Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23200 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23200 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a Lodi il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/02/2024 della CORTE di APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha chiesto di rigettare il ricorso; lette le conclusioni del difensore, AVV_NOTAIO, che l’accoglimento del ricorso. Procuratore ha chiesto
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, deliberata il 20 febbraio 2024, ma depositata soltanto il 17 dicembre 2024, la Corte di appello di Firenze, in totale riforma della pronuncia assolutoria di primo grado emessa il 18 ottobre 2021, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale pperché “in qualità di liquidatore, dal 22 settembre 2010, della società RAGIONE_SOCIALE e
RAGIONE_SOCIALE -dichiarata fallita il 25 ottobre 2011- nonché di trustee di un trust denomiNOME “sunflower” costituito da alcune imprese in liquidazione di cui lo stesso COGNOME era liquidatore, la RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (che aveva acquisito tutte le quote della fallita in data 12 ottobre 2010), distraeva, tramite atto di dotazione dei beni in trust, l’intero patrimonio della società in un momento in cui la stessa versava già in stato di insolvenza”.
Avverso l’indicata pronuncia ricorre l’imputato, tramite il difensore, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Con il primo si denuncia violazione di legge e vizio argomentativo.
Dopo aver trascritto i principi enucleati dalla giurisprudenza di legittimità sul tema della “motivazione rafforzata”, il ricorrente sostiene di essere un prestanome – come già acclarato in due pronunce definitive del Tribunale di Milano – e di non poter essere ritenuto responsabile per “l’assenza di dolo specifico”, non avendo avuto alcun ruolo effettivo nell’attività di gestione della società fallita.
2.2. Con il secondo motivo si deducono analoghi vizi sui seguenti punti: non corrisponderebbe al vero che il difensore, in sede di conclusioni in appello, abbia indicato nell’AVV_NOTAIO l’effettivo amministratore della società; le operazioni economiche in contestazione non sarebbero addebitabili all’imputato, in quanto privo di poteri gestori; non si sarebbero verificate distrazioni “stante il passivo della società”; il curatore fallimentare non avrebbe esperito azione di nullità per invalidare la costituzione del trust.
2.3. Il terzo motivo insiste sul difetto di elemento soggettivo e viene sviluppato deducendo che: il fallimento costituisce evento del reato di bancarotta e come tale deve entrare nel fuoco dell’elemento soggettivo quantomeno nella forma del dolo eventuale; la fattispecie in contestazione richiede la consapevolezza del possibile instaurarsi della procedura concorsuale o, comunque, del depauperamento del patrimonio.
Si conclude affermando che: “a questo orientamento si è in effetti allineata anche la sentenza di merito impugnata che sotto questo profilo si sottrae alle censure del ricorrente dal momento che – pur muovendo da premesse in diritto errate – in definitiva ha egualmente fornito adeguata motivazione della sussistenza di un dolo almeno eventuale dell’imputato rispetto al possibile verificarsi di un dissesto e del conseguente fallimento della società”.
2.4. Con il quarto motivo si contesta il mancato riconoscimento della continuazione con reati già giudicati; con il quinto ci si duole del diniego delle circostanze attenuanti generiche.
Il ricorso, proposto in data successiva al 30 giugno 2024, è stato trattato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 611 cod. proc. pen., nel testo riscritto dal d. Igs. n. 150 del 2022 e successive modifiche.
Il difensore dell’imputato ha depositato memoria di replica alle requisitoria del Procuratore generale, sostenendo la fondatezza dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo è infondato sul profilo dell’onere di motivazione rafforzata, mentre nel resto è inammissibile.
2.1. Secondo ius receptum, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l’obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugNOME (per tutte Sez. U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231679) e non può, invece, limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugNOME (tra le altre Sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, Rastegar, Rv. 254638).
L’onere della cd. “motivazione rafforzata” grava sul giudice di appello in ogni caso di totale riforma, ma esso diviene più pregnante laddove, come nella specie, si verta nell’ipotesi di sovvertimento della sentenza assolutoria.
In tal caso la sentenza di appello deve esprimere una “forza persuasiva superiore”, tale da far venire meno “ogni ragionevole dubbio”. La condanna, infatti, «presuppone la certezza della colpevolezza, mentre l’assoluzione non presuppone la certezza dell’innocenza ma la mera non certezza della colpevolezza» (Sez. 6, n. 40159 del 03/11/2011, Galante, Rv. 251066). «Nella valutazione degli elementi di prova, dunque, è lo stretto collegamento fra la regola del “ragionevole dubbio” e il principio costituzionale della presunzione di innocenza a imporre al giudice d’appello il rispetto di un più elevato standard argomentativo per la riforma di una sentenza assolutoria» (cfr. Sez. U, n. 14800 del 21/12/2017, dep. 2018, Troise, in motivazione).
La Corte di appello ha assolto compiutamente tale compito.
L’imputato era stato assolto in primo grado per la ritenuta mancanza di prova sull’elemento soggettivo, sulla scorta di un argomentare assertivo e apodittico, che non si peritava di esaminare le effettive modalità della condotta e il quadro d’insieme della vicenda.
La Corte di appello ribalta la decisione, ponendo in luce gli indici di effettiva consapevolezza in capo all’imputato, artefice materiale di tutte le operazioni collegate alla distrazione, e assegnatario del duplice ruolo di liquidatore della società fallita e di trustee proprio con il compito di mettere il patrimonio della società al riparo dalle aggressioni dei creditori (cfr. pagg. 4 e 5 sentenza impugnata).
Le restanti doglianze affidate al motivo in rassegna e al secondo e terzo motivo sono inammissibili, in quanto non svolgono la funzione di critica argomentata alle ragioni della decisione: sono prive di coerenza interna; i vizi enunciati non trovano sviluppo successivo; i motivi non si misurano con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata anche perché, per la gran parte, costituiscono mera trascrizione della memoria depositata in sede di conclusioni scritte; si richiamano principi astratti opposti a quelli accolti dai consolidati arresti della giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite.
3.1. Il primo motivo di ricorso si esaurisce in uno sterile assunto secondo cui dalla veste di prestanome discenderebbe automaticamente l’assenza di dolo, in assenza di qualunque confronto con le ragioni della decisione; mentre la invocata buona fede dell’imputato si rivela contraddittoria rispetto alla rivendicata partecipazione dell’imputato, come prestanome, a plurime imprese criminali, di natura analoga, ideate e gestite da altro soggetto, estraneo a questo processo (cfr. terzo motivo).
3.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il difensore premette di non aver mai fatto riferimento al nome dell’AVV_NOTAIO; la necessità di una simile puntualizzazione sfugge, peraltro la circostanza era stata introdotta dall’imputato in sede di esame (cfr. pag. 2 sentenza di primo grado).
L’asserita liceità dell’operazione di costituzione del trust e l’estraneità del COGNOME all’operazione si risolvono in affermazioni generiche che non si confrontano con quanto accertato dai giudici di appello: il trust è stato costituito nell’ultima fase di vita della società, quando questa era orami decotta; nel trust sono confluiti tutti i crediti della fallita pari a circa 500mila euro, sottratti alla massa fallimentar perché i debitori sono stati invitati a versarli in un conto intestato al trust ma mai destinati ai creditori; le operazioni di costituzione del trust sono state materialmente poste in essere dall’imputato che ne risulta anche il trustee.
Sotto il profilo giuridico, la tesi difensiva, inoltre, si scontra con quanto affermato da questa Corte in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione:
– anche l’esercizio di facoltà legittime che determini la stabile fuoriuscita di un bene dal patrimonio del fallito, impedendone l’apprensione da parte degli organi del fallimento, può costituire strumento di frode in danno dei creditori, ove siano rinvenibili “indici di fraudolenza” della distrazione (Sez. 5, n. 37109 del 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283582);
– la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza (Sez. 5, n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550).
– la costituzione di un trust risponde ad una scelta lecita dell’imprenditore, o eventualmente di una società, che intenda separare una parte del proprio patrimonio per dedicarla al conseguimento di fini particolari e specifici. Né risulta vietato l’invocato trust liquidatorio, pur dovendosi verificare che non nasconda l’intento di sottrarre i beni conferiti alla precedente, più ampia, garanzia patrimoniale. Si è affermato infatti (Sez. 3 civ., n. 3128 del 10/02/2020, Rv. 657143) che, in tema di trust istituito a fini liquidatori, l’atto mediante il quale i beni sono attribuiti al trustee è lecito pur se necessita di un vaglio, particolarmente penetrante, da parte del giudice di merito, condotto esaminando l’operazione complessiva in relazione alla causa concreta del programma negoziale e alla meritevolezza degli interessi perseguiti nel rispetto dei limiti posti dalla legge fallimentare e dal sistema delle revocatorie. Resta però che un mezzo pur lecito, come il trust liquidatorio, ben può essere utilizzato per raggiungere un esito illecito, quando, come nella specie, risulta essere complessivamente avvenuto nella, voluta e predeterminata, sottrazione alla fallita, dell’intero patrimonio (Sez. 5, n. 19973 del 11/04/2024, Cepparo, Rv. 286491 – 01).
La circostanza che gli organi fallimentari intraprendano o meno le iniziative volte al recupero dei beni distratti è elemento irrilevante ai fini della sussistenza del reato.
3.3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, poiché propone una ricostruzione della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale difforme dal modello enucleato dalla giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite: ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagioNOME il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (cfr. per tutte Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266804 – 01); l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la
consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (cfr. per tutte Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805 – 01, cit.).
Del resto è lo stesso ricorrente a riconoscere che “la sentenza di merito impugnata sotto questo profilo si sottrae alle censure del ricorrente dal momento che – pur muovendo da premesse in diritto errate – in definitiva ha egualmente fornito adeguata motivazione della sussistenza di un dolo almeno eventuale dell’imputato rispetto al possibile verificarsi di un dissesto e del conseguente fallimento della società”.
4. Il quarto motivo è inammissibile.
A sostegno della richiesta di riconoscimento della continuazione con reati già giudicati, il ricorso si limita a menzionare il contenuto di sentenze irrevocabili di condanna, che, non prodotte in appello, non vengono neppure allegate alla presente impugnazione, così da incorrere nella violazione del principio di autosufficienza.
5. Il quinto motivo è inammissibile.
Il difensore dell’imputato non ha richiesto al giudice di appello la concessione delle circostanze attenuanti generiche, mediante allegazione di specifici elementi a sostegno dell’istanza, e, pertanto, non può dolersi del diniego in questa sede.
Il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare d’ufficio una o più circostanze attenuanti, non accompagNOME da alcuna motivazione, non può costituire motivo di ricorso in cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione, qualora l’imputato, nell’atto di appello o almeno in sede di conclusioni del giudizio di appello, non abbia formulato una richiesta specifica, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei all’accoglimento della stessa, rispetto alla quale il giudice debba confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (Sez. 3 n. 10085 del 21/11/2019, dep. 2020, G., Rv. 279063 – 02).
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Va chiarito che alla data odierna non risulta ancora decorso il termine massimo di prescrizione, che scadrebbe il 10 luglio 2025, tenuto conto: che la recidiva è stata esclusa perché erroneamente contestata (cfr. pag. 7 sentenza impugnata); che il termine massimo di prescrizione del reato, commesso il 25 ottobre 2011, è pari ad anni dodici e mesi sei; che risultano 441 giorni di sospensione (128 giorni dal 13 giugno 2017 al 19 ottobre 2017 per astensione, 64
giorni per sospensione c.d. COGNOME in relazione al rinvio dell’udienza del 20 aprile
2020; 60 giorni per rinvio da legittimo impedimento dell’imputato all’udienza del
14 dicembre 2020; 189 giorni dal 12 aprile 2021 al 2 luglio 2021 e dal 2 luglio
2021 al 18 ottobre 2021 per rinvio su richiesta del difensore).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16/05/2025