Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 44741 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 44741 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a ZEJIANG( CINA) il 29/11/1979
avverso la sentenza del 20/05/2024 della CORTE APPELLO di TORINO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME
PARASPORO
che ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso riportandosi alla requisitoria già in atti.
udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Torino, confermava la sentenza del Tribunale di Torino del 14.03.2022 che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia, per fatti di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale relativi a due diverse società, nella qualità di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torino del 22.10.2015, e di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita con sentenza del Tribunale di Torino del 01.07.2014.
Avverso la suindicata sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME affidato a sei motivi qui di seguito sintetizzati ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 II primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione alla cessione di ramo di azione contestata al capo 1), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato.
2.2 II secondo motivo di ricorso lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione alla vendita di beni della società fallita contestata al capo 1), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato e duplicazione della condotta rispetto alla cessione di ramo di azienda.
2.3 II terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione all’asportazione di beni dal supermercato di Paderno Dugnano contestata al capo 2), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato.
2.4 II quarto motivo di ricorso lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva dell’autocarro Iveco contestata al capo 2), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato.
2.5 II quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta documentale contestata ai capi 1 e 2), error in iudicando e carenza di motivazione con riguardo al dolo specifico.
2.6 II sesto motivo di ricorso lamenta manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in punto di trattamento sanzionatorio in relazione all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel complesso infondato e va rigettato.
2. Il ricorso ripropone in sostanza censure già sviluppate in appello. Le deduzioni svolte sono meramente reiterative, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello, che richiamano interamente la sentenza del Tribunale nel ritenere la natura distrattiva della cessione di ramo d’azienda.
Riguardo all’approccio nella valutazione del ricorso, il Collegio accede all’esegesi secondo cui il giudizio di legittimità è circoscritto alla verifica sul completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza e non può esondare dai limiti cognitivi sanciti dagli artt. 606 e 609 cod. proc. pen.,, mediante una rinnovata valutazione o rivalutazione degli elementi probatori acquisiti al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, COGNOME, Rv. 235507Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260).
Le valutazioni espresse dalla sentenza impugnata, se coerenti, sul piano logico, con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità, una volta accertato che il processo formativo del libero convincimento del giudice non ha subito il condizionamento di una riduttiva indagine conoscitiva o gli effetti altrettanto negativi d un’imprecisa ricostruzione del contenuto di una prova (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767).
Il controllo di legittimità concerne, infatti, il rapporto tra motivazione e decisione, non già il rapporto tra prova e decisione; sicché il ricorso per cassazione che devolva il vizio di motivazione, per essere valutato ammissibile, deve rivolgere le censure nei confronti della motivazione posta a fondamento della decisione, non già nei confronti della valutazione probatoria sottesa, che, in
quanto riservata al giudice di merito, è estranea al perimetro cognitivo e valutativo della Corte di Cassazione.
Quanto alla violazione di legge, è allora opportuno rilevare che il ricorrente, lungi dal delineare un vizio di legittimità, finisce per contestare il giudizio d responsabilità, ovvero il risultato probatorio cui sono approdati i giudici di primo e secondo grado che, con valutazione conforme delle medesime emergenze istruttorie, sono stati concordi nel ritenere al contrario tali elementi riscontrat nella ricostruzione della concreta vicenda processuale. Vale la pena, allora’ ribadire che il vizio di violazione di legge va dedotto contestando la riconducibilità del fatto – come ricostruito dai giudici di merito – nella fattispeci astratta delineata dal legislatore; altra cosa, invece, è, come accade sovente ed anche nel caso di specie, contestare o mettere in dubbio che le emergenze istruttorie acquisite consentano di ricostruire la condotta di cui si discute in termini idonei a ricondurla al paradigma legale, operazione, questa, che è, invece, propria del giudizio di merito (cfr., Sez. 1, 74 n. 41738 del 19/10/2011, Pmt in proc. COGNOME, Rv. 251516; Sez. 6, n. 10951 del 15/03/2006, COGNOME, Rv. 233708; Sez. 2, n. 36119 del 04/07/2017, COGNOME, Rv. 270801). Non sono perciò deducibili, in sede di legittimità, censure relative alla motivazione diverse da quelle che abbiano ad oggetto la sua mancanza, la sua manifesta illogicità, la sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali per pervenire ad una diversa conclusione del processo; sono dunque inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr., in tal senso, Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, 0., Rv. 262965; Sez. 2 , n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747). Né, per altro verso, è consentito il ricorso per cassazione che, “sub specie” della violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., finisce in realtà per fondarsi su argomentazioni che si pongono in confronto diretto con il materiale probatorio, e non, invece, sulla denuncia di uno dei vizi logici, tassativamente previsti dall’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (cfr., Sez. 6, n. 13442 del 08/03/2016, COGNOME ed altro, Rv. 266924; Sez. 6, n. 43963 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 258153). Va anche considerato che l’emersione di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nella sentenza impugnata, laddove le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di Corte di Cassazione – copia non ufficiale
motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e sulla globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (cfr., Sez. I, Sentenza n. 46566 del 21/02/2017, M. ed altri Rv. 271227). In questa ottica si collocano anche le pronunzie secondo le quali, pur a seguito della modifica apportata all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n, 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME e altri, Rv. 238215).
Tanto premesso va ad ogni modo ribadito che, nel caso di specie, si è in presenza di una “doppia conforme” di merito, ovvero di decisioni che, nei due gradi, giungano a conclusioni analoghe sulla scorta di una conforme valutazione delle medesime emergenze istruttorie, cosicché vige il principio per cui la sentenza di appello, nella sua struttura argomentativa, si salda con quella di primo grado sia quando operi attraverso ripetuti richiami a quest’ultima sia quando, per l’appunto, adotti gli stessi criteri utilizzati nella valutazione dell prove, con la conseguenza che le due sentenze possono essere lette in maniera congiunta e complessiva ben potendo integrarsi reciprocamente dando luogo ad un unico complessivo corpo decisionale (cfr., Sez. 2- , n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, 252615; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
2.1 II primo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione alla cessione di ramo di azienda della RAGIONE_SOCIALE contestata al capo 1), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato sul presupposto della risoluzione del contratto in data antecedente alla dichiarazione di fallimento, che renderebbe irrilevante l’incongruità del valore di cessione, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è generico e aspecifico e non si confronta con la sentenza impugnata.
La nozione dì distrazione è definita, dalla giurisprudenza di questa Corte, richiamando ora il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in
qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene, attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf. Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv. 260486), ora la specifica offensività insita nel distogliere attività alla loro naturale funzione di garanzia dei creditori (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, COGNOME, Rv. 233413, in motivazione) e, dunque, il fatto diretto ad impedire che un bene del fallito sia utilizzato per il soddisfacimento dei diritti della massa dei creditori (Sez. 5, n. 10220 del 19/09/1995, COGNOME, Rv. 203006). Tale ultima definizione rende ragione dell’attribuzione, nella giurisprudenza di legittimità, alla nozione di distrazione di una funzione anche residuale, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto (diverso dall’occultamento o dalla dissimulazione, distruzione, dissipazione di beni e dalla fraudolenta esposizione di passività inesistenti), determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degk organi del fallimento (Sez. 5, n. 8755 del 23/03/1988, COGNOME, Rv. 179047; conf. Sez. 5, n. 7359 del 24/05/1984, COGNOME, Rv. 165673), il che rinvia, comunque, alla definizione degli altri fatti di bancarotta delineati dalla norma incriminatrice.
Ciò premesso, osserva il Collegio che il ricorso non si confronta compiutamente con il dato saliente del prezzo vile, pari a 30.000 euro, peraltro neppure pagato, pattuito per la cessione di ramo d’azienda, a fronte di un valore del ramo d’azienda quantomeno di 264.604 euro, e con il dato per cui non può parlarsi di bancarotta riparata soltanto per l’avvenuta risoluzione della cessione, intervenuta a distanza di circa tre mesi, senza che risulti alcuna corresponsione di somme di denaro né per il periodo di vigenza del contratto né per il periodo successivo, mentre la società cessionaria, RAGIONE_SOCIALE manteneva, sine titulo, la materiale disponibilità del ramo d’azienda, non potendo ritenersi tali i contratti di affitto di ramo d’azienda inoltrati al curatore privi di data certa, mancando prova della corresponsione di corrispettivo.
La Corte di merito con motivazione, corretta ed immune da vizi logicogiuridici, premettendo che le censure formulate non contengono elementi ed argomenti diversi, già disattesi dal giudice di prime cure, alla cui motivazione precisa ed articolata si riportava integralmente, ha fatto buon governo del compendio probatorio valutando in sinergia gli elementi di prova in atti quali gli esiti degli accertamenti compiuti dal curatore sulla scorta delle scritture contabili disponibili unitamente alle ulteriori prove nonché motivando in modo puntuale e confrontandosi sulle deduzioni difensive, ritenute meramente assertive, peraltro prive di alcun supporto probatorio.
Va qui ribadito il principio di diritto per cui, nel caso di cosiddetta “doppia conforme”, il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione di un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, 1, lett. e), cod. proc. pen., solo nel caso in cui il ricorren rappresenti – con specifica deduzione – che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (così, tre le altre, Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269217; Sez. 6, Sentenza n. 21015 del 17/05/2021, Africano, Rv. 281665 – 01).
Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944).
Invero, la ricostruzione dei fatti come operata nella sentenza impugnata, in relazione alla quale -si ribadisce- questa Corte non può compiere alcuna valutazione nel merito, consente senza alcun dubbio di ricondurre la condotta dell’imputato nella fattispecie della bancarotta patrimoniale distrattiva in esame.
Nel ricorso la difesa ripropone in sostanza censure già sviluppate in appello riconducibili all’assenza dell’elemento oggettivo del reato contestato al capo 1. Le deduzioni svolte, oltre che meramente reiterative, sono infondate, non ravvisandosi vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello.
2.2 II secondo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione alla vendita di beni della società fallita contestata al capo 1), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato e alla duplicazione della condotta rispetto alla cessione di ramo di azienda, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Parimenti, analoghe considerazioni valgono quanto alla condotta distrattiva avente ad oggetto il corrispettivo delle vendite dei beni del centro commerciale, di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, effettuate dopo la risoluzione della cessione, non seguita da una effettiva retrocessione del ramo d’azienda. D’altra parte, il ricorso non si confronta con la complessiva motivazione circa la proprietà dei beni della fallita RAGIONE_SOCIALE, nei punti vendita del centr commerciale Kennedy, facenti parte del patrimonio della fallita, e venduti dalla cessionaria, RAGIONE_SOCIALE perfino in epoca successiva al fallimento, sotto le insegne della RAGIONE_SOCIALE società interamente partecipata da RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e amministrata dall’imputato, integrando tale condotta un’attività distrattiva del patrimonio sociale, considerata, altresì, la registrazione delle vendite, con registratore di cassa recante la ditta della società fallita e la partita Iva della società fallita – riscontrato dalla stessa curatrice fallimentare a distanza di tre mesi dal fallimento (vedi sentenza di primo grado) – cui avrebbe dovuto conseguire la necessaria attribuzione del ricavo alla società fallita cui erano riferibili gli scontrini fiscali, come non è stato, nonché la qualificazione di uno dei dipendenti, che operava all’interno dell’esercizio commerciale, come dipendente della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale richiama, infine, quale ulteriore indice inequivocabile, già evidenziato dal Tribunale, della condotta distrattiva dei beni di proprietà della RAGIONE_SOCIALE, quello dell’asportazione, in epoca successiva al fallimento’ prima che venisse cambiata la serratura dal curatore, di beni ed arredi presenti all’interno del magazzino del centro commerciale Kennedy, da parte di una decina di persone che venivano bloccate per l’intervento del personale vigilanza, e recuperati dalla curatela, circostanza che non sarebbe stata possibile se la proprietà di detti beni e arredi fosse stata di terzi soggetti, non riconducibili alla società fallita, che avrebbero potuto rivendicarli.
2.3 II terzo motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva in relazione all’asportazione di beni dal supermercato di Paderno Dugnano contestata al capo 2), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato in relazione al valore non determinato dei beni asseritamente asportati, che renderebbe impossibile determinare l’esistenza di un pericolo per la massa fallimentare, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo è meramente reiterativo di doglianze prospettate in appello e confutate dalla Corte di merito con motivazione congrua ed immune da vizi.
Il ricorrente richiama, nel ricorso, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui anche un bene avente valore irrisorio o esiguo, ove distaccato dal patrimonio sociale senza corrispettivo, determina un depauperamento del patrimonio sociale rilevante ai fini della bancarotta patrimoniale e sotto tale profilo la consistenza economica del bene (che comunque va valutata in sé, nel suo valore assoluto), deve essere rapportata non già alle dimensioni dell’impresa, ma all’incidenza della sottrazione sugli interessi dei creditori (Sez.5, 26.06.2023, n.1733, Rv. 33809). Ne consegue che la determinazione del valore non è necessaria e, comunque, nel caso di specie, non poteva trattarsi di merce di valore irrisorio o esiguo visto che si discute dello svuotamento completo, avvenuto nottetempo,
dei locali di vendita del supermercato gestito dalla società anche in considerazione del valore dei beni rinvenuti nel magazzino, venduti dalla curatela per l’importo di 61.000 euro.
2.4 Il quarto motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta distrattiva dell’autocarro RAGIONE_SOCIALE condotto in leasing e restituito alla curatela e da questa alla società di leasing contestata al capo 2), error in iudicando con riguardo alla ritenuta sussistenza del reato, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Il motivo non si confronta con il dato – richiamato nella sentenza impugnata e più diffusamente trattato nella sentenza di primo grado, a pag. 27 – che iV veicolo era in realtà in uso ad altre società del gruppo e che venne restituito alla società di leasing solo a seguito dell’intervento del curatore: recupero dunque successivo alla dichiarazione di fallimento, che non può escludere la distrazione o integrare la cd. bancarotta riparata.
2.5 Il quinto motivo di ricorso che lamenta violazione di legge ex art. 606 lett. b) cod. proc. pen., deducendo, quanto alla bancarotta fraudolenta documentale contestata ai capi 1 e 2), error in iudicando e carenza di motivazione con riguardo al dolo specifico, è infondato.
Deduce il ricorrente che, a fronte di una contestazione alternativa delle ipotesi di omissione / occultamento e di tenuta fraudolenta delle scritture contabili, in primo grado fosse stata ritenuta la prima mentre in appello, dove era stato censurato il profilo del dolo specifico, la Corte territoriale avrebbe sovrapposto la condotta di tenuta fraudolenta con quella di omessa tenuta, senza indagare il dolo specifico. La Corte territoriale inoltre non avrebbe motivato sul dato evidenziato nei motivi di appello per cui in entrambi i casi l’omissione di tenuta fosse coeva alla cessazione dell’attività commerciale e ciò costituirebbe indice di negligenza e non di fraudolenza. Anche tale motivo è infondato.
Dagli elementi esposti, il giudice dell’appello desume che appare evidente anche la sussistenza della prova del necessario coefficiente soggettivo del dolo specifico di arrecare pregiudizio ai creditori attraverso la condotta di sottrazione e di omessa tenuta delle scritture contabili (cfr. pag. 9 e 12 della sentenza impugnata). Il coefficiente soggettivo ricercato in concreto, in ogni caso, regge al confronto con i parametri giurisprudenziali ai quali il Collegio si è richiamato, poiché la Corte d’appello ha motivato l’attribuzione psicologica del delitto di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ed omessa tenuta della contabilità in coerenza con i caratteri del dolo specifico di recare pregiudizio ai
creditori ovvero mancata tenuta per diversi anni delle scritture contabili (al fine specifico di coprire le illecite condotte distrattive poste in essere accertare solo in parte grazie all’operato del curatore con la scarna documentazione in suo possesso e con le indagini da lui poste in essere). La Corte territoriale ha ritenuto integrata l’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione ed omessa tenuta della contabilità (dando atto in motivazione che la contabilità omessa non è in ogni caso stata messa a disposizione degli organi fallimentari), ad integrare la quale la giurisprudenza di legittimità ritiene necessario l’elemento psicologico del dolo specifico, vale a dire il fine di recare pregiudizio ai creditori che, nella specie, è stato logicamente desunto dal consapevole protrarsi del comportamento omissivo per numerosi anni – dall’estensione del comportamento omissivo certamente volontario, consapevole e finalisticamente orientato – del tutto incompatibile con la fattispecie meno grave della bancarotta semplice. Tale impostazione in diritto è corretta.
3. E’ noto che la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, 3. E’ noto che la bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, comma 1, n. 2 prevede due fattispecie alternative, quella di sottrazione o distruzione o falsificazione di libri o altre scritture contabili alla scopo di ricavarne ingius profitto o di recarne danno ai creditori, che richiede il dolo specifico, e quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904; Sez. 5, n. 26379 del 5/3/2019, COGNOME, Rv. 276650).
Quanto poi alle condotte sanzionate, mentre la prima parte dell’art. 216 comma 1 numero 2 l.f. prevede in modo alternativo la sottrazione, la distruzione o la falsificazione delle scritture, la seconda parte individua la condotta rappresentata dalla tenuta in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio, con ciò disegnando una condotta residuale. L’impossibilità cui fa riferimento la norma in questione non è certamente da intendersi in senso assoluto bensì come notevole difficoltà superabile solo con l’uso di particolare diligenza (da ultimo, Sez. 5, Sentenza n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Rv. 274455 – 01), proprio come avvenuto nel caso di specie, dove solo con la diligenza del curatore si è potuto ricostruire il passivo per un ammontare di circa oltre due milioni di euro.
Quanto all’elemento soggettivo del reato, per le condotte previste dalla prima parte della disposizione vi è la necessità di un dolo specifico, viceversa per
le ipotesi di irregolare tenuta delle scritture contabili di cui alla seconda parte, occorre il semplice dolo generico sebbene in forma intenzionale.
Tanto premesso deve annotarsi che integra il reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non quello di bancarotta semplice, l’omessa tenuta della contabilità interna, quando lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (cfr. Sez., n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020), COGNOME, Rv. 279179 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 10968 del 31/01/2023, Rv. 284304 – 01); (cfr. motivazione della sentenza COGNOME, cit., in cui si impernia la ricostruzione dell’elemento soggettivo del dolo specifico sull’attitudine del dato ad evidenziare la finalizzazione del successivo comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali .).
Nel caso di specie, con riferimento alla RAGIONE_SOCIALE, il capo di imputazione deve ritenersi riferito alla prima ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale, essendovi richiamo al dolo specifico ed essendo indicata la mancata consegna di ogni tipo di documentazione, non diversamente deponendo l’ulteriore riferimento all’impossibilità della curatela di ricostruire il patrimonio e movimento egli affari (si comprende dalla sentenza di primo grado che il curatore poté usufruire solo dei bilanci depositati fino all’anno 2012 e che persino l’esistenza di alcune sedi operative era emersa solo a seguito delle insinuazioni al passivo fallimentare), connaturata alla stessa mancata messa a disposizione della contabilità.
Alla stessa conclusione deve pervenirsi per la contestazione relativa alla RAGIONE_SOCIALE sebbene l’omessa consegna riguardi in questo caso il periodo successivo al 31/12/2012, stante l’analogo riferimento al dolo specifico e non venendo evidenziati artifici legati alla parte della documentazione esistente.
E sul dolo specifico, necessario rispetto alle contestazioni, la Corte territoriale ha motivato, richiamando il fine di coprire l’accertamento delle illecite distrazioni realizzate, solo parte delle quali è stato possibile scoprire grazie all’intervento del curatore. Si tratta d’altra parte di società con deficit fallimentar elevati, oltre 1.500.000 euro la RAGIONE_SOCIALE e 4.360.000 euro la RAGIONE_SOCIALE di euro (cfr. sentenza di primo grado) ed una operatività chiaramente irregolare con sovrapposizione di più soggetti giuridici ed evidenti condotte di dismissione del patrimonio sociale perfino successive alle dichiarazioni di fallimento. Dati che complessivamente denotano in modo più che congruo la
fraudolenza richiesta per l’ipotesi di bancarotta contestata. Si rileva da ultimo che può integrare la bancarotta fraudolenta documentale anche l’omessa tenuta della contabilità nella fase finale della vita dell’impresa (Cass. Sez. 5, n. 39808 del 23/09/2022, Rv. 283801 – 01), in disparte la circostanza che non risulta che sia questo il caso per la RAGIONE_SOCIALE, per cui come detto non fu consegnata alcuna documentazione contabile, e neanche per la RAGIONE_SOCIALE, posto che l’omissione riguarda il periodo dall’1/1/2013 alla data del fallimento, 1/7/2014 e che, per come si evince dalle vicende relative al trafugamento della merce dai locali di vendita del supermercato di Paderno Dugnano, l’attività era in essere all’epoca del fallimento (cfr. anche pagg. 23-24 della sentenza di primo grado).
2.6 II sesto motivo di ricorso che lamenta manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 lett. e) cod. proc. pen., in punto di trattamento sanzionatorio in relazione all’omesso riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche laddove non valorizza l’elemento della collaborazione con il curatore, è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Come noto, in tema di circostanze attenuanti generiche, il giudizio di fatto espresso dal giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità, purché la motivazione non sia contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, Rv. 271269-01). Si è anche chiarito (Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021 dep. 2022, Rv. 282693 – 01) che, ai fini del diniego delle attenuanti generiche, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente il riferimento a que ritenuti decisivi o comunque rilevanti, purché la valutazione di tale rilevanza tenga conto, a pena di illegittimità della motivazione, delle specifiche considerazioni mosse sul punto dall’interessato.
Il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente giustificato con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo (Cass. III, n. 44071/2014), posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, sicché la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. L’applicazione delle circostanze
attenuanti generiche, d’altra parte, non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle stesse (Sez. 3, n. 24128 del 18/3/2021, Rv. 281590; conf. Sez. 1, n. 3529 del 1993, Rv. 195339-01; Sez. 2 , n. 9299 del 07/11/2018, dep. 2019, Rv. 275640 – 01).
D’altra parte, le circostanze attenuanti generiche non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, che presentino, pur sempre, connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una più incisiva, particolare considerazione ai fini della quantificazione della pena (cfr. Cass. Pen., Sez. VI, 14.01.1999, n.2642; Cass. Pen., Sez. VI, 28.05.1999, n.8668).
Nella specie, la motivazione offerta dalla Corte territoriale in punto di diniego del riconoscimento delle attenuanti generiche rapportata alla condotta complessivamente realizzata dal ricorrente rispettivamente quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE e quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, nella parte in cui tratta il tema del ruolo del ricorrente d amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE, che, dopo i primi incontri con il curatore, si è reso irreperibile, e dunque alla valutazione complessiva non positiva in termini di collaborazione, rilevando l’assenza di “meriti processuali o extraprocessuali” dell’imputato, in presenza di molteplici fatti di bancarotta di non indifferente gravità, per l’entità delle distrazioni, e dell’incapacità di percorrere una, pur limitata, strada riparatoria: motivazione più che congrua alla luce della giurisprudenza sopra richiamata, alla valutazione compiuta dai giudici di prime cure ed alla mancanza di elementi positivi tali da potere giustificare il riconoscimento del chiesto beneficio, è corretta ed immune da vizi.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetto il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 11/10/2024.