Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17214 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17214 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 14/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nato a Trapani il 14/09/1969
NOME COGNOME nato a Calatafimi-Segesta il 15/10/1952
COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 07/06/1970 avverso la sentenza del 19/12/2023 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi; lette le richieste del difensore della parte civile fallimento RAGIONE_SOCIALE Avv. NOME COGNOME che ha fatto pervenire in data 7 marzo 2025 conclusioni scritte e nota spese; lette le richieste del difensore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avv. COGNOME
COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del 19 giugno 2019 del Tribunale di Trapani che, per
quanto di interesse in questa sede, aveva affermato la penale responsabilità di:
NOME COGNOME per il reato di bancarotta fraudolenta impropria per effetto di operazioni dolose, per avere, quale amministratore dal 22 novembre 2000 al 10 marzo 2009 della RAGIONE_SOCIALE dichiarata fallita il 12 maggio 2017, in concorso con i successivi amministratori, cagionato il fallimento di detta società per effetto di operazioni dolose consistite nella sistematica omissione del pagamento di imposte e contributi previdenziali, tanto da determinare un passivo per tali debiti di euro 910.000,00 (capo D);
NOME COGNOME per il delitto di bancarotta fraudolenta aggravata ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942, per avere, quale amministratore della società dal 10 marzo 2009 al 12 ottobre 2012, concorso alla commissione del delitto di cui al capo D), omettendo il pagamento di imposte e contributi nel periodo in cui ha ricoperto la carica di amministratore e per avere sottratto la somma di euro 34.981,00 omettendo di annotare in contabilità i ricavi conseguiti (capo A limitatamente alle condotte relative all’anno 2012), nonché tenuto nello stesso anno le scritture contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (capo B);
di NOME COGNOME per il delitto di bancarotta semplice documentale, così diversamente qualificato il fatto contestato al capo C), per avere, quale amministratore della società dal 12 ottobre 2012 alla data del fallimento, omesso di tenere le scritture contabili, e per la ulteriore condotta di bancarotta semplic contestata al capo E), per essersi astenuto dal chiedere il fallimento della società nonostante fosse in stato di decozione sin dal 2014, unificate le due condotte a fini sanzionatori in un solo delitto di bancarotta semplice aggravata ai sensi dell’art. 219, secondo comma, n. 1, r.d. n. 267 del 1942.
Il Tribunale aveva, quindi, condannato i predetti alle pene ritenute di giustizia, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi separatamente, in favore della curatela fallimentare, costituitasi parte civile.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per avere la Corte di appello illegittimamente rigettato l’istanza di rinvio dell’udienz del 19 dicembre 2023 per impedimento dell’unico difensore di fiducia, avendo quest’ultimo documentato la propria impossibilità a presenziare all’udienza a causa di altri impegni.
Era stato, pertanto, leso il diritto di difesa del ricorrente, non avendo quest’ultimo potuto esporre, tramite il difensore di fiducia, le proprie ragion dopo la rinnovazione dell’istruttoria e la perizia contabile disposta in secondo
grado.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione.
Segnala che tra la sua cessazione dalla carica di amministratore della società e la dichiarazione di fallimento intercorrono nove anni e sostiene che l’omesso pagamento delle imposte e dei contributi sarebbe da imputare in via esclusiva alla indisponibilità delle risorse a tal fine occorrenti in conseguenza della mancata riscossione dei crediti della società; l’incasso di questi ultim avrebbe consentito di soddisfare tutte le pretese erariali. L’omesso pagamento delle imposte e dei contributi non era stato doloso e ben presto il debito era cresciuto a tal punto da essere impossibile il pagamento di quanto dovuto.
Dall’esame dei bilanci emergeva che la società, durante il periodo in cui egli l’aveva amministrata, era in perfetto equilibrio finanziario e sufficientemente patrimonializzata.
Dal bilancio del 2008 risultava che il debito tributario e contributivo ammontava ad euro 264.207,00, mentre l’attivo era pari ad euro 542.534,00, di cui euro 378.344,00 per crediti da riscuotere.
Dall’istruttoria era emerso che solo in seguito all’esercizio dell’anno 2014 la società aveva subito perdite per euro 347.567,92 e tale importo non era variato negli esercizi successivi, in quanto la società era rimasta inattiva.
Non poteva, quindi, essere addebitato al COGNOME il fallimento della società, trovando questo causa in irregolarità maturate successivamente al marzo 2009.
Il Tribunale aveva, invece, valutato in modo unitario le condotte dei tre amministratori che nel tempo si erano succeduti.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche, motivato dalla Corte territoriale con l’assenza di elementi idonei a giustificare la loro applicazione e la gravità della condotta, mentre, sostiene il ricorrente, le attenuanti andavano applicate in considerazione della assenza di pericolosità sociale.
Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso anche NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo del loro comune difensore, chiedendone l’annullamento ed articolando tre motivi.
3.1. NOME COGNOME segnala che la prova della sua responsabilità per la distrazione relativa all’anno 2012 contestata al capo A) è stata desunta dal cosiddetto spesometro integrato; in particolare due imprese avevano inserito nella loro contabilità due fatture emesse dalla fallita, sebbene questa non avesse annotato nella propria contabilità le due fatture tra i ricavi.
Il ricorrente aveva evidenziato nel proprio atto di appello che NOME COGNOME aveva affermato di essere stato lui e non NOME COGNOME ad inserire le fatture in contabilità e che i testi appartenenti alla Guardia di finanza avevano ammesso che non erano state effettuate indagini per stabilire se le fatture annotate dalle due imprese nella loro contabilità fossero state legittimamente emesse e se gli importi in essi indicati fossero stati poi corrisposti alla società fallita; an l’accertamento relativo all’anno 2012 doveva ritenersi induttivo e fondato su mere presunzioni inapplicabili in sede penale.
Su tali censure la Corte di merito, denuncia il ricorrente, non ha fornito alcuna risposta.
Non essendovi prova dell’incasso delle somme indicate nelle fatture, neppure poteva ritenersi provata la loro distrazione.
La condotta andava, semmai, riqualificata ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 74 del 2000.
3.2. Quanto al capo E) contestato al COGNOME, non poteva ritenersi sussistente il dolo richiesto per applicare l’art. 216 del r.d. n. 267 del 1942.
Relativamente all’omessa tenuta delle scritture contabili, le stesse si trovavano presso la sede della società, ma nessuno le aveva volute visionare, come emergeva dalla deposizione del consulente contabile della società, dott. NOME COGNOME
3.3. In ogni caso, la pena inflitta a NOME era sproporzionata in eccesso rispetto ai fatti contestati e ben potevano essere applicate in favore dei due ricorrenti le circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
1.1. Il primo motivo del ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato.
Dagli atti non risulta che il difensore del ricorrente abbia chiesto il rinvi dell’udienza del 19 dicembre 2023 adducendo un suo legittimo impedimento. Risulta, invece, che a detta udienza il ricorrente era stato difeso da un sostituto, per delega orale, del suo difensore di fiducia.
Il difensore di fiducia aveva chiesto il rinvio per legittimo impedimento dell’udienza precedente, quella del 6 dicembre 2023, ma la istanza è stata accolta ed il processo rinviato.
1.2. Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME è inammissibile in quanto si limita a reiterare le censure già formulate con l’atto di appello senza confrontarsi con le ragioni poste a base della sua decisione dalla Corte
territoriale che ha chiarito che, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, in tutti gli anni oggetto di contestazione non sono stati versati contributi, tass ed imposte e che tale omissione è quindi il frutto di una consapevole scelta degli imputati che hanno amministrato la società.
Né rileva la circostanza che i bilanci della società, nel periodo in cui è stata amministrata da NOME COGNOME rappresentassero ancora una situazione di floridezza economica della RAGIONE_SOCIALE
La Corte territoriale ha chiarito, sulla scorta di quanto emerso dalla perizia contabile espletata in appello, che i bilanci della società non esprimevano le reali condizioni della società.
Il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e contributive, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti impositori e previdenziali, non può che rendere prevedibile il conseguente dissesto della società; sebbene nel breve termine l’omesso pagamento può produrre effetti positivi per l’impresa, che si autofinanzia senza dover ricorrere al credito bancario, nel medio termine esso risulta pernicioso poiché, per effetto dell’applicazione di sanzioni ed interessi ad un tasso elevato, determina una crescita esponenziale del debito tributario che diviene incontrollabile e conduce al fallimento. Difatti, onde affermare la sussistenza del nesso causale tra le operazioni dolose ed il fallimento, la Corte di merito ha segnalato che la massima parte del passivo fallimentare è costituito da debiti tributari maturati nel corso degli anni e che nel 2009 già ammontavano ad oltre euro 500.000; anche depurando tale importo dalle sanzioni ed interessi già maturati, l’ammontare non pagato nel corso della gestione attuata dal RAGIONE_SOCIALE è pari ad euro 426.551,29.
Peraltro, secondo la ricostruzione operata dalla Corte di merito, neppure risulta che il mancato pagamento degli oneri tributari e contributivi sia dovuto alla mancata riscossione di crediti societari, come sostenuto dal ricorrente, e laddove il COGNOME sostiene tale circostanza egli invoca una rivalutazione del materiale istruttorio non consentita in questa sede di legittimità.
1.3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
In tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269).
In particolare, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (Sez. n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899) e nel caso di specie la Corte di appello ha fornito adeguata motivazione segnalando la particolare gravità del reato desunta dall’ammontare del debito tributario rimasto insoddisfatto.
Il ricorso di NOME COGNOME è fondato nei limiti di seguito esposti, mentre il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
2.1. Il motivo di ricorso con il quale NOME COGNOME censura l’affermazione della sua penale responsabilità per la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestata al capo A) limitatamente all’anno 2012 è fondato.
In tema di bancarotta per distrazione, il mancato rinvenimento all’atto della dichiarazione di fallimento di beni o valori societari costituisce valida presunzione della loro dolosa distrazione, a condizione che sia accertata la previa disponibilità, da parte dell’imputato, di detti beni o attività nella loro esa dimensione e al di fuori di qualsivoglia presunzione. (Sez. 5, n. 35882 del 17/06/2010, COGNOME, Rv. 248425).
I Giudici del merito hanno ritenuto di poter desumere la previa disponibilità delle somme di denaro dalla annotazione nella contabilità di altre due imprese di due fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente con l’atto di appello ha dedotto che l’emissione delle fatture e la loro annotazione nelle scritture contabili di altre società non valevano a dimostrare l’avvenuto incasso da parte della fallita degli importi fatturati.
Il rilievo è fondato.
La fattura di per se stessa non vale a dimostrare l’incasso degli importi fatturati, atteso che essa, nell’anno 2012, se aveva ad oggetto la fornitura di beni, doveva essere emessa al momento della consegna, anche se il prezzo dei beni non fosse stato ancora pagato.
Laddove, invece, la fattura aveva ad oggetto la prestazione di servizi, la fattura poteva essere emessa già al momento dell’esecuzione della prestazione, ma l’emissione poteva essere ritardata sino al momento dell’incasso del corrispettivo (vedi Sez. 5 civ. n. 9064 del 01/04/2021, Rv. 661233).
Era, quindi, ben possibile che l’emissione della fattura ed il suo utilizzo in contabilità da parte della cessionaria avvenissero ancor prima dell’incasso del corrispettivo.
Lo spesometro è ben utilizzabile ai fini dell’accertamento dell’evasione tributaria, poiché dall’emissione della fattura sorge l’obbligo di corrispondere le relative imposte sull’ammontare imponibile fatturato, anche se il corrispettivo non sia stato percepito.
Ai fini della responsabilità per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
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per la distrazione delle somme portate dalle fatture è invece necessario previamente dimostrare che queste siano state realmente versate alla società poi fallita.
2.2. Le altre censure formulate da NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine all’affermazione delle loro penali responsabilità sono inammissibili perché estremamente generiche e perché invocano una rivalutazione del materiale istruttorio.
2.3. L’accoglimento del motivo del ricorso di NOME COGNOME relativo al delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale contestato al capo A) comporta l’assorbimento del motivo di impugnazione relativo al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
2.4. Il motivo del ricorso di NOME COGNOME relativo al trattamento sanzionatorio è inammissibile, avendo la Corte di merito fornito sul punto adeguata motivazione, facendo riferimento ai suoi precedenti penali.
Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente all’affermazione di penale responsabilità per la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale relativa all’anno 2012, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo, con assorbimento del motivo relativo al trattamento sanzionatorio; nel resto il suo ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME
All’inammissibilità dei ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in euro 3.000,00 per ciascun ricorrente.
Non può essere accolta la domanda della parte civile di condanna dei ricorrenti rimasti soccombenti alla rifusione delle spese processuali, stante la tardività della trasmissione delle sue conclusioni scritte, che impedisce a questa Corte di cassazione di tenere conto delle stesse ai fini della decisione.
Nel giudizio di legittimità celebrato ai sensi dell’art. 23-bis d.lgs. 29 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, nel caso in cui il ricorso dell’imputato sia rigettato o dichiarato, per qualsias causa, inammissibile, la parte civile che abbia depositato tardivamente le proprie conclusioni non ha diritto di ottenere la liquidazione delle spese processuali, in quanto la sua posizione è assimilabile a quella della parte non comparsa personalmente all’udienza pubblica. (Sez. 5, n. 25035 del 16/03/2023, Popescu,
Rv. 284875 – 01).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME COGNOME limitatamente alla condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale relativa all’anno 2012, con
rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di NOME COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in
favore della Cassa delle ammende. Nulla per le spese di parte civile.
Così deciso il 14/03/2025.