Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22557 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22557 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 17/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VILLA D’ALME’ il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/05/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avvocato NOME COGNOME, che, riportandosi ai motivi di ricorso, ha insistito per l’accoglimento degli stessi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 maggio 2023, la Corte di Appello di Brescia ha confermato la decisione con cui il Tribunale di Bergamo, in data 27.06.2019, aveva dichiarato COGNOME NOME colpevole del reato di cui agli artt. 216 comma 1, n. 1, 223 e 219 comma 1 e comma 2, n. 2 I. fall. – perché, in qualità di legale rappresentante ed anche c amministratore effettivo della società RAGIONE_SOCIALE, distraeva, in concorso con altri, l’intera azienda gestita dalla RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del 1.02.2013, mediante cessione di fatto di tutte le s
componenti (avviamento, beni strumentali del valore non inferiore ad euro 117.102,00, beni in leasing del valore non inferiore ad euro 46.843,00 e commesse in essere (in particolare, con le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), in assenza di corrispettivo, alla società RAGIONE_SOCIALE, all’uop appositamente costituita – condannandolo alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, esclusa l’aggravante dei più fatti di bancarotta e ritenuta l’aggravante del dann patrimoniale di rilevante gravità.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del proprio difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, articolando cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, si lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 216 223 I. fall e vizio di motivazione con riferimento alla distrazione patrimoniale.
Dal punto di vista oggettivo, la Corte territoriale, nell’affermare la responsabilità ricorrente, non ha tenuto conto della circostanza per cui la fallita RAGIONE_SOCIALE, all’epoca della costituzione della RAGIONE_SOCIALE, già i stato di decozione, con rilevanti debiti nonché incapace di portare a termine la commessa con la società RAGIONE_SOCIALE In tale contesto, il COGNOME, su propost dell’amministratore di fatto della fallita – Sig. COGNOME – interveniva economicamente pe dare continuità alla suindicata commessa ed evitare alla fallita ulteriori posizioni debitorie
Orbene, la Corte territoriale avrebbe dovuto dapprima verificare se le ragioni dei creditori della fallita siano state effettivamente frustrate dalle condotte del ricorrent poi verificare ulteriormente se poteva essergli addebitata una responsabilità, in quant figura estranea alla compagine sociale e non responsabile dinanzi alla massa dei creditori.
La Corte di appello ha erroneamente ritenuto che la cessionaria BM si sia appropriata di tutte le commesse della fallita e del valore dell’avviamento aziendale – peraltro, ribadisce, di una società già in totale stato di decozione – posto che la BM è subentrat unicamente nelle commesse con due società e in nessun altro contratto della fallita. Inoltre, la sentenza impugnata non fornisce alcuna quantificazione del valore economico della supposta distrazione per la quale non sarebbe stato pagato alcun corrispettivo.
Da ultimo, si ritiene vi sia stato un travisamento delle prove anche con riferimento all dichiarazioni di tutti i dipendenti escussi, specie di quelle rese dalla teste COGNOME NOME, quale pur non essendo assunta dalla RAGIONE_SOCIALE, ha ottenuto quanto le spettava a fronte dell’attività lavorativa prestata per la fallita, recandosi presso la sede della RAGIONE_SOCIALE stessa.
2.2. Con il secondo motivo, si deduce violazione degli artt. 216 e 223 I. fall. e vizi motivazione in relazione all’elemento soggettivo del reato, nonché erronea applicazione della legge penale in relazione alla qualificazione dell’imputato quale “extraneus” con cui l’amministratore di diritto avrebbe concorso nella realizzazione dell’elemento materiale de reato.
Si censura la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui non si è espressa concretamente sugli elementi che ineriscono all’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione del reato di bancarotta patrimoniale in qualità di soggetto estraneo. particolare, la Corte territoriale si è limitata ad affermare in maniera apoditti responsabilità dell’imputato, soffermandosi sulla ritenuta natura distrattiva delle condotte limitandosi a descrivere una condotta oggettiva coincidente con il ruolo formale esercitato dal ricorrente, senza condurre alcuna riflessione sul dolo del fatto e sul dolo di concorso senza provare né l’accordo criminoso con il soggetto qualificato, né il dolo del reato inte come volontà dell’extraneus di concorrere con l’intraneus, nella consapevolezza di determinare un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori.
Ciò si afferma anche con il conforto della stessa giurisprudenza di legittimità che ritiene doveroso comunque provare il dolo del socio consistente nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo invece richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società.
In sostanza, a fronte di una condotta poco chiara del COGNOME, il ricorrente viene considerato apoditticamente complice del medesimo, senza alcuna specifica indicazione in tal senso nella sentenza censurata, mentre gli amministratori della “RAGIONE_SOCIALE ” – che hanno rivenduto il macchinario alla RAGIONE_SOCIALE e dunque hanno praticato la medesima condotta del COGNOME – non sono considerati quali coimputati.
2.3. Con il terzo motivo, si lamenta violazione degli artt. 216 e 223 I. fall., per aver Corte di appello ritenuto configurabile, nel caso di specie, il reato di bancarotta fraudole patrimoniale distrattiva piuttosto che il delitto di bancarotta semplice ai sensi dell’art. 2 3 I. fall.
In particolare, anche alla luce dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittim deve escludersi il dolo specifico richiesto dalla norma laddove l’imprenditore soddisfi talu debiti al solo fine di evitare il pericolo della presentazione di istanze di fallimento. Nel di specie, la Corte territoriale non ha tenuto conto delle circostanze per cui il fallimento RAGIONE_SOCIALE è intervenuto per il comportamento dei coimputati, essendosi invece l’imputato adoperato in tutti i modi possibili per evitarlo. A tal riguardo, la prova è cos dall’avvenuto pagamento delle numerose mensilità arretrate vantate dai dipendenti della società fallita.
2.4. Con il quarto motivo, si contesta l’erronea applicazione degli artt. 216 e 223 fall., per avere la Corte di appello errato nel non riqualificare la fattispecie contest quella di cui all’art. 232, comma 3, n. 2 I. fall.
In particolare, evidenzia il ricorrente che la sentenza impugnata, non facendo buon governo dei principi affermati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, ha omesso
analizzare le differenze intercorrenti tra la condotta di ricettazione prefallimentare ex 232, comma 3, n. 2 I. fall. e quella di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva.
2.5. Con il quinto motivo, si denunciano violazione di legge in relazione all riconosciuta aggravante di aver cagionato un danno patrimoniale di rilevante gravità e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, nonché relativo vizio di motivazione.
Lamenta il ricorrente che la Corte di appello non abbia fatto buon governo dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia della circostanza aggravant contestata e, conseguentemente, di aver valutato la diminuzione della massa attiva in termini percentuali, anziché condurre una valutazione globale e concreta della somma distratta. Inoltre, la motivazione offerta dalla Corte territoriale si rileva carente in p mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, limitandosi ad affermare l’esistenza di precedenti in capo dell’imputato e non tenendo conto della già indicat mancanza dell’elemento soggettivo, tale da giustificare l’applicazione o comunque la prevalenza delle medesime circostanze attenuanti.
Le parti hanno concluso in pubblica udienza come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
1.1. Il primo motivo, che tende a screditare la sussistenza del reato sotto il pro oggettivo, assumendo, in buona sostanza, che il ruolo dell’impul:ato si sarebbe piuttost risolto in un supporto economico che avrebbe consentito di portare avanti le commesse che la società RAGIONE_SOCIALE non era più in grado di sostenere, essendo all’epoca della cessione dell’azienda già fortemente indebitata, non considera tutti gli altri aspetti che ha caratterizzato la vicenda della cessione oggetto di contestazione.
Ed invero, la sentenza impugnata, sulla base delle plurime convergenti dichiarazioni rese dai testimoni – in particolare dagli ex lavoratori della società fallita – ha inna evidenziato che l’attività distrattiva era stata realizzata in favore della RAGIONE_SOCIALE amministrata dal ricorrente, anche socio unico, e di fatto anche da COGNOME NOME), appositamente costituita per continuare la medesima attività in precedenza svolta dalla fallita, e che, come d’altronde anche nel ricorso si mira a porre in evidenza, l’imputato av assunto lo specifico onere di far fronte alle spese funzionali alla realizzazione trasferimento dei beni dalla società prossima al fallimento alla RAGIONE_SOCIALE; spes consistite, da un lato, negli esborsi necessari per il trasferimento dei beni presso la n sede operativa della cessionaria e, dall’altro, nel soddisfacimento delle pretese creditori
alcuni lavoratori, segnatamente di quelli specializzati, il cui passaggio alle dipendenze d nuova società era evidentemente essenziale per la prosecuzione dell’attività.
In particolare, si sottolinea nella pronuncia impugnata come si tratti di spese in re necessarie per la realizzazione del progetto criminoso a cui aveva evidentemente preso parte l’imputato con un ruolo di rilievo, avendo egli assunto la legale rappresentanza della socie ad hoc costituita per il subentro a quella in procinto di fallire, oltre che l’onere dell necessarie affinché tale prosecuzione potesse realizzarsi in concreto (ai danni della societ RAGIONE_SOCIALE, di fatto spogliata di tutte le sue componenti attive, che veniva dopo alcuni mesi dichiarata fallita su ricorso anche dei lavoratori rimasti insoddisfatti).
Tale partecipazione è d’altronde attestata, secondo la puntuale ricostruzione dei giudic di merito, dalle deposizioni dei lavoratori che hanno affermato come lo stesso COGNOME si fosse presentato come colui che sarebbe subentrato nell’amministrazione dell’attività che avrebbe fatto capo alla nuova società, che andava, in buona sostanza, a prendere il posto della RAGIONE_SOCIALE, ed avesse in tale veste preso parte ad una riunione in cui s rappresentava ai lavoratori tale circostanza, unitamente al fatto che la società RAGIONE_SOCIALE si sarebbe invece avviata al fallimento.
Ed il fatto che l’imputato avrebbe provveduto a sostenere le spese per il trasferimento il pagamento delle spettanze arretrate dei dipendenti non potrebbe assumere, secondo la logica e congrua impostazione recepita nelle conformi pronunce di merito, il rilievo che h inteso conferire a tale circostanza la difesa – anche ai fini della perizia di cui si la mancato espletamento – dal momento che tale circostanza già posta in maniera del tutto generica in appello, senza neppure un benché minimo riferimento all’ammontare di quanto sborsato, è riproposta genericamente anche col ricorso in scrutinio ed è stata, comunque, ritenuta indicativa della effettiva valenza della condotta dell’imputato nella vicenda in es (tutta a vantaggio del nuovo ente societario e ai danni della fallita).
Il punto ritenuto decisivo dai giudici di merito è la mancanza di un corrispettivo sia la cessione dei beni in leasing, subito alienati ad altra società dal ric:orrente per 46.000 che per il subentro nelle altre poste attive, laddove gli esborsi effettuati non poteva alcun modo qualificarsi come corrispettivo della cessione, essendo l oiuttosto essi strumentali alla realizzazione del passaggio di consegne alla nuova società. Tale passaggio andava tutto e solo a vantaggio della cessionaria, lasciando di fatto la società cedente priva dei suoi ben con debiti, e ciò di là dell’asserita impossibilità della stessa di proseguire l’attivi situazione di insolvenza in cui versava, che avrebbe, all’evidenza, imposto ben altre soluzio e che in ogni caso non giustificava una cessione di elementi, evidentemente suscettibili valutazione economica, senza una effettiva contropartita.
Coerente, quindi, con tale impostazione deve ritenersi anche la decisione della Corte di appello di considerare non affatto necessaria la perizia invocata dalla difesa, volta accertare il valore patrimoniale della società RAGIONE_SOCIALE e delle sue quote sociali
dando le risultanze probatorie già conto dell’esistenza di attività’ e segnatamente di b strumentali in capo alla fallita (indicati nel libro cespiti), di attrezzature ricevute in crediti e di lavorazioni in corso. Correttamente, dunque, i giudici di merito hanno rite configurata la distrazione dei beni della società fallita intervenuta mediante la cession fatto, senza corrispettivo (non potendosi ritenere una contropartita gli esborsi effettuat ricorrente, di cui non si è neppure indicato l’esatto ammontare, andati piuttosto ad agevolar il totale depauperamento della fallita), dei beni, crediti e contratti della RAGIONE_SOCIALE ovvero delle sole attività a questa facenti capo, essendo rimasti nella sfera della cedent debiti, ivi compresi quelli degli altri dipendenti, non soddisfatti, c:he procedevano qui proporre ricorso di fallimento.
Quanto, infine, ai beni concessi in leasing è il caso di evidenziare che i canoni, second quanto ricostruito dal curatore e non oggetto di contestazione neppure nel ricorso i scrutinio, risultano onorati fino al maggio 2012, ossia fino a quando interveniva la cessione fatto dei beni della RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, e che alla sparizione di tali be – poi ceduti dalla RAGIONE_SOCIALE ad altra società e da questa ad un’altra ancora per la cifra di 96. euro – conseguiva l’ammissione al passivo della società di leasing per il valore equivalente.
Il motivo in scrutinio, dunque, pur presentando tratti di evidente aspecificità, è nel complesso infondato, dovendosi ritenere insussistenti i vizi denunciati alla luce de argomenti sviluppati nelle pronunce di merito, e qui ulteriormente esaminati.
1.2. Alla stregua di tutto quanto sopra evidenziato, i giudici di merito hanno, qui correttamente ritenuto la sussistenza, in capo al ricorrente, anche dell’elemento soggetti proprio della bancarotta fraudolenta patrimoniale che, come pacificamente affermato nella giurisprudenza di questa Corte, consiste nel dolo generico, escludendo, di fatto, in tal mo la configurabilità di altre ipotesi di reato meno gravi. Si afferma, in particolare sentenza impugnata, coerentemente alle risultanze probatorie, che risulta pienamente provato non solo il pieno coinvolgimento dell’imputato nella vicenda della cessione di fatto beni e contratti della società fallita alla neocostituita RAGIONE_SOCIALE, ma anche la sua p consapevolezza delle condizioni in cui versava la società cedente, tant’è che era egli a far carico delle spese necessarie a tale trasferimento, oltre che della mancanza di un corrispettivo per tale cessione che lasciava di fatto la società cedente priva di asset aziendale e solo con debiti da onorare (non potendosi ritenere, a fronte di tale circostan compensativi gli esborsi sostenuti per il trasferimento dei beni presso la nuova sede del cessionaria, né quelli per saldare le competenze solo di alcuni lavoratori, effettuati, secon giudici di merito, al fine di consentire la prosecuzione delle attività da parte della società e non nell’ottica di evitare il fallimento, come pure si assume in ricorso col motivo).
1.3. La ricostruzione sposata dai giudici di merito esclude, dunque, in radice la possibil di ravvisare le diverse ipotesi criminose indicate coi terzo e col quarto motivo di ricorso.
Il delitto di ricettazione prefallimentare (art. 232, comma terzo, n. 2, I. fall.) si c invero, solo in mancanza di un accordo con l’imprenditore dichiarato fallito. Pertanto, il del terzo non fallito che distragga beni prima del fallimento, in accordo con l’imprenditor punibile a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, ex art. 216, comm primo e 223, comma primo, I. fall., e non a norma del predetto art. 232 I. fall. (Sez Sentenza n. 16062 del 22/02/2012, Rv. 252485 01; da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 40023 del 19/09/2022, Rv. 283757 – 01).
1.5. Quanto, poi, al rigetto della richiesta di riconoscimento delle attenuanti generic il caso di rammentare che costituisce jus receptum che, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabil atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque ril rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. 3, n. 285 19/03/2014, Lule, Rv. 259899). La concessione delle attenuanti generiche richiede l’apprezzamento di elementi positivi che orientino la discrezionalità affidata al giudice definizione del trattamento sanzionatorio verso l’attribuzione di una sanzione meno afflitti ne consegue che le determinazioni del giudice di merito in ordine alla concessione delle circostanze attenuanti generiche sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette – come certamente nel caso di specie – da motivazione esente da vizi logico-giuridici (Sez. 6, 38780 del 17/06/2014, COGNOME, Rv. 260460; Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME e altri, Rv. 249163; Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altro, Rv. 242419; Sez. 6, 7707 del 04/12/2003 – dep. 23/02/2004, P.G. in proc. RAGIONE_SOCIALE ed altri, Rv. 229768); d talché deve ritenersi giustificato il detto diniego anche se si fondi sulla totale asse elementi positivamente valutabili.
Nel caso di specie, secondo la congrua valutazione della Corte di appello, alla mancata emersione di elementi positivi di valutazione, si è aggiunta la sussistenza di precedenti pena risultanti a carico dell’imputato. Il motivo sul punto è dunque manifestamente infondato.
1.6. Quanto, infine, all’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità, va rilev che la Corte di Appello, nel confermare la decisione di primo grado anche sul punto, si attenuta alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui, in tema di rea fallimentari, l’entità del danno provocato dai fatti configuranti bancarotta patrimonia commisurata al valore complessivo dei beni che sono stati sottratti all’esecuzion concorsuale, piuttosto che al pregiudizio sofferto da ciascun partecipante al piano di ripa dell’attivo, ed indipendentemente dalla relazione con l’importo globale del passivo (cfr. S 5, Sentenza n. 49642 del 02/10/2009, Rv. 245822 – 01; cfr. altresì Sez. 5, n. 48203 de 10/07/2017 – dep. 19/10/2017, COGNOME e altri, Rv. 27127401, che ha ribadito il princip affermando che la circostanza aggravante del “danno patrimoniale di rilevante gravità” di cu all’art. 219, comma 1, legge fall. si configura solo se ad un fatto di bancarotta di rilevante
gravità, quanto al valore dei beni sottratti all’esecuzione concorsuale, corrisponda un dann patrimoniale per i creditori che, complessivamente considerato, sia di entità altretta grave); e alla luce di essa ha congruamente concluso la sentenza impugnata – con motivazione qui non censurabile neppure sotto il profilo, attinente al merito, del val distratto – che l’entità dei beni sottratti coincidenti con l’intero attivo della socie certamente il danno di rilevante gravità, tenuto conto che nessun bene era stato acquisito all’attivo fallimentare a fronte del passivo accertato (con la conseguenza che la diminuzione non percentuale ma globale, che il comportamento dell’agente ha provocato alla massa attiva che sarebbe stata disponibile per il riparto ove non si fossero verificati gli illeciti, totale).
Dalle ragioni sin qui esposte deriva il rigetto del ricorso, cui consegue, per legg ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 17/4/2024.