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Bancarotta fraudolenta impropria: il falso in bilancio

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta fraudolenta impropria e distrattiva a un amministratore di una cooperativa. La sentenza chiarisce che il falso in bilancio, volto a nascondere le perdite per evitare la liquidazione, integra il reato quando aggrava il dissesto, anche se l’amministratore agisce per salvare l’azienda. I prelievi di cassa con causali generiche sono considerati distrazione se non giustificati specificamente.

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Pubblicato il 15 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta fraudolenta impropria: quando il falso in bilancio causa il fallimento

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha riaffermato principi cruciali in materia di reati fallimentari, in particolare riguardo alla bancarotta fraudolenta impropria derivante da falso in bilancio. La decisione sottolinea come la falsificazione dei dati contabili per nascondere perdite e protrarre l’attività di un’impresa già in crisi costituisca un reato, anche quando l’amministratore agisce con l’intento di salvare l’azienda e i posti di lavoro. Analizziamo i dettagli di questo caso emblematico.

I Fatti di Causa

Il Presidente del Consiglio di Amministrazione di una società cooperativa veniva condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta distrattiva e impropria. Le accuse erano gravi: da un lato, la distrazione di oltre 250.000 euro tramite prelievi annotati con causali generiche e non giustificate (come “acconto mensilità” o “ricarica carta prepagata”); dall’altro, l’alterazione del bilancio del 2011 per nascondere perdite significative e far apparire il patrimonio netto in attivo. Questo artificio contabile, basato sulla registrazione di proventi inesistenti per oltre 500.000 euro, aveva permesso di omettere la convocazione dell’assemblea dei soci per la necessaria ricapitalizzazione, prolungando così l’agonia di una società già di fatto insolvente, che sarebbe poi fallita nel 2013.

Il ricorso per Cassazione e le argomentazioni della difesa

L’amministratore ricorreva in Cassazione, contestando le accuse. Sosteneva che i prelievi non fossero distrazioni, ma spese vive legate alla gestione aziendale (carburante, vitto, cancelleria), documentate da fatture e scontrini. Riguardo alla bancarotta fraudolenta impropria, la difesa attribuiva l’errore contabile a una scelta della società di consulenza esterna. Si affermava che l’iscrizione in bilancio del presunto credito, seppur non ancora esigibile, non avesse arrecato un reale danno alla società, già in crisi da anni. L’imputato, inoltre, sosteneva di aver sempre agito in buona fede, nel tentativo di ottenere l’adeguamento dei compensi da parte del principale committente e di salvaguardare i posti di lavoro dei soci lavoratori, ottenendone persino la stabilizzazione presso la Pubblica Amministrazione.

La responsabilità per la distrazione di fondi

La Corte ha respinto le argomentazioni difensive. Per quanto riguarda la distrazione, i giudici hanno ribadito un principio consolidato: una volta provato che i fondi societari sono entrati nella disponibilità dell’amministratore, spetta a quest’ultimo dimostrarne la legittima destinazione. Le causali generiche come “da rendicontare” sono del tutto insufficienti a giustificare prelievi massicci, soprattutto a fronte di un compenso mensile per l’amministratore di soli 250 euro. La tardiva produzione di documenti giustificativi non è stata ritenuta idonea a scalfire il quadro accusatorio.

Il nesso tra falso in bilancio e bancarotta fraudolenta impropria

Il punto centrale della sentenza riguarda la bancarotta fraudolenta impropria. La Cassazione ha chiarito che il reato si configura quando le false comunicazioni sociali (il falso in bilancio) consentono di prolungare l’attività d’impresa, occultando le perdite e rinviando interventi necessari come la ricapitalizzazione o la messa in liquidazione. Questa condotta, di fatto, aggrava il dissesto, accumulando ulteriori perdite a danno dei creditori.

Le motivazioni

La Corte ha evidenziato che l’amministratore era pienamente consapevole della grave situazione economica della cooperativa, in perdita sin dal 2004. L’operazione di maquillage contabile, avvenuta nel 2011, aveva lo scopo preciso di presentare una situazione patrimoniale non veritiera per evitare le drastiche conseguenze previste dal codice civile in caso di perdita del capitale sociale. Consentire alla società di continuare a operare in uno stato di persistente squilibrio economico integra il dolo del reato, che consiste nella consapevolezza di prolungare l’esercizio d’impresa in tali condizioni, aggravandone l’insolvenza. Le presunte buone intenzioni dell’amministratore, come la stabilizzazione dei lavoratori, non sono state considerate sufficienti a escludere la sua responsabilità penale, poiché la condotta illecita aveva comunque prodotto un danno per la massa dei creditori.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce due principi fondamentali per gli amministratori di società. In primo luogo, la gestione del denaro aziendale richiede la massima trasparenza: i prelievi personali devono essere meticolosamente giustificati e documentati. In secondo luogo, e ancora più importante, il bilancio deve rappresentare la realtà economica dell’azienda. Artifici contabili volti a nascondere una crisi sono non solo illeciti, ma possono integrare il grave reato di bancarotta fraudolenta impropria se contribuiscono a peggiorare il dissesto, con conseguenze penali significative per chi li pone in essere.

Quando un prelievo di cassa da parte dell’amministratore è considerato distrazione?
Secondo la sentenza, quando un bene della società (come il denaro) entra nella disponibilità dell’amministratore, si presume la distrazione se l’amministratore stesso non fornisce la prova di avergli dato una destinazione legittima e coerente con gli interessi dell’impresa. Causali generiche e non documentate non sono sufficienti a vincere questa presunzione.

Commettere un falso in bilancio per evitare la liquidazione di una società è reato di bancarotta?
Sì, integra il reato di bancarotta fraudolenta impropria. La Corte ha stabilito che alterare i dati di bilancio per nascondere perdite e far apparire una situazione patrimoniale migliore del reale, al fine di evitare la liquidazione o la ricapitalizzazione, costituisce reato se tale condotta consente la prosecuzione dell’attività e provoca un aggravamento del dissesto, accumulando ulteriori perdite.

L’amministratore può evitare la condanna per falso in bilancio incolpando il consulente contabile?
No. La sentenza chiarisce che la responsabilità penale per le false comunicazioni sociali ricade sull’amministratore, il quale ha il dovere di vigilare sulla corretta tenuta delle scritture contabili e sulla veridicità dei dati esposti in bilancio. L’eventuale errore del consulente non esime l’amministratore dalle sue responsabilità, soprattutto se, come nel caso di specie, l’operazione contabile era funzionale a un obiettivo illecito (occultare le perdite).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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