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Bancarotta fraudolenta: fattura non basta per la prova

La Corte di Cassazione si è pronunciata su un complesso caso di bancarotta fraudolenta a carico di tre ex amministratori di una società. Mentre ha confermato la condanna per due di essi per aver causato il fallimento tramite il sistematico omesso versamento di imposte, ha annullato con rinvio la condanna del terzo per il reato di distrazione. Il principio chiave affermato è che, per provare la bancarotta fraudolenta per distrazione, non è sufficiente dimostrare l’emissione di fatture non registrate nei libri contabili; è necessario fornire la prova concreta che le somme corrispondenti siano state effettivamente incassate dalla società e poi sottratte.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta per Distrazione: La Fattura Non Basta a Provare l’Incasso

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un complesso caso di bancarotta fraudolenta, offrendo chiarimenti fondamentali sulla prova necessaria per il reato di distrazione. La decisione distingue nettamente tra il mondo fiscale, dove l’emissione di una fattura crea obblighi, e il diritto penale, dove per provare la sottrazione di fondi è necessario dimostrare il loro effettivo incasso. Questo principio ha portato all’annullamento della condanna per uno degli amministratori coinvolti.

I Fatti del Processo: Tre Amministratori e il Fallimento Societario

Il caso riguarda il fallimento di una società di servizi, causato, secondo l’accusa, dalle condotte illecite di tre amministratori che si sono succeduti nel tempo.

* Il primo amministratore (in carica dal 2000 al 2009) è stato accusato di bancarotta impropria per aver cagionato il fallimento attraverso la sistematica omissione del pagamento di imposte e contributi, generando un passivo di quasi un milione di euro.
* Il secondo (in carica dal 2009 al 2012) era accusato di aver concorso nella stessa omissione, ma anche di bancarotta fraudolenta patrimoniale per aver distratto una somma di denaro omettendo di registrarne i ricavi e per aver tenuto le scritture contabili in modo da non permettere la ricostruzione del patrimonio.
* Il terzo amministratore (in carica dal 2012 fino al fallimento) è stato condannato per bancarotta semplice documentale e per non aver richiesto il fallimento nonostante lo stato di decozione della società.

I primi due gradi di giudizio si erano conclusi con la condanna di tutti gli imputati. La questione è quindi giunta dinanzi alla Corte di Cassazione.

La Decisione della Cassazione sulla Bancarotta Fraudolenta

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i ricorsi del primo e del terzo amministratore, confermando di fatto le loro responsabilità. Per il primo, i giudici hanno ribadito che l’omesso versamento sistematico di imposte non era una conseguenza di difficoltà finanziarie, ma una scelta consapevole che ha portato al dissesto. Per il terzo, le censure sono state ritenute troppo generiche.

La parte più significativa della sentenza riguarda però il secondo amministratore, la cui condanna per distrazione è stata annullata con rinvio alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

Il Principio di Diritto: Prova della Distrazione e Valore dello Spesometro

L’accusa di distrazione si basava sul fatto che due fatture emesse dalla società fallita erano state trovate nella contabilità di altre imprese (tramite il cosiddetto ‘spesometro’), ma non erano state annotate tra i ricavi della società stessa. Secondo i giudici di merito, questa era una prova sufficiente della distrazione delle somme corrispondenti.

La Cassazione ha ribaltato questa conclusione. Ha affermato che, sebbene la mancata reperibilità di beni societari al momento del fallimento costituisca una valida presunzione di distrazione, tale presunzione deve fondarsi sulla prova certa della loro previa disponibilità da parte dell’imputato. La sola emissione di una fattura non basta a dimostrare l’avvenuto incasso.

Distinzione tra Obbligo Fiscale e Reato Penale

I giudici hanno sottolineato che una fattura può essere emessa al momento della consegna di un bene o dell’esecuzione di un servizio, anche se il pagamento non è ancora avvenuto. Lo spesometro è uno strumento utile per l’accertamento dell’evasione fiscale, poiché l’obbligo di versare l’IVA sorge con l’emissione della fattura, a prescindere dall’incasso. Tuttavia, ai fini del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, la prospettiva è diversa: è necessario dimostrare che le somme siano realmente entrate nel patrimonio sociale e siano state poi dolosamente sottratte.

Le Motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione chiarendo lo standard probatorio richiesto per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. È stato precisato che il mancato rinvenimento di beni sociali al momento del fallimento crea una presunzione di distrazione, ma questa presunzione deve essere ancorata alla prova certa che tali beni o somme di denaro fossero precedentemente nella disponibilità della società. La semplice annotazione di fatture nella contabilità di terzi, come emerso dallo spesometro, non è una prova sufficiente che la società fallita abbia effettivamente incassato il corrispettivo. Una fattura, specialmente se relativa a servizi, può essere emessa legalmente prima che avvenga il pagamento. Questa distinzione è fondamentale: mentre per il diritto tributario l’obbligo di versare l’imposta sorge con l’emissione della fattura, per il diritto penale fallimentare è indispensabile provare l’effettivo incasso della somma per poter poi dimostrare la sua successiva ‘distrazione’.

Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio cardine dello stato di diritto: la prova in un processo penale deve essere rigorosa e non può basarsi su presunzioni valide in altri settori dell’ordinamento, come quello tributario. Per gli amministratori e gli imprenditori, la decisione sottolinea che, sebbene la cattiva gestione contabile e fiscale comporti gravi rischi, una condanna per il grave reato di distrazione fraudolenta richiede la prova concreta dell’appropriazione di fondi, non solo la prova di una transazione commerciale formalizzata con una fattura.

L’emissione di una fattura è sufficiente a provare la distrazione di somme in un processo per bancarotta fraudolenta?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la sola emissione di una fattura non dimostra l’effettivo incasso della somma da parte della società fallita. Per configurare il reato di distrazione, è necessario provare che le somme siano state realmente versate alla società e solo successivamente sottratte al patrimonio sociale.

Perché il sistematico mancato pagamento di tasse e contributi può configurare una bancarotta fraudolenta impropria?
Perché il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie e contributive, aumentando in modo esponenziale il debito della società a causa di sanzioni e interessi, può essere considerato un’operazione dolosa che causa il dissesto e il successivo fallimento. La Corte ha ritenuto questa una scelta consapevole e non una semplice conseguenza di difficoltà finanziarie.

Può un ricorso in Cassazione essere dichiarato inammissibile se si limita a ripetere le stesse argomentazioni dell’appello?
Sì. La sentenza mostra che se il ricorso per cassazione si limita a reiterare censure già formulate con l’atto di appello, senza confrontarsi specificamente con le motivazioni della sentenza impugnata, viene dichiarato inammissibile. Inoltre, non è possibile chiedere in sede di legittimità una rivalutazione del materiale probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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