Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 5960 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 5960 Anno 2024
RAGIONE_SOCIALE: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Lucca il DATA_NASCITA, avverso la sentenza della Corte di appello di Genova in data 15/02/2023; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito, per la parte civile, l’AVV_NOTAIO, che ha depositato conclusioni scritte e nota spese; udito, per l’imputato, l’AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del Tribunale di Massa in data 30 ottobre 2018, NOME COGNOME fu condannato alla pena di 4 anni di reclusione in quanto riconosciuto colpevole, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 1, legge fall. e riconosciuto il concorso tra i reati contestati ai sensi dell’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., del delitto previsto dall’art. 216, comma 1, n. 1, r.d. n. 267 d 1942, per avere distratto – nella sua carica di amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE e di amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE la somma di 178.403,00 euro mediante pagamento alla COGNOME di un credito derivante da fatture emesse dalla stessa COGNOME nei confronti di NOME, credito in precedenza ceduto da COGNOME a RAGIONE_SOCIALE (cessione accettata da RAGIONE_SOCIALE e “mai rilevata contabilmente”), ma senza che il credito della COGNOME venisse diminuito dell’importo effettivamente versato (capo 1C). Con lo stesso provvedimento, COGNOME fu prosciolto dai reati ascrittigli ai capi 1), 1A), B), D), E), F), 3) e 4), perché il fatto non sussiste e reati di cui ai capi 5) e 7), perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
Con sentenza in data 15 febbraio 2023, la Corte di appello di Genova, in parziale riforma della sentenza di primo grado, esclusa l’aggravante della cd. continuazione fallimentare di cui all’art. 219 legge fall. (attesa la natura di reato a condotta eventualmente plurima della bancarotta fraudolenta patrimoniale), ha ridotto la pena inflitta all’imputato a 3 anni e 6 mesi di reclusione e, nella misura corrispondente, la durata delle pene accessorie di cui all’art. 216, ultimo comma, legge fall., confermando nel resto le precedenti statuizioni, ivi compresa la mancata applicazione delle attenuanti generiche, tenuto conto della gravità del fatto e della capacità a delinquere dell’imputato, anche alla luce dei precedenti penali specifici.
2.1. All’esito del giudizio di merito, COGNOME è stato ritenuto responsabile del pagamento da parte di NOME di 306.403 euro (compiuto in relazione alle fatture n. 165, n. 17 e n. 80) in adempimento di un credito verso la RAGIONE_SOCIALE, che quest’ultima aveva ceduto, nel 2005, alla società di factoring RAGIONE_SOCIALE e che, dunque, la società debitrice avrebbe comunque dovuto pagare ex art. 1264 cod. civ. al nuovo creditore, il quale aveva presentato istanza, poi non accolta, di ammissione al passivo (capo 1C). Ai fini dell’affermazione di responsabilità sono stati valorizzati: la lettera del 31 maggio 2010, con cui RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE i tempi di pagamento delle fatture; il conto mastro del 2010 recante le annotazioni relative alle tre fatture menzionate, nonché, a riscontro, le ricevuta di un bonifico, la copia della matrice di un assegno circolare emesso in data coincidente con quella dell’annotazione sul libro; due assegni circolari di pagamento alla De/ca. Quanto al pericolo di lesione della garanzia patrimoniale dei creditori, la sentenza di appello ha posto in luce che lo stato di futuro dissesto era individuabile già nel secondo semestre del 2009, pur non essendo già emerso finanziariamente; e che, ai fini della sussistenza del reato, non è necessario un nesso causale tra i fatti distrattivi e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse a impieghi estranei alla sua attività.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione lo stesso COGNOME per mezzo del difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Con il primo motivo, il ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione – anche sub specie di un travisamento della prova – in relazione alla effettiva riferibilità dei pagamenti alle fatture cedute dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE, con violazione del canone di giudizio “al di là di ogni ragionevole dubbio” con riguardo all’affermazione di responsabilità del ricorrente.
La Corte di appello sarebbe incorsa in un travisamento della prova in relazione al fatto che, con il contratto di factoring, non fossero stati ceduti tutti i crediti de RAGIONE_SOCIALE nei confronti di NOME, come dimostrato dal mastro contabile NOME, sottoconto COGNOME gennaio-maggio 2010, attestante i pagamenti della fattura n. 1171 del 31 dicembre 2009 dell’importo di 403.502,00 euro in relazione a “prestazioni di servizi accessori di cui al contratto di appalto del 25.01.2008”, non oggetto di cessione in quanto emessa successivamente al contratto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE e per la quale risulterebbero corrisposti alla COGNOME 100mila euro in data 7 gennaio 2010, 100mila euro in data 2 febbraio 2010, 50mila euro in data 17 febbraio 2010, 35mila euro in data 17 febbraio 2010 e 39.502 euro in data 18 febbraio 2010. Lo stesso Pubblico ministero avrebbe prodotto varie fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE mai cedute a RAGIONE_SOCIALE (come la fattura n. 951 del 30 settembre 2009 per un importo di 600nnila euro; la fattura n. 281 del 17 maggio 2010 per un importo di 62.095 euro). Dunque, la RAGIONE_SOCIALE avrebbe effettuato pagamenti a COGNOME non riferibili alle fatture in contestazione; sicché non sarebbe possibile, al di là di ogni ragionevole dubbio, imputare con certezza un dato pagamento proprio a una delle fatture cedute a RAGIONE_SOCIALE.
Raffrontando le annotazioni presenti sui conti mastri e quelle di bonifici e assegni circolari, il Giudice di merito avrebbe compiuto una valutazione atomistica e parcellizzata degli elementi di prova. L’inattendibilità del conto mastro delle RAGIONE_SOCIALE, compilato ex post da soggetti diversi dagli amministratori dell’epoca, sarebbe certificata dalla documentazione aggiuntiva prodotta dal pubblico ministero, attestante che rispetto all’importo di 306.403,00 euro contestato al capo 1C) dell’imputazione, calcolato sulla scorta del conto mastro, il riscontro era limitato a soli 178.403,00 euro, sicché per i restanti 128.000,00 il conto mastro sarebbe del tutto inattendibile. Tanto è vero che 93.341,00 euro, che secondo il mastro contabile sarebbero stati riferibili alla “ft. n. 17”, “all’esame globale degl elementi” a disposizione sarebbero stati corrisposti alla RAGIONE_SOCIALE; e
che 31.659,00 euro riferibili – secondo il mastro contabile – alla “ft. n. 80”, non risulterebbero essere stati neanche pagati.
I Giudici di merito sarebbero incorsi in un evidente travisamento probatorio posto che nessuno dei pagamenti presenterebbe un puntuale riferimento alle fatture indicate, né gli stessi risulterebbero mai coprire l’ammontare complessivo della fattura a cui (secondo il mastro contabile) sarebbero riferiti. Non si vedrebbe la ragione per cui la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto, a fronte dell’emissione, in data 18 febbraio 2010, di n. 6 assegni circolari (di 20.000 euro ciascuno) per l’importo complessivo di euro 120.000,00 in favore della COGNOME, destinarne solo 18.403,00 al pagamento della fattura n. 17, che aveva un importo di euro 111.744,00. Né perché i due assegni da 50.000,00 e 20.000,00 euro emessi in favore di COGNOME in data 23 febbraio 2010, dovrebbero essere con certezza imputati al pagamento della fattura n. 80 che aveva un importo di euro 385.000,00. Semmai, sarebbe stato più logico che quei 70mila euro rappresentassero il fisiologico prosieguo dei pagamenti del febbraio 2010 della fattura n. 1171 del 31 dicembre 2009 tra NOME ed NOME, non oggetto di cessione a RAGIONE_SOCIALE, al cui saldo mancavano circa 79mila euro. Né si comprende la ragione per la quale nell’unico caso in cui l’attestazione di pagamento contiene un esplicito riferimento al suo oggetto – il bonifico di euro 90.000,00 – lo stesso è stato manifestamente contraddetto, pretendendo di imputarlo al pagamento della sola fattura n. 165, tramutando apoditticamente in singolare un pagamento che era stato specificamente declinato al plurale, “fatture”.
Inoltre, la Corte incorrerebbe in un ulteriore travisamento quando pretenderebbe di indicare le tre fatture cui si riferiscono i pagamenti per cui è condanna, come “tutte attinenti a prestazioni di servizi accessori di cui al contratto di appalto del 25.01.2008”. Tale oggetto, tuttavia, risulta riferibile alla sola fattur n. 165, posto che la n. 17 riguarda “servizi resi presso Vs. uffici da ns. personale amministrativo nell’anno 2009 (n. 2 persone)”, mentre la n. 80 è relativa a “Vs. dare per smaltimento/recupero rifiuti come da contratto”, ossia un’attività che niente ha a che fare con l’appalto per la realizzazione dell’impianto, essendo conseguente all’avvio dell’attività e al funzionamento dello stesso.
Ancora: l’analisi della lettera del 31 maggio 2010 con cui il RAGIONE_SOCIALE di NOME NOME COGNOME comunicava alla RAGIONE_SOCIALE il programma di pagamento delle fatture cedute dalla RAGIONE_SOCIALE, definendo un crono-programma di pagamento nel quale venivano indicate come ancora da pagare (tra le altre) sia la fattura n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO che la fattura n. NUMERO_DOCUMENTO/NUMERO_DOCUMENTO, dimostrerebbe che le indicazioni contenute nel mastro contabile – circa il preteso pagamento di 18.403 euro del 18.02.2010 della fattura n. 17 e di 50.000 e 20.000 euro del 23.02.2010 della fattura n. NUMERO_DOCUMENTO – sono il frutto di un errore. Secondo la Corte d’appello, tuttavia, gli importi sarebbero di molto superiori alla cifra di 178.403,00 euro, ovvero l’importo globale delle fatture
cui sono stati imputati i pagamenti e anche le fatture sarebbero indicate in numero maggiore, per cui non sussisterebbe la contraddizione rilevata dalla difesa secondo cui vi sarebbe in detta lettera l’impegno a pagare entro luglio 2010 fatture già saldate a febbraio 2010. In realtà, gli importi delle fatture n. 17 e n. 80 – che, secondo l’impugnata sentenza, sarebbero state “già saldate a febbraio 2010” erano stati integralmente riportati (111.744 e 385.000 euro), sicché il RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE dava espressamente atto di come, a quella data, non fosse avvenuto alcun pagamento (neanche parziale) di dette fatture, come erroneamente sarebbe stato riportato in contabilità. Il documento prodotto dall’accusa, quindi, non dimostrerebbe pagamenti (anche solo parziali) delle fatture in questione, ma fornirebbe la prova diretta dell’assenza degli stessi alla data del 31 maggio 2010, dimostrando l’inattendibilità del mastro contabile.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorso censura, ex art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione dell’art. 216, comma 1 n. 1, r.d. n. 267 del 1942, nonché la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla sussistenza del fatto tipico.
Anche ammettendo che i pagamenti fossero riferibili alle fatture cedute alla società di factoring, essi non sarebbero stati idonei a incidere sulle garanzie dei creditori, né ad arrecare un concreto pericolo per l’integrità del patrimonio dell’impresa. Ciò in quanto il pagamento rappresentava il doveroso adempimento, da parte di NOME, di un debito commerciale contratto con la RAGIONE_SOCIALE per la realizzazione di un’iniziativa imprenditoriale “vantaggiosa e sostenibile”, in un momento in cui, come precisato dalla stessa Corte di appello, il dissesto “non si era ancora evidenziato finanziariamente” (cfr. pag. 15 dell’impugnata sentenza). Né le risorse sarebbero state destinate a impieghi estranei all’attività di impresa.
Inoltre, la Corte avrebbe considerato che non vi sarebbe stata ‘duplicazione’ del pagamento delle fatture cedute a RAGIONE_SOCIALE, che essa non avrebbe richiesto, non venendo ammessa al passivo fallimentare in quanto il credito chirografario sarebbe stato inesistente. Peraltro, la società di factoring sarebbe stata ammessa, trattandosi di una cessione di credito che “poteva essere pro so/vendo”, al passivo del concordato della RAGIONE_SOCIALE per una somma pari a euro 2.445.030,25. Dunque, la Corte d’appello avrebbe dovuto verificare come i pagamenti delle fatture da parte di NOME nei confronti di NOME non avevano portato a una diminuzione del patrimonio sociale, essendo risultata la cessione pro so/vendo delle fatture n. 17, 80 e 165 del 2010 di NOME, per la posizione della RAGIONE_SOCIALE, tamquam non esset.
Pertanto, le condotte contestate non potevano essere considerate distrattive, non avendo l’agente destinato le risorse della RAGIONE_SOCIALE a usi estranei all’attività sociale e non avendo esse determinato un depauperamento del patrimonio
societario manifestatosi al momento del dissesto, con danno per la massa dei creditori.
Né le condotte contestate avrebbero messo in concreto pericolo le ragioni creditorie, richiedendo la giurisprudenza di legittimità che la condotta sia valutata nel contesto complessivo dei fattori che hanno condotto l’impresa alla decozione, nella prospettiva quanto meno di un aggravamento del dissesto, non avendo avuto le condotte, nel caso in esame, alcuna incidenza sulle sorti dell’impresa, considerato il debito di soli 178.000 euro relativo a una prestazione commerciale.
La Corte, in conclusione, avrebbe omesso di stabilire se concretamente la condotta abbia effettivamente inciso sugli equilibri finanziari dell’impresa, creando una situazione di pericolo per la massa dei creditori.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla commisurazione della pena e alla mancata applicazione delle attenuanti generiche.
3.3.1. La Corte avrebbe omesso di confrontarsi con quanto dedotto con l’atto di appello in ordine al carattere sproporzionato della risposta sanzionatoria, omettendo un’analisi della vicenda nel suo complesso e del ruolo in concreto svolto dall’imputato, che avrebbe dovuto portare a un trattamento prossimo al minimo edittale.
3.3.2. Quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, la Corte avrebbe dovuto tenere conto di come l’originaria prospettazione accusatoria muovesse da un quadro ben più grave per quanto concerne la quantità e l’ammontare delle distrazioni contestate ei I coinvolgimento di un considerevole numero di responsabili del fallimento della RAGIONE_SOCIALE. La Corte ha dimenticato che le cessioni del credito non furono eseguite da COGNOME in autonomia, ma vennero approvate dal presidente COGNOME COGNOME sotto l’egida del RAGIONE_SOCIALE . e del RAGIONE_SOCIALE. Infine i due precedenti penali non avevano a che fare con iI processo, ma erano, il primo, di gran lunga risalente (1995) e il secondo relativo a condotte depenalizzate dopo la modifica dell’art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000. Né sarebbe stato valorizzato che COGNOME ( attraverso una condotta processuale esemplare, avrebbe dimostrato l’infondatezza del quadro accusatorio; né che le condotte per cui è condanna non avrebbero recato un concreto pregiudizio ai creditori.
In data 12 dicembre 2023 è pervenuta in Cancelleria una memoria a firma dell’AVV_NOTAIO, quale rappresentate e procuratore speciale della costituita parte civile RAGIONE_SOCIALE, con la quale è stata prodotta copia della sentenza n. 55352/2018 della Corte di cassazione, che ha dichiarato inammissibili i ricorsi proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME avverso la sentenza di
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secondo grado che li aveva condannati per il delitto previsto dall’art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000. In detta pronuncia, infatti, si riporterebbe la circostanza che, per anni, RAGIONE_SOCIALE (e, per essa, NOME COGNOME) aveva emesso fatture per operazioni inesistenti per valersene come mezzi di finanziamento attraverso lo strumento dell’anticipo bancario; fatture che, in quel procedimento, erano state emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, che negli anni le aveva registrate nei propri libri fiscali, utilizzandole per la proprie dichiarazioni. Tale vicenda sarebbe rilevante anche per il presente procedimento, considerato che la RAGIONE_SOCIALE (rappresentata da COGNOME) e la RAGIONE_SOCIALE (rappresentata da COGNOME) erano le due socie della RAGIONE_SOCIALE; che i due rappresentanti delle predette società COGNOME e COGNOME erano amministratore delegato e presidente del consiglio di RAGIONE_SOCIALE della nuova società; che il presente procedimento vedeva imputati, oltre a COGNOME, anche COGNOME e COGNOME, che in entrambi i procedimenti COGNOME avrebbe provveduto a finanziare la propria impresa (la RAGIONE_SOCIALE) attraverso prassi illecite rese possibili dal doppio ruolo rivestito come legale rappresentante del creditore e amministratore delegato del debitore.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
Il primo motivo, con cui la difesa intende smentire la riferibilità dei pagamenti operati dalla RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE ai crediti ceduti, documentati dalle fatture nn. 17, 165 e 80, è infondato.
Le sentenze impugnate, con motivazioni conformi destinate a integrarsi reciprocamente, hanno evidenziato, in primo luogo, gli elementi documentali attestanti, da un lato, che i crediti della RAGIONE_SOCIALE oggetto dei pagamenti da parte di RAGIONE_SOCIALE erano tra quelli compresi nel contratto di factoring tra la prima società e la RAGIONE_SOCIALE; e, dall’altro lato, che la RAGIONE_SOCIALE era a conoscenza della avvenuta cessione e che, anzi, l’aveva finanche accettata formalmente.
A tal fine, infatti, le due sentenze di merito hanno richiamato la lettera del 31 maggio 2010 (affogliata al n. NUMERO_DOCUMENTO della perizia del prof. COGNOME) con cui RAGIONE_SOCIALE aveva comunicato a RAGIONE_SOCIALE e a RAGIONE_SOCIALE i tempi di pagamento delle fatture in questione, specificamente indicate come la n. 165 del 26 marzo 2020 pari a 137.016 euro; la n. 17 del 31 gennaio 2010, pari a 111.744 euro e la n. 80 del 18 febbraio 2010, pari a 385.000 euro.
Indi, sono stati passati in rassegna gli elementi di conferma dell’ipotesi accusatoria, costituiti: quanto alla fattura n. 165, dal conto mastro n. 36008 del 2010 della RAGIONE_SOCIALE riferito alla RAGIONE_SOCIALE, recante annotazioni relative a tale fattura per 90.000 euro e per 1.816 euro alla data del 15 settembre 2010 e,
al contempo, la ricevuta di un bonifico effettuato in pari data da RAGIONE_SOCIALE in favore di RAGIONE_SOCIALE del medesimo importo; quanto alla fattura n. 17, dalla copia della matrice dell’assegno circolare n. 5.912.443.739-07 di 20.000 euro del 18 febbraio 2020 in favore di RAGIONE_SOCIALE e dal conto mastro n. 36008 della RAGIONE_SOCIALE riferito alla RAGIONE_SOCIALE recante annotazioni per 18.403 euro nella stessa data dell’assegno; quanto alla fattura n. 80 di euro 385.000, dal conto mastro n. 36008 della RAGIONE_SOCIALE riferito alla RAGIONE_SOCIALE e recante annotazioni relative a tale fattura per 70.000 euro in data 23 febbraio 2010, riscontrate dalle matrici di due assegni circolari nn. 5.912.443.745-00 e 5.911.664.655-00 dell’importo rispettivamente di 50.000 euro e di 20.000 euro in favore di RAGIONE_SOCIALE del 23 febbraio 2010.
Dunque, la sentenza impugnata, incrociando i dati contenuti nel conto mastro con la data riportata dagli assegni, ha ritenuto, in maniera del tutto logica, che i pagamenti realizzati mediante la consegna dei titoli di credito dovessero essere riferibili ai crediti già ceduti, tenuto conto della sostanziale coincidenza delle date riportate nel conto mastro con ‘quelle esposte nei titoli di credito, pur essendo i pagamenti riferiti alle fatture n. 17 e n. 80 avvenuti, mediante assegni circolari, per un importo complessivamente inferiore all’ammontare delle fatture.
A confutazione di tale ricostruzione, la difesa, come detto, ha però richiamato il contenuto della missiva del presidente di RAGIONE_SOCIALE del 31 maggio 2010, che conteneva un riferimento alle fatture nn. 80 e 165, individuando le modalità rateali del relativo pagamento, prevedendo il pagamento di 4 rate mensili a partire dal luglio 2010. Dal momento che, ove le fatture fossero state già pagate, un tale riferimento sarebbe stato incomprensibile, il ricorso ripropone la tesi, già avanzata con l’atto di appello, secondo cui i dati forniti dalle scritture contabili, attestanti pagamento delle fatture in data antecedente, sarebbero inattendibili.
Sul punto, la Corte di appello ha, tuttavia, fornito una motivazione priva di smagliature sul piano logico. Invero, pur prendendo atto di questa circostanza, i Giudici di secondo grado hanno assegnato prevalenza al dato contenuto nelle scritture contabili, confermato dagli avvenuti pagamenti, sottolineando come, in realtà, la lettera del RAGIONE_SOCIALE fossero citate diverse fatture, tra cui la n. 165, la n. 17 e la n. 80, indicando, tuttavia, importi diversi e molto superiori alla cifra di 178.403 euro, pari all’ammontare complessivo delle tre fatture in questione; così come diverse e in numero maggiore erano anche le fatture (essendovi, tra esse, anche la n. 215 e la n. 216 del 2010). E da tale circostanza hanno tratto argomento per concludere, non illogicamente, che si fosse al cospetto di cifre e fatture in parte diverse, per cui la contraddizione rilevata dalla difesa non poteva essere condivisa. A ben vedere, del resto, l’argomentazione centrale su cui si fonda la critica sviluppata dalla difesa, ovvero che la lettera del 31 maggio 2010 imponesse di escludere che i pagamenti avvenuti
in precedenza fossero riferibili alle fatture indicate in quanto, diversamente, non sarebbe stato programmato il futuro adempimento, appare spiegabile, sul piano logico, proprio con la circostanza che il pagamento non fosse stato effettuato in maniera integrale, come del resto affermato dalle due sentenze, e che dunque occorresse definire un ,cronoprogramma dei successivi versamenti rateali per la parte residua del debito.
2.1. Tanto premesso, osserva il RAGIONE_SOCIALE che il percorso argomentativo seguito dalle due pronunce di merito si è articolato secondo una cadenza lineare e del tutto immune da aporie logiche, che il ricorso non è riuscito a disarticolare attraverso considerazioni critiche conclusive. Infatti, la considerazioni difensive, a fronte del lineare ragionamento probatorio delle due sentenze, si è limitata ad affermare la mancanza di prova certa del fatto che gli assegni fossero riferiti alle fatture in questione, senza però fornire una differente ipotesi ricostruttiva in relazione all’effettiva causale dei pagamenti. Venendo dunque in rilievo, nella specie, un accertamento di fatto in ordine alla riferibilità dei pagamenti alle fatture in questione, svolto dai Giudici di merito attraverso una spiegazione scevra da profilo di illogicità manifesta, deve conclusivamente ritenersi che le censure debbano essere disattese.
Infondato è anche il secondo motivo, con cui la difesa deduce, da un lato, la doverosità del pagamento da parte della RAGIONE_SOCIALE e, dall’altro lato, la mancata duplicazione del pagamento a favore della società di factoring.
Sotto un primo profilo, il fatto che il debitore ceduto fosse tenuto all’adempimento appare privo di rilevanza, dal momento che ciò che rileva, ai fini della affermazione della responsabilità dell’imputato, è la circostanza che l’adempimento operato nei confronti del cedente esponeva lo stesso ceduto al pericolo concreto di dover ripetere il pagamento nei confronti del cessionario. Come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, infatti, l’art. 1264 cod. civ. stabilisce che il debitore ceduto che effettua il pagamento in favore del creditore cedente non è liberato, nei confronti del cessionario, se paga dopo avere accettato la cessione o dopo che questa gli sia stata notificata o ne abbia, comunque, avuto conoscenza. Ciò che, nella specie, è pacificamente avvenuto, secondo quanto attestato dalla più volte citata lettera del 31 maggio 2010.
Né rileva che il cessionario sia stato escluso dal passivo fallimentare e che, dunque, non vi sia stata alcuna effettiva incidenza sulla situazione patrimoniale della società fallita. In disparte la circostanza che, come correttamente osservato dal Procuratore generale nella sua memoria scritta, non è stato accertato se NOME, a fronte dell’esclusione dallo stato passivo, abbia proposto opposizione (e quale sia stato, eventualmente, l’esito di quest’ultima), va conclusivamente rilevato che per effetto del pagamento a favore della cedente si era, comunque,
perfezionata una situazione distrattiva, idonea a determinare il concreto pericolo che, in futuro, anche il cessionario domandasse l’adempimento; e che, essendo la cessione pienamente opponibile al ceduto, quest’ultimo non avrebbe potuto in alcun modo evitarlo.
4. Inammissibile è, infine, il terzo motivo.
Va premesso che la valutazione circa il riconoscimento o meno delle circostanze attenuanti generiche previste dall’art. 62-bis cod. pen. si configura come un giudizio rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, il quale è tenuto a motivare la propria scelta nei soli limiti in cui questo è necessario a far emergere l’avvenuto scrutinio in ordine all’adeguatezza della pena in concreto inflitta rispetto alla reale gravità del reato e alla personalità dell’imputato (v. tra le tante Sez. 6, n. 41365 del 28/10/2010, COGNOME, Rv. 248737-01; Sez. 1, n. 46954 del 4/11/2004, COGNOME, Rv. 230591-01). In questa prospettiva, il giudice, se si determina per il mancato riconoscimento delle attenuanti in parola, non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo, avuto riguardo ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 27126901), senza che, peraltro, sia necessario che li esamini tutti, potendo limitarsi a specificare a quali, tra essi, egli abbia inteso fare riferimento, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (v., ex plurimis, Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899-01).
Orbene, nel caso in esame, il Giudice di merito ha ritenuto che non potessero concedersi le attenuanti generiche in considerazione della gravità del fatto, avuto riguardo all’importo della somma distratta, e della capacità a delinquere mostrata dall’imputato anche alla luce dei precedenti penali specifici (per violazione delle direttive comunitarie sui rifiuti e omesso versamento di Iva). Tale riferimenti adempiono pienamente, alla luce dei principi enunciati, all’obbligo di motivare sul punto (Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01; Sez. 1, n. 33506 del 7/07/2010, COGNOME, Rv. 247959-01; Sez. 1, n. 8677 del 6/12/2000, dep. 2001, COGNOME, Rv. 218140-01; Sez. 1, n. 707 del 13/11/1997, dep. 1998, Ingardia, Rv. 209443-01).
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
5.1. Quanto al regolamento delle spese del grado sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, le stesse vanno poste a carico dell’imputato, soccombente anche
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rispetto all’azione civile proposta nei suoi confronti. Dette spese sono da liquidarsi nella misura di 5.000,00 euro, ai sensi degli artt. 12 e 16 d.m. n. 55 del 2014, come modificato dal d.m. n. 37 del 2018, tenuto conto – in relazione alle voci precisate nella nota spese depositata – dell’attività svolta e delle questioni trattate, cui devono aggiungersi gli accessori di legge, costituiti, ex art. 2 d.m. n. 55 del 2014, dalle spese forfettarie, da calcolarsi in misura del 15%, oltre all’IVA e al contributo per la Cassa previdenziale, da computarsi sull’imponibile.
PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro cinquemila, oltre accessori di legge.
Così deciso in data 19 dicembre 2023
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Il Consigliere estensore
Il RAGIONE_SOCIALE