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Bancarotta fraudolenta impropria: la Cassazione

L’amministratore di una società è stato condannato per bancarotta fraudolenta impropria e documentale per averne causato il dissesto omettendo sistematicamente il versamento di contributi e imposte, e per aver occultato le scritture contabili. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, specificando che per la configurazione del reato è sufficiente la consapevolezza del rischio di fallimento (dolo generico), senza la necessità di un’intenzione specifica di causarlo. La giustificazione della perdita accidentale della documentazione è stata ritenuta infondata.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta Impropria: Quando il Debito Fiscale Causa il Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5236 del 2025, si è pronunciata su un caso di bancarotta fraudolenta impropria, offrendo chiarimenti cruciali sulla responsabilità penale degli amministratori. La decisione sottolinea come il sistematico inadempimento delle obbligazioni fiscali e previdenziali possa integrare il reato, anche senza l’intenzione diretta di provocare il fallimento dell’azienda. Questo principio rafforza il dovere di una gestione aziendale prudente e consapevole delle conseguenze delle proprie scelte.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore unico e liquidatore di una società cooperativa, condannato in primo e secondo grado per i reati di bancarotta fraudolenta documentale e impropria. Le accuse si basavano su due condotte principali:

1. Occultamento delle scritture contabili: L’amministratore aveva nascosto i libri contabili con lo scopo di danneggiare i creditori.
2. Cagionamento del dissesto: Aveva contribuito al fallimento della società accumulando ingenti debiti previdenziali ed erariali. La scelta consapevole di non versare contributi e imposte, preferendo pagare dipendenti e fornitori per proseguire l’attività, aveva portato a un’esposizione debitoria di oltre 450.000 euro, a fronte di un passivo totale di circa 500.000 euro.

La difesa dell’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che le sue azioni non fossero finalizzate a causare il fallimento, ma a tentare di mantenere in vita l’attività imprenditoriale. Chiedeva, pertanto, la riqualificazione dei reati in bancarotta semplice, una fattispecie meno grave. Per la bancarotta documentale, l’imputato aveva addotto una distruzione accidentale dei registri, tesi non accolta nei precedenti gradi di giudizio.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Bancarotta Fraudolenta Impropria

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato in entrambi i motivi. Ha confermato integralmente la sentenza della Corte d’Appello, solidificando un orientamento giurisprudenziale consolidato. I giudici hanno stabilito che le sentenze di primo e secondo grado, essendo concordi nell’analisi delle prove, formano un unico corpo argomentativo, rendendo la motivazione della sentenza d’appello pienamente valida.

Analisi della Bancarotta Fraudolenta Documentale

Per quanto riguarda la bancarotta documentale, la Corte ha ribadito che la giustificazione della perdita accidentale dei libri contabili era priva di qualsiasi riscontro probatorio. Inoltre, l’assenza di documentazione contabile si estendeva anche a periodi non interessati dal presunto evento accidentale. Questa mancanza generalizzata di documentazione, anche informale, che potesse attestare una condotta diligente, ha portato i giudici a escludere il caso fortuito e a confermare la sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta documentale.

Le motivazioni

Il cuore della sentenza risiede nella motivazione sulla bancarotta fraudolenta impropria. La Corte ha chiarito che, per la configurazione di questo reato, non è necessario il dolo specifico, ovvero l’intenzione diretta di causare il fallimento. È sufficiente il dolo generico, che consiste nella consapevolezza di porre in essere operazioni rischiose per la salute finanziaria della società, accettando il rischio che da esse possa derivare il dissesto.

L’inadempimento sistematico, protratto ed esteso delle obbligazioni contributive e fiscali è stato qualificato come un’operazione dolosa ai sensi dell’art. 223 della legge fallimentare. Questa condotta, pur non essendo direttamente distrattiva del patrimonio sociale, crea o aggrava una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, conduce al fallimento. L’amministratore, scegliendo di non pagare lo Stato per finanziare l’operatività corrente, ha posto in essere una scelta gestionale consapevole i cui esiti negativi erano ampiamente prevedibili, data l’ampiezza e la sistematicità del fenomeno. La Corte ha ritenuto tale condotta intrinsecamente pericolosa e sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del reato.

Le conclusioni

La sentenza consolida un principio di fondamentale importanza per gli amministratori di società. La gestione aziendale non può prescindere dal rispetto degli obblighi fiscali e contributivi. La scelta di non adempiere a tali obblighi, anche se motivata dalla volontà di salvaguardare l’attività e i posti di lavoro, costituisce un’operazione dolosa che espone a responsabilità penale per bancarotta fraudolenta impropria. La prevedibilità del dissesto diventa il criterio chiave per valutare la condotta dell’amministratore. Di conseguenza, non è possibile invocare l’assenza di un’intenzione fraudolenta quando si compiono scelte gestionali che, con alta probabilità, porteranno la società al collasso finanziario.

Quando l’omesso versamento di imposte e contributi integra la bancarotta fraudolenta impropria?
Quando tale inadempimento è sistematico, protratto nel tempo e frutto di una scelta gestionale consapevole che aumenta l’esposizione debitoria della società in modo tale da rendere prevedibile il suo dissesto. Non si tratta di una semplice omissione, ma di una vera e propria operazione dolosa.

È necessario avere l’intenzione specifica di far fallire la società per essere condannati per bancarotta fraudolenta impropria?
No, la sentenza chiarisce che non è necessario il dolo specifico (l’intenzione di causare il fallimento). È sufficiente il dolo generico, ovvero la consapevolezza di compiere operazioni pericolose per la stabilità finanziaria dell’azienda, accettando il rischio che queste possano condurre al fallimento.

Come viene valutata la difesa basata sulla distruzione accidentale dei documenti contabili?
La Corte la considera infondata se non è supportata da alcun riscontro documentale. Inoltre, la mancanza di scritture contabili anche per periodi non interessati dal presunto incidente, unita all’assenza di qualsiasi altra documentazione che attesti una gestione diligente, rende la tesi della perdita accidentale non plausibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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