Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 47286 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 47286 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a BARCELLONA POZZO DI GOTTO il 20/10/1985 GOTTO il avverso la sentenza del 13/06/2023 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con riferimento al reato di cui al capo 2), lett. D), perché il fatto non sussiste, e con riferimento al reato di cui al capo 5) per essere il reato estinto per prescrizione, con rinvio alla Corte di appello per rideterminazione della pena e inammissibilità nel resto.
Letta la richiesta di correzione della sentenza impugnata depositata telematicannente dal difensore della curatela del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, limitatamente all’omessa statuizione di condanna dell’imputata alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa, nel grado di appello, quantificate in euro 2.000,00.
RITENUTO IN FATTO
1. GLYPH Con la sentenza impugnata, emessa in data 13 giugno 2023, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Firenze, ha condannato NOME NOME alla pena di anni 2, mesi due e giorni venti di reclusione ( con pene accessorie per la medesima durata) per i reati di cui agli artt. 223,216 e 219 legge fall. ( capi 1 e limitatamente alla condotta di cui alla lett.D), e agli artt. 224, 217 legge fall. capo 5), previa assoluzione dalle condotte di cui alle lett. A),B) e C) di cui al capo 2), e dal reato di cui al capo 3) per insussistenza del fatto, nonché declaratoria di estinzione per prescrizione per il reato di cui al capo 6).
L’imputata è stata condannata per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva, commessi in qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE ( operativa nel settore della ristorazione, mense aziendali e servizi di pulizia) dichiarata fallita il 24/03/2016, per avere: distratto la somma di euro 467.535,00 per finanziare la società “RAGIONE_SOCIALE, dalla medesima parimenti amministrata e dichiarata fallita con sentenza del 05/10/2016, senza alcuna giustificazione contabile; ceduto, in modo simulato, a NOME COGNOME con scrittura privata del 24.12.2014, il 66% delle quote sociali di RAGIONE_SOCIALE al prezzo di euro 464.965,00 ( di cui euro 7.000,00 pari al 66% del valore delle suddette quote ed euro 457.664,84 pari all’importo di un finanziamento ai soci effettuato da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE, pagato a mezzo di 25 effetti cambiari ( con scadenza dal 2016 e fino al 2021), mai consegnate e mai pagate ( capo 1); distratto la somma di euro 67.500 relativa al versamento di una caparra versata a NOME COGNOME ( successivamente non recuperata) per l’acquisto di un terreno sito in Grecia, non concluso per l’antieconomicità dell’operazione ( capo 2, lett.D). La medesima imputata, inoltre, in qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta responsabile di avere aggravato il dissesto della medesima società, omettendo di richiederne il fallimento, pur versando la stessa in stato di insolvenza fin dal 2010, determinando l’azzeramento del capitale sociale ( capo 5). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, per mezzo del suo difensore, denunciando, con unico motivo articolato in più punti, vizio di motivazione.
2.1.Deduce che la Corte di appello, in relazione al capo 1), non ha considerato che l’insolvenza della società RAGIONE_SOCIALE risaliva al 2015, per come anche ritenuto dalla sentenza impugnata in relazione alle condotte ascritte ai capi 2) e 5). I finanziamenti concessi alla società RAGIONE_SOCIALEsocietà controllata) non avrebbero integrato alcuna fattispecie distrattiva in quanto posti in essere in un periodo in cui la società era in bonis oltre che frutto della scelta di diversificare il proprio
raggio d’azione per avere nuovi sbocchi operativi, collegati all’effettuato acquisto della società RAGIONE_SOCIALE, azienda qualificata e con importanti commesse pubbliche. Inoltre, i finanziamenti sono stati restituiti fino a quando la SB aveva incassato le commesse; per i finanziamenti effettuati dopo il 2012 si sarebbe dovuto verificare se vi erano le condizioni per continuare a finanziare la controllata tanto più che il mancato rimborso del saldo residuo finale del finanziamento, per l’importo di euro 457.664,83, era dipeso unicamente dall’insolvenza della committente RAGIONE_SOCIALE.p.a. che, fino a quel momento, era invece stata adempiente.
2.1.2. Relativamente al capo 2) lett. D) deduce: che la Corte di appello ha assolto l’imputata dalle condotte contestate alle lett. A),B) e C) del medesimo capo, ritenendo che lo stato d’insolvenza della società si sarebbe manifestato nel 2015, al momento dell’iscrizione del pignoramento di Equitalia su tutti i conti correnti societari; da fonti dichiarative sarebbe emerso che la società era stata ancora fruttuosa ed operativa fino al suddetto pignoramento che aveva determinato anche un crollo degli affidamenti bancari; il reato non può essere integrato da un’operazione negoziale ( posta in essere nel 2010), datata nel tempo rispetto alla declaratoria di fallimento, nonché rispetto al momento di insorgenza delle reali cause dirette del fallimento; deve essere esclusa la rilevanza penale della condotta in quanto compiuta in un periodo in cui non c’era insolvenza e priva di nesso causale rispetto al fallimento; con giudizio ex ante, il contratto preliminare con COGNOME, per l’acquisto di un bene a prezzo favorevole e quando la società era in bonis, non avrebbe rappresentato un’operazione avventata, in quanto volta a consentire l’espansione in un mercato proprio della stessa società; la mancata attivazione di procedure per il recupero della caparra è stata legata a valutazioni discrezionali successive e legate alla valutazione dei costi della procedura e costituirebbe un post factum. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1.3.Relativamente al capo 5) deduce che: la sentenza impugnata ha effettuato un giudizio ex post e non ex ante; è frutto di un travisamento del fatto e/o della prova; sarebbe stata operata una commistione fra le due condotte ascritte alla ricorrente, una nella qualità di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE e l’altra nella qualità di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE e non sarebbe stato accertato se quest’ultima società, anche dopo i cospicui finanziamenti ricevuti da parte della RAGIONE_SOCIALE, si trovasse ancora in stato di decozione.
3.11 Procuratore generale ha concluso chiedendo l’annullamento con riferimento al capo 2) perché il fatto non sussiste, e con riferimento al capo 5) per essere il reato estinto per prescrizione, con rinvio alla Corte di appello per rideterminazione della pena e l’inammissibilità nel resto.
Il difensore della curatela del RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, limitatamente all’omessa statuizione di condanna dell’imputata alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa, nel grado di appello, quantificate in euro 2.000,00.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
La doglianza articolata con riferimento al reato di cui al capo 1) è manifestamente infondata e non si confronta in modo argomentato con le motivazioni della sentenza impugnata, apparendo infruttuoso il tentativo di scardinare il ragionamento probatorio in base al quale i giudici di merito hanno ricostruito le vicende distrattive. Le censure, oltre ad essere generiche, in quanto meramente reiterative di quelle identiche GLYPH proposte con l’atto di appello, propongono, peraltro, doglianze eminentemente in fatto, che sollecitano, in realtà, una rivalutazione di merito preclusa in sede di legittimità, sulla base di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944); infatti, pur formalmente riferite a vizi riconducibili alle categorie del vizio di motivazione e violazione di legge, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., sono in realtà dirette a richiedere a questa Corte un inammissibile sindacato sul merito delle valutazioni effettuate dalla Corte territoriale (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, COGNOME, Rv. 203767; Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.1. La sentenza impugnata risulta avere fatto buon governo dell’insegnamento di questa Corte secondo cui, « la bancarotta fraudolenta (nelle forme della distrazione o della dissipazioni) non consiste soltanto – com’è ovvio nella dismissione di beni senza corrispettivo o con corrispettivo inferiore al valore reale, ma è integrata pure da attività e comportamenti che, sebbene corrispondenti all’esercizio di facoltà legittime riconosciute dall’ordinamento all’imprenditore, tuttavia rechino consapevolmente danno all’impresa, in quanto la liceità di ogni operazione dipende dai suoi riflessi sul patrimonio dell’imprenditore, sulla “salute” dell’impresa e sulla capacità dei beni aziendali di soddisfare le ragioni del ceto creditorio»( Sez. 5, n. 29187 del 27/05/2021, Rv. 281818 – 01)
Inoltre, l’accertamento dell’elemento oggettivo della concreta pericolosità del fatto distrattivo e del dolo generico deve valorizzare la ricerca di “indici d
fraudolenza” rinvenibili, ad esempio, nella disamina della condotta alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’azienda, nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto anche riguardo a cointeressenze dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte, nella irriducibile estraneità del fatto generatore dello squilibrio tra attività e passività rispetto a canoni di ragionevolezza imprenditoriale, necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa, funzionale ad assicurare la garanzia dei creditori, e, dall’altro, all’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 27076301).
Nella fattispecie in esame, la ricostruzione prospettata dalla difesasecondo la quale dietro i ripetuti finanziamenti alla società RAGIONE_SOCIALE a partire dal 2010, si sarebbe celata una strategia imprenditoriale di diversificazione degli ambiti economici di operatività della società fallita, oltre che ripropositiva d analoga doglianza veicolata attraverso i motivi di appello e versata sostanzialmente in fatto – non si confronta concretamente con il tessuto argomentativo della sentenza impugnata.
La difesa deduce la liceità della condotta argomentando dal rilievo che: i primi finanziamenti sono stati restituiti e la società RAGIONE_SOCIALE era comunque in bonis; anche i finanziamenti effettuati a partire dal 2012 sarebbero stati concessi in un periodo comunque lontano dallo stato di insolvenza che si sarebbe manifestato solo nell’anno 2015; il mancato rimborso del saldo finale del finanziamento è dipeso unicamente dall’inadempimento dell’impresa committente dei lavori.
La sentenza impugnata ha, tuttavia, correttamente considerato che la società RAGIONE_SOCIALE sotto la gestione della ricorrente che, contemporaneamente, rivestiva anche la carica di amministratore della società RAGIONE_SOCIALE dal 2010), precedentemente amministrata dalla sorella-ha erogato plurimi finanziamenti alla società fallita in un periodo in cui la stessa, pur non in stato di insolvenza, versava comunque in una situazione di illiquidità che non rendeva giustificabile la destinazione a terzi di importanti risorse finanziarie.
La GLYPH deduzione difensivaGLYPH concentrata GLYPH unicamente GLYPH sull’avvenuta cristallizzazione dello stato di insolvenza della società RISTEMA, nell’aprile 2015non tiene conto che tale condizione, frutto dell’iscrizione del pignoramento in favore del creditore Equitalia da cui conseguiva il blocco dei conti correnti societari e un’irreparabile crisi di liquidità, è derivata da una risalente situazione progressiva, sicuramente anche antecedente, come evidenziato dal curatore fallimentare che ha riscontrato una pesante e conclamata situazione di illiquidità fin dal 2012. Inoltre, omette di confrontarsi con la circostanza, posta in evidenza
dalla sentenza impugnata, per la quale la stessa società, e per essa la ricorrente, doveva essere consapevole della grave crisi finanziaria della SB (della quale deteneva il 66% del capitale sociale), a causa della mancanza di liquidità e dell’impossibilità della stessa di accedere a finanziamenti bancari, come dimostrato dalle ripetute e sistematiche richieste di finanziamento effettuate da parte della medesima.
La difesa omette di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata che ha rilevato come la società RAGIONE_SOCIALE si sia sostanzialmente “dissanguata” per sostenere economicamente la società RAGIONE_SOCIALE senza alcuna realistica prospettiva di rimborso, senza un piano di recupero, senza neppure prevedere la corresponsione di garanzie e di interessi, proseguendo nella concessione reiterata di finanziamenti anche quando si trovava, essa stessa, in condizioni di illiquidità e vicina allo stato di insolvenza.
Inoltre, omette ogni considerazione relativamente all’ulteriore segmento di condotta, di cui al medesimo capo 1), da ritenersi incontestato in mancanza di specifici rilievi, consistita nella stipulazione di una vendita fittizia di quote soc della stessa SB, in favore di terzo soggetto, ad un prezzo concordato di complessivi euro 464.965 ( comprensivo dell’importo del saldo del finanziamento in realtà rimasto non pagato) a fronte di 25 cambiali ( con scadenza scaglionata e fino al 2021) mai, peraltro, consegnate né tantomeno pagate.
2.2.Sono, altresì, infondate le doglianze articolate rispetto alla condotta di cui al capo 2) lett. D, per la quale la Corte di appello ha confermato il giudizio di penale responsabilità espresso dal giudice di primo grado. La sentenza impugnata, a fronte di una contestazione fondata sul carattere di antieconomicità dell’operazione effettuata- la stipula di preliminare per l’acquisto di un terreno sito su un’isola della Grecia, comportante il versamento di una caparre di euro 67.500,00 – ha correttamente ritenuto che l’antieconomicità dell’operazione dovesse essere desunta dal mancato recupero della caparra versata, tanto più in considerazione del fatto che si è trattato di un’operazione del tutto priva di giustificazioni per la società fallita e al di fuori del suo oggetto sociale.
La sentenza impugnata si colloca, sotto tale profilo, nel solco del consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la distrazione è nozione che la giurisprudenza di legittimità ricollega al distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito (con conseguente depauperamento in danno dei creditori), che può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela (Sez. 5, n. 44891 del 09/10/2008, COGNOME, Rv. 241830; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 30830 del 05/06/2014, COGNOME, Rv.
260486), in una prospettiva che attribuisce alla nozione di distrazione una funzione anche “residuale”, tale da ricondurre ad essa qualsiasi fatto determinante la fuoriuscita del bene dal patrimonio del fallito che ne impedisca l’apprensione da parte degli organi del fallimento(Sez. 5, n. del 23/06/2022, Rv. 283582 – 01; Sez. 5 n. 8431 del 01/02/2019, Rv. 276031).
2.3.È infondata, inoltre, la doglianza espressa con riferimento al reato di cui al capo 5) e legata, secondo la prospettazione difensiva, all’insussistenza dei presupposti per ritenere la società RAGIONE_SOCIALE in stato d’insolvenza fin dal 2010 proprio in virtù dei ripetuti finanziamenti concessi dalla società controllante RAGIONE_SOCIALE
L’art 2482 bis cod.civ. impone agli amministratori l’obbligo di convocare senza indugio l’assemblea dei soci per gli opportuni provvedimenti, in caso di diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo. Si tratta di un obbligo finalizzato ad informare i soci sulla situazione patrimoniale della società tramite relazione redatta dagli amministratori stessi e ad adottare le determinazioni necessarie a promuovere la riduzione della perdita a meno di un terzo del capitale da realizzare nel successivo esercizio; infatti, se entro l’esercizio successivo la perdita non risulta diminuita a meno di un terzo, di nuovo deve essere convocata l’assemblea per l’approvazione del bilancio e per la riduzione del capitale in proporzione delle perdite accertate. In mancanza è previsto, su richiesta degli amministratori, l’intervento del Tribunale che dispone la riduzione del capitale in misura corrispondente alle perdite.
La norma civilistica – che ricalca l’art 2446 dettato per le società per azioni al pari di quella ex ad 2447 cc indicata nel capo di imputazione – mira a garantire il regolare funzionamento degli organi societari e l’operare della società in conformità della legge, in modo da assicurare l’integrità del capitale sociale oppure, nel caso specifico della riduzione del capitale di oltre un terzo, ad informare il ceto creditorio circa la reale consistenza economica e patrimoniale della società a garanzia delle complessive ragioni dei creditori. Le ragioni creditizie sono salvaguardate dalla riduzione della perdita al di sotto del terzo del capitale da realizzare entro l’esercizio successivo oppure, nel caso del permanere delle perdite in misura superiore al terzo, dalla proporzionale riduzione del capitale e dalla pubblicità ad essa collegata, che rende edotti i soggetti in relazione commerciale con la società della sua reale consistenza patrimoniale.
Si tratta di una norma che impone agli amministratori l’adempimento progressivo di una pluralità di obblighi puntualmente elencati in ciascuno dei quattro commi dell’ad 2482 bis cc, il primo dei quali, in ordine logico funzionale, è quello di convocare l’assemblea dei soci, per il rilievo che assume nella vita della società . L’osservanza di tale norma è presidiata da sanzione penale in quanto «in tema di bancarotta semplice, la convocazione dell’assemblea dei soci, ex art.
2482-bis, cod. civ., in presenza di una diminuzione del capitale sociale di oltre un terzo per perdite, rientra tra gli “obblighi imposti dalla legge” la cui inosservanza può dar luogo a responsabilità penale dell’amministratore, ai sensi dell’art. 224, primo comma, numero 2, legge fall., quando costituisca causa o concausa del dissesto ovvero del suo aggravamento»(Sez. 5, n. 8863 del 09/10/2014, dep. 2015, Rv. 263421 – 01; Sez. 5, n. 154 del 26/05/2005, dep. 2006, Rv. 233385).
La Corte territoriale risulta avere fatto buon governo dei superiori insegnamenti, richiamando gli accertamenti esposti nella sentenza di primo grado e quelli operati dal curatore fallimentare, ed evidenziando che, a partire dal 2010 l’andamento economico della società aveva prodotto risultati negativi, tanto da avere comportato un azzeramento del capitale sociale.
Quanto al dedotto vizio di travisamento della prova va osservato che lo stesso può essere fatto valere con il ricorso per cassazione soltanto a condizione che la relativa deduzione abbia un oggetto definito e inopinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della dichiarazione e quello tratto dal giudice, con conseguente esclusione della rilevanza di presunti errori da questi commessi nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 8188 del 04/12/2017, dep. 2018, Rv. 272406; Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep.2013, Rv. 255087). Non essendo stato prospettato il vizio dedotto nei vincolanti termini riportati, la censura al riguardo è inammissibile in quanto del tutto generica.
2.3.1.La non manifesta infondatezza del motivo di ricorso su tale capo, impone di tenere conto del sopravvenuto maturare del termine di prescrizione, non emergendo, d’altra parte, dal testo della sentenza elementi che consentano di ritenere evidente la sussistenza di una causa di proscioglimento nel merito nel senso chiarito dalla costante giurisprudenza di questa Corte (v. per tutte Sez. U, n. 35490 del 28 maggio 2009, COGNOME, Rv. 244274).. Il termine di prescrizione del reato per cui si procede, che decorre dal 5.10.2016, data della dichiarazione di fallimento, pari, nella sua massima estensione, a sette anni e sei mesi, considerati, inoltre, i disposti periodi di sospensione (per la durata di complessivi giorni 185), risulta sicuramente perento prima della odierna decisione. L’annullamento della sentenza relativamente a tale reato comporta il rinvio alla Corte di appello di Firenze per le conseguenti statuizioni e valutazioni in punto di trattamento sanzionatorio ed eventuali benefici che diventino concedibili per effetto della rimodulazione dello stesso.
3. Deve, infine, dichiararsi inammissibile l’istanza di correzione della sentenza impugnata depositata telematicamente dalla curatela del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE
Nella stessa motivazione della sentenza la Corte territoriale ha omesso la liquidazione delle sole spese sostenute dalla parte civile istante, limitando la statuizione di rifusione delle spese soltanto alla curatela del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE L’istanza di correzione non può, però, trovare accoglimento in questa sede. Pur non sussistendo dubbi sulla necessarietà (per effetto della soccombenza dell’imputato nel giudizio di appello) e consequenzialità della statuizione di condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di parte civile, omessa nel dispositivo della sentenza di appello e legittimante un intervento di emenda – e pur ritenendo il Collegio ammissibile il ricorso alla procedura della correzione di errore materiale, in presenza di un’omissione quale quella di cui trattasi (v. Cass. Sez. 5, sente n. 42899 del 24.06.2014, Rv. 260788 e n. 51169 del 06.11.2013, Rv. 257656). Nel caso in esame, tuttavia, osta al ricorso alla procedura di correzione di errore materiale prevista dall’art. 130 c.p.p.. l’indeterminatezza, con connessa indefinabilità in questa sede, del quantum debeatur integrativo della concreta liquidazione delle spese da porsi in forma accessoriamente necessitata a carico dell’imputato. Siffatta quantificazione o monetizzazione delle spese di rappresentanza e assistenza della parte civile nel giudizio di appello non può ritenersi surrogabile in via sostitutiva da questa Corte, poiché l’operazione pur sempre implica – sebbene in ambiti circoscritti e delimitati tra i valori minimi e massimi previsti dalle tariffe forensi (art. 91 c.p.c., comma 1, art. 75 disp. att. c.p.p.) un giudizio di valore di carattere discrezionale proprio
‘giudice di merito, la cui mancanza non può essere sopperita e integrata da questo
giudice di legittimità ai sensi dell’art. 130 c.p.p., considerata la mancata indicazione di qualsiasi elemento utile in tal senso da parte della curatela istante che non risulta neppure avere allegato la nota spese depositata dinanzi la Corte
del .} territoriale.
L’emenda alla omessa pronuncia sulle spese di parte civile non è automatica e predeterminata, ma coinvolge valutazioni sia in ordine all’ammissibilità della relativa domanda (con riferimento all’interesse a contraddire) sia in materia di entità della liquidazione (che può anche essere sterilizzata dalla compensazione delle stesse), e tali caratteristiche si pongono come cause ostative all’accoglimento dell’istanza in esame.
4.In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali limitatamente al capo 5), perche’ il reato e’ estinto per prescrizione, e, per l’effetto, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze limitatamente al trattamento sanzionatorio e con rigetto nel resto. Va dichiarata
inammissibile l’istanza della parte civile RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio agli effetti penali limitatamente al c 5), perche’ il reato e’ estinto per prescrizione, e, per l’effetto, con rinvi sezione della corte di appello di Firenze limitatamente al trattame sanzionatorio. Rigetta nel resto il ricorso, dichiara inammissibile l’istanza parte civile fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Così deciso il 19/11/2024