestione del rapporto tra utilizzatore finale e RAGIONE_SOCIALE da parte di un soggetto terzo rispetto a quello individuato in fase di stipula del contatto, che, in ragione della mutata situazione di diritto, a seguito della avvenuta risoluzione contrattuale, veniva incaricato da RAGIONE_SOCIALE di dare corso alla fornitura di pezzi di ricambio e materiale di consumo da parte della medesima RAGIONE_SOCIALE: attività che non veniva, quindi, più posta in essere dalla fallita ma dalla subentrata RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei clienti/utilizzatori già facenti capo a RAGIONE_SOCIALE
Ne consegue che, erroneamente, la Corte di appello ha ritenuto che la subentrata beneficiasse dei clienti, dei rapporti commerciali e dell’avviamento della RAGIONE_SOCIALE, in quanto quei rapporti, in forza della risoluzione contrattuale, non erano più in essere. Erra la Corte di appello quando afferma che “non sono stati ceduti nuovi e futuri contratti ma rapporti giuridici in atto, in corso d esecuzione con svariati clienti”. E tanto alla luce delle clausole contrattuali, le quali non consentivano al rivenditore (la fallita) di svolgere alcuna attività di assistenza e manutenzione presso i clienti senza il consenso della RAGIONE_SOCIALE, chiaramente prevedendo il punto 8) del contratto la deresponsabilizzazione della RAGIONE_SOCIALE per danni derivanti da interventi effettuati da personale non autorizzato da RAGIONE_SOCIALE medesima o dipendenti dall’utilizzo di materiale non fornito da quest’ultima. Da qui, la assenza di rilevanza economica di un contratto che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe potuto eseguire, con insussistenza del ravvisato depauperamento della fallita. RAGIONE_SOCIALE, risolvendo il contratto originario con la fallita, aveva impedito la esecuzione dei contratti, da quello dipendenti, tra RAGIONE_SOCIALE e gli utenti/utilizzatori dei bene ceduti o noleggiati da RAGIONE_SOCIALE
Ulteriore profilo di censura attiene alla confusione tra giro di affari e utile, errando il curatore nel considerare dotati di valore economico contratti che non potevano più essere eseguiti essendo stato disdettato l’originario contratto con RAGIONE_SOCIALE, che non si sarebbe mai verificato.
2.2. Con il quarto motivo sono denunciati analoghi vizi con riguardo al profilo del dolo, sostenendosi che, in presenza della descritta situazione di fatto, non può ascriversi al ricorrente alcun atto distrattivo con la consapevolezza necessaria a integrare l’elemento soggettivo del reato posto che i contratti stipulati con RAGIONE_SOCIALE
e con i clienti non erano frutto di trasferimento di quelli precedentemente sottoscritti da RAGIONE_SOCIALE con RAGIONE_SOCIALE. Egli ha agito – peraltro alla presenza di RAGIONE_SOCIALE che ha avallato l’operazione al momento della stipula dei contratti tra la new-co e utenti, – con la certezza di operare correttamente, sapendo che gli originari contratti con RAGIONE_SOCIALE non avrebbero potuto avere alcuna attuazione, dopo la risoluzione, e, quindi, con il rischio per la fallita di trovarsi esposta ad azioni di danno da parte degli utenti per l’inadempimento della Mesa, a fronte del pagamento del canone. Dunque, l’imputato ben sapeva che senza l’autorizzazione di RAGIONE_SOCIALE, che inviava anche i propri manutentori, non era possibile per Mesa svolgere alcuna attività. E, quindi, quei contratti non rappresentavano alcuna utilità economica ma erano fonte di possibili azioni giudiziarie, rischio scongiurato dalla cessione. Cosicchè – si afferma – non può affermarsi che il ricorrente abbia agito con la rappresentazione di avere posto a rischio le garanzie patrimoniali dei creditori di Mesa, in quanto quell’atto si rivelava come alleggerimento della posizione debitoria.
2.3. Con il quinto motivo, ci si duole dell’inosservanza della regola c.d. B.A.R.D. residuando, dalle stesse dichiarazioni del curatore, il ragionevole dubbio sulla responsabilità del ricorrente, sia sotto il profilo soggettivo che dal punto di vista oggettivo, posto che è RAGIONE_SOCIALE che governa e regge tutta la vicenda, a partire dalla risoluzione contrattuale fino alla stipula caldeggiata da RAGIONE_SOCIALE dei contratti tra utenti finali e RAGIONE_SOCIALE.
3. E’ costituito, con memoria depositata con p.e.c. del 13 marzo 2025, il fallimento della RAGIONE_SOCIALE che, ritenendo i motivi tutti infondati, conclude per il rigetto del ricorso, con liquidazione delle spese come da nota depositata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile, esso denunciando, nel suo complesso, il travisamento del fatto, ovvero una sua erronea interpretazione che si traduce nella prospettazione di una, non consentita, lettura alternativa del fatto con riguardo alla qualificazione del trasferimento dell’azienda, se integrante una cessione come ritenuto dai giudici di merito), ovvero un mero subentro ( come sostenuto dal ricorrente).
1.1.In tema di motivi di ricorso per cassazione, ciò che è consentito denunciare – nell’ambito del vizio di motivazione della sentenza impugnata -è il c.d. il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”), che vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente divieto di rilettura e
di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01).
La disciplina prevista dalla L. n. 46 del 2006 ha avuto l’effetto di riportare nell’ambito del vizio di motivazione anche il cd. “travisamento della prova” nei casi in cui, dal solo esame dell’atto specificamente indicato, emerga il vizio di motivazione che, ovviamente, deve avere carattere di decisività (in questo senso già subito dopo l’entrata in vigore della legge si è espresso, in più occasioni, il giudice di legittimità: Cass., sez. 1^, 14 luglio 2006 n. 25117, rv. 234167; sez. 2^, 24 maggio 2006 n. 19850, rv. 234163; sez. 4^, 28 aprile 2006 n. 20245, rv. 234099; sez. 2^, 23 marzo 2006 n. 13994, rv. 233460.)
Nondimeno, va rimarcato che il vizio di travisamento della prova, deducibile dinanzi al Giudice di legittimità ai sensi dell’art. 606 co. 1 lett. e), concerne esclusivamente l’errore cosiddetto revocatorio, che, cadendo sul significante e non sul significato della prova, si traduce nell’utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall’atto istruttorio (Sez. 5, n. 18542 del 21 gennaio 2011, Carone, Rv. 250168). L’innovazione legislativa è orientata, infatti, ad evitare il rischio di una condanna fondata su prove inesistenti o su elementi il cui risultato probatorio è inequivocabilmente e incontestabilmente diverso da quello ritenuto dal giudice di merito. Sono i casi classici della “prova inventata” (il giudice utilizza come prova decisiva le dichiarazioni di un teste che non è mai stato esaminato) o della prova che il giudice interpreta erroneamente (il teste ha detto “nero” e il giudice afferma che
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“bianco”).
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Insomma, il concetto di “travisamento della prova” è ben distinto dal “travisamento del fatto”, perché non richiede una rivalutazione del compendio probatorio, ma si limita a prendere atto di una indiscutibile difformità tra decisione, esistenza delle prove e risultato di prova. Come è stato affermato in dottrina, “nel travisamento del fatto il giudice di legittimità deve conoscere il contesto processuale, laddove nel travisamento della prova deve conoscere solo l’atto che veicola la prova”.
Il principio che si afferma è, dunque, che la Corte di cassazione – investita di un ricorso che indichi in modo specifico come il giudice di merito abbia (non erroneamente interpretato ma) indiscutibilmente travisato una prova decisiva acquisita al processo ovvero omesso di considerare circostanze decisive risultanti da atti specificamente indicati – possa, negli stretti limiti della censura dedotta, verificare l’eventuale esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia inopinatamente tratto ovvero verificare l’esistenza della decisiva difformità (Sez. 4, n. 14732 del 01/03/2011 Rv. 250133; Sez.
5, n. 9338 del 12/12/2012 (dep. 2013 ) Rv. 255087 ; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017 (dep. 2018 ) Rv. 271702 ).
E’ chiaro, allora, che non è prospettabile, nel giudizio di legittimità, un’interpretazione del significato di una fonte di prova diversa da quella proposta dal giudice di merito, salvo che ricorra, appunto, l’ipotesi del travisamento della prova, cioè si versi nel caso in cui il giudice di merito indichi il contenuto di un atto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva e incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013 (dep. 2014 ) Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 8 marzo 2012, COGNOME, Rv. 252190).
1.2. Ebbene, nel caso di specie, il ricorso non si misura con la ratio decidendi della sentenza impugnata la quale ha, in primo luogo, osservato come la fallita avesse in essere contratti di assistenza e manutenzione di materiale e attrezzature da ufficio, con svariati clienti, tutti ceduti, senza corrispettivo, alla ‘newco’, e rilevato come ” non si tratta di una mera cessione di avviamento di azienda, ma del trasferimento di contratti di manutenzione ne assistenza con i clienti finali della compagine”, e che “non sono stati ceduti nuovi e futuri contratti ma rapporti giuridici in atto, in corso di esecuzione con svariati clienti”.
Quindi, la Corte di appello ha dato atto che” in tale contesto assume scarsa rilevanza il debito accumulato dalla fallita con la concessionaria RAGIONE_SOCIALE e la risoluzione del contratto di Assistenza Page Pack”; che, per ovviare alla risoluzione contrattuale attivata da RAGIONE_SOCIALE nel 2014, “RAGIONE_SOCIALE cedeva i contratti con la clientela finale alla neo costituita RAGIONE_SOCIALE, così garantendosi la possibilità di conservare i vantaggiosi rapporti giuridici in essere con i propri clienti”; che la risoluzione contrattuale con RAGIONE_SOCIALE e l’esistenza di consistenti debiti verso il concessionario “non rende privi di valore economico attivo i distinti e autonomi contratti stipulati da RAGIONE_SOCIALE verso la clientela finale, come detto suscettibili di produrre rilevanti utili”.
Ha precisato ancora la sentenza impugnata che, “a differenza di quanto sostenuto dal difensore non si tratta di clienti di RAGIONE_SOCIALE ma di clienti di Mesa, che avevano in essere con quest’ultima società – e non anche con RAGIONE_SOCIALE – rapporti contrattuali duraturi e risalenti nel tempo”, risultando ininfluente, sulla portata distrattiva dell’operazione, l’eventualità che la stessa RAGIONE_SOCIALE abbia suggerito e caldeggiato la cessione dei rapporti negoziali con i clienti finali, piuttosto costituendo una riprova del valore economico di tali negozi per i contraenti Mesa e Xerox.
2. Non coglie nel segno neppure il motivo incentrato sull’elemento soggettivo, ancora una volta omettendo il ricorrente il confronto con la ratio decidendi: quanto al profilo soggettivo, lo scrutinio della Corte di appello si è, infatti, fondato sulla considerazione che “l’imputato, ricevendo a titolo gratuito contratti
e rapporti giuridici con svariati clienti, abbia contribuito anche materialmente a perfezionare un segmento della condotta distrattiva, danneggiando gli interessi del ceto creditorio, per altro verso, sulla scorta del complessivo contenuto della condotta di trasferimento e delle caratteristiche della società neo costituita, traspare il previo accordo con l’amministratore della fallita in ordine alla distrazione di siffatti rapporti giuridici”. Ha, quindi, analiticamente indicato gli indici di fraudolenza che sono stati ravvisati, facendo corretta applicazione dei richiamati principi di diritto in tema di concorso dell’extraneus nel delitto proprio di bancarotta fraudolenta per distrazione, secondo i quali non si richiede la specifica conoscenza dello stato di dissesto della società, essendo sufficiente oltre alla prova del previo accordo – la consapevolezza del proprio contributo alla condotta dell’intraneus con la coscienza che la ricezione di somme o beni non dovuti rappresentano un depauperamento ai danni dei creditori sociali.
2.1.La Corte di appello ha, dunque, condotto lo scrutinio di responsabilità fornendo una motivazione affatto illogica, coerente con le fonti di prova, che sono state adeguatamente esaminate, pervenendo a una decisione conforme alla giurisprudenza di questa Sezione, la quale ha sempre ritenuto come la cessione della società verso una new-co comporti una distrazione, ciò che è avvenuto nel caso di specie in cui tutte le attività della fallita sono state trasferite senza alcun corrispettivo.
2.2. La diversa ricostruzione dei fatti propugnata dal ricorrente GLYPH non consentita in questa Sede, in quanto reiterativa di doglianze già specificamente apprezzate dalla sentenza impugnata, e qui riproposte, sicchè rileva la c.d. genericità estrinseca del ricorso, in quanto omette di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. U. n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822) – si risolve in un dissenso ‘decisionale’, inidoneo, come tale, a segnalare in questa sede precarietà logiche della decisione impugnata o, peggio, vuoti di motivazione sui punti interessati, peraltro dovendo sottolinearsi come l’imputato non abbia offerto realistiche alternative da confrontare, non potendo aver rilievo, a fini inibitori della pronunzia di sentenza di condanna, un’ipotesi alternativa indimostrata e congetturale, pur se in astratto plausibile (da Sez. 4, n. 22257, del 25/3/2014, Rv. 259204).
Gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra le doglianze proponibili quali mezzi di
ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali,
la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e
logicità della motivazione (Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989, dep. 1990, COGNOME,
Rv. 182961).
3. Alla declaratoria di inammissibilità segue per legge ( art. 616
cod.proc.pen ) la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, trattandosi di causa di inammissibilità determinata da profili di colpa
emergenti dal ricorso (Corte Costituzionale n. 186 del 7-13 giugno 2000), al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene
equo e congruo fissare in euro tremila.
3.1. Il ricorrente deve anche essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio di legittimità dalla costituita parte
civile, da liquidarsi come in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile, che liquida in euro 3686,00, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, 01 aprile 2025 Il Cong ‘ere este GLYPH re