Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 2507 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2507 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a TRESCORE BALNEARIO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 12/04/2023 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha così concluso: si riporta alla memoria già depositata e conclude per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avvocato NOME COGNOME, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha chiesto l’annullamento della sentenza e l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha riformato solo con riferimento alla durata delle pene accessorie fallimentari la sentenza del Tribunale di Bergamo che aveva affermato la responsabilità di NOME COGNOME, in concorso con due imputati separatamente giudicati, per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, in relazione al fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 21 luglio 2011.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi di seguito enunciati negli stretti limiti di c all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione.
La Corte di appello avrebbe tratto la prova del dolo dal mero dato materiale della tenuta irregolare della contabilità, senza considerare che l’imputato ha assunto la carica amministrativa solo nel marzo 2010 e dunque nell’ultimo tratto di vita della società e che gli unici libri ad essere messi a disposizione della curatela sono stati proprio quelli da lui tenuti, relativi al ramo di azienda che era di su competenza, laddove invece gli altri amministratori, che si occupavano di un diverso ramo di azienda, hanno del tutto omesso l’adempimento dell’obbligo di tenuta delle scritture.
Ancora, con riferimento alla mancanza del libro degli inventari, per il quale potrebbe parlarsi di sottrazione od omessa istituzione e dunque di fattispecie a dolo specifico, la Corte di appello avrebbe apoditticamente ravvisato la finalità di recare pregiudizio ai creditori in un dato ritenuto meramente “attendibile”, e dunque non provato al di là di ogni ragionevole dubbio, costituito dall’intento di rendere insondabile il trasferimento di un ramo di azienda ad una nuova società appositamente costituita, in prossimità del fallimento.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al diniego delle circostanze attenuanti generiche: esso sarebbe stato tautologicamente fondato sull’assenza di elementi positivi.
Del resto, la motivazione resa dalla Corte di appello, che ha considerato la circostanza che l’imputato abbia messo a disposizione della curatela una contabilità incompleta, fa coincidere il giudizio sul diniego delle circostanze attenuanti generiche con quello sulla sussistenza del reato.
Si è proceduto a discussione orale.
Il Procuratore generale ha richiamato la requisitoria scritta, nella quale ha concluso chiedendo dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il Difensore ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
La bancarotta fraudolenta documentale di cui all’art. 216, primo comma, n. 2 legge fall. prevede due fattispecie alternative:
quella di sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabil che richiede il dolo specifico;
quella di tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita che, diversamente dalla prima ipotesi, presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dagli organi fallimentari e richiede il dolo generico (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, COGNOME, Rv. 279838; Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650; Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno, Rv. 269904).
Anche l’ipotesi di omessa tenuta dei libri contabili può essere ricondotta, sotto il profilo dell’elemento materiale, nell’alveo di tipicità dell’art. 216, primo comma n. 2 legge fall. (prima ipotesi), atteso che la norma incriminatrice, punendo la tenuta della contabilità in modo tale da rendere relativamente impossibile la ricostruzione dello stato patrimoniale e del volume d’affari, a fortiori ha inteso punire anche l’imprenditore che non ha istituito la suddetta contabilità, anche solo per una parte della vita dell’impresa.
Con riferimento alla linea di discrimine tra bancarotta fraudolenta documentale a dolo generico e corrispondente ipotesi a dolo specifico, la giurisprudenza ha precisato (Sez. 5, n. 15743 del 18/01/2023, Gualandri, Rv. 284677): «La norma incriminatrice di cui all’art. 216, comma 1, n. 2, legge fallimentare, come da tempo affermato da questa Corte, tende, tra l’altro, anche a tutelare l’agevole svolgimento delle operazioni della curatela; sicché, nel caso in cui le scritture siano state tenute in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, la disposizione circoscrive nel perimetro della rilevanza penale ogni manipolazione documentale che impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del movimento dei suoi affari. Da tempo è stato chiarito come tale ultimo addebito si riferisca ad una condotta a forma libera che, in realtà, comprende ogni ipotesi di falsità, sia
materiale che ideologica, posto che proprio l’agevole svolgimento delle operazioni della curatela non può che essere ostacolata non solo da falsità materiali dei documenti, ma anche – e soprattutto – da quelle ideologiche, che forniscono un’infedele rappresentazione del dato contabile (Sez. 5, n. 3115 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, COGNOME, Rv. 249267; Sez. 5, n. 3951 del 18/02/1992, COGNOME, Rv. 189812). In linea con tale linea interpretativa, va ulteriormente chiarito che la parziale omissione del dovere annotativo, che riguardi uno o più libri contabili, integra la fattispecie di bancarotta documentale a dolo generico; ciò in quanto la singola, omessa annotazione, o anche l’annotazione parziale, presuppongono, in ogni caso, l’esistenza della scrittura contabile di riferimento, elemento imprescindibile per la configurazione della bancarotta a dolo generico; inoltre, tali condotte di falsificazione ideologica, che rendono lacunosa e/o incompleta la rappresentazione contenuta nella scrittura, concretano, in sostanza, altrettante falsificazioni per omissione, valutabili ai fini di una impossibilità difficoltà nella ricostruzione delle vicende contabili e patrimoniali dell’impresa (Sez. 5, n. 3114 del 17/12/2010, dep. 28/01/2011, COGNOME, Rv. 249266)… sotto l’aspetto fenomenico deve osservarsi che, in realtà, sia la tenuta confusa, incompleta, falsificata della contabilità, che l’omessa tenuta della stessa – totale o parziale che sia -, ovvero le condotte di sottrazione, distruzione, occultamento e falsificazione, determinano tutte, indistintamente, una impossibilità ricostruttiva dell’andamento dell’azienda e delle scelte imprenditoriali, nella misura in cui queste ultime rilevano sul piano penale. Tuttavia, nei soli casi di sottrazione, distruzione, occultamento … è richiesto un elemento ulteriore, ossia il pregiudizio per i creditori (o l’ingiusto profitto che l’agente intende raggiungere, per sé o per terzi), che costituisce il fuoco dell’elemento soggettivo, integrando il dolo specifico richiesto dalla norma; le condotte di bancarotta documentale fraudolenta a dolo generico, invece, sono connotate esclusivamente da una peculiare modalità della condotta che, pur non costituendo l’evento del reato, individuano l’atteggiamento soggettivo richiesto dalla norma incriminatrice». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La pur necessaria messa a fuoco dei concetti sin qui ricordati non può esimere dal ricordare che «la fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale è strutturata come norma incriminatrice mista alternativa, il che significa che la disposizione incriminatrice prevede un unico reato che, tuttavia, può essere commesso con condotte diverse, ma equivalenti, ossia con condotte fungibili» (Sez. 5, n. 15743/2023, cit.). Pertanto, una volta accertata la responsabilità in ordine alla tenuta della contabilità in modo da rendere impossibile la ricostruzione del movimento degli affari e del patrimonio della fallita – che richiede il solo dolo generico – diviene superfluo accertare il dolo specifico richiesto per la condotta di
sottrazione o distruzione dei libri e delle altre scritture contabili, anch’ess contestata (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271753).
La premessa è indispensabile per chiarire i termini dell’imputazione che la Corte di appello ha ritenuto integrata.
In premessa la sentenza evidenzia il coinvolgimento pieno dell’imputato nella vita della società sin dal 1996: si trattava di una società in nome collettivo nella quale tutti e tre i soci, compreso l’imputato, erano amministratori con autonomo potere di firma (pagg. 2-3 della sentenza impugnata). Non coglie dunque nel segno la critica del ricorrente, che evidenzia il ruolo rivestito dall’imputato nel sol ultimo anno di vita dell’impresa, fermo restando che esula dal potere della Corte di cassazione quello di rivalutare le prove e che il compito della Corte è solo quello di verificare la logicità della sentenza “rispetto a se stessa”, cioè la corrispondenza delle conclusioni prese rispetto alle premesse rassegnate, ovviamente fermo il rilievo, ove specificamente dedotto (e non è questo il caso) del travisamento di prova decisiva.
Detto ciò, la Corte di appello ha ben evidenziato che, in effetti, i due rami dell’azienda familiare tenevano la contabilità in modo separato, portando così a risultati di difficile intellegibilità; e che l’odierno imputato ha consegNOME curatore libri incompleti e fortemente lacunosi (in particolare il libro giornale) scritture del tutto inattendibili, non aggiornate e contenenti falsificazioni (qual l’esposizione di un credito inesistente, o di saldi di cassa negativi, o la registrazione di una liquidità poi non rinvenuta).
Anche quando ha commentato il mancato rinvenimento del libro inventari, però, la Corte territoriale non ne ha tratto la conclusione che si sia trattato di una totale omissione o di una sottrazione del libro, con la conseguenza che in parte qua dovrebbe intendersi configurata la fattispecie di reato a dolo specifico. La Corte, infatti, ha ritenuto attendibile che tutti i libri siano stati istituiti (pa che dunque tutte le condotte ascritte e ritenute provate rientrassero nella fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale c.d. generica: non a caso, nel motivare sull’elemento soggettivo, la Corte non ha affatto ravvisato il dolo specifico di creare pregiudizio ai creditori, come afferma il ricorrente.
Quello di cui la Corte di appello parla a pagina 10 della sentenza, infatti, è un mero “pregiudizio conoscitivo” del ceto creditorio, cioè quella impossibilità di ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari in cui si realizza la bancarotta fraudolenta documentale generica.
La Corte ha, del tutto attendibilmente, motivato in ordine alla sussistenza del dolo richiesto, evidenziando come le peculiarità dei dati esposti, quali appunto la mancata contabilizzazione di incassi di crediti, l’indicazione di saldi negativi di
cassa, l’esposizione di crediti inesistenti o inesigibili e di un saldo finale positi inesistente impediscano di ravvisare in capo all’imputato la mera colpa.
Va soltanto aggiunto che, alla luce delle premesse in diritto sopra svolte, l’argomentazione del ricorrente non potrebbe in ogni caso conseguire il risultato avuto di mira. In altri termini, se pure la Corte di appello avesse illogicamente affermato l’istituzione anche di quel libro che non è stato reperito, le conclusioni non muterebbero. Accertati infatti i presupposti della bancarotta documentale generica con riferimento agli altri libri contabili, l’eventuale omessa tenuta di uno solo di essi non necessiterebbe la prova del dolo specifico.
3. Infondato è anche l’ultimo motivo.
Correttamente la Corte di appello, preso atto che l’incensuratezza non è di per sé sufficiente al riconoscimento delle attenuanti generiche, ha evidenziato l’assenza di elementi positivamente valorizzabili, facendo buon governo dei principi consolidati: «le attenuanti generiche hanno la funzione di adeguare la pena al caso concreto, permettendo la valorizzazione di connotati oggettivi o soggettivi non tipizzati ma che appaiono in grado di diminuire la meritevolezza e/o il bisogno di pena. Esse, quindi, presuppongono l’esistenza di elementi “positivi”, intendendo per tali quelli che militano per una diminuzione della pena che risulterebbe dall’applicazione dell’art. 133 c.p. Ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta … Al contrario, è la suindicata meritevolezza, quando se ne affermi l’esistenza, che necessita di apposita motivazione, dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti idonei a giustificare la mitigazione del trattamento sanzioNOMErio» (Sez. 2, n. 4145 del 18/10/2019, dep. 2020, Ratto Trabucco, n.m.; Sez. 1, n. 46568 del 18/5/2017, Lamin, Rv. 271315).
L’assenza di elementi positivamente valorizzabili è sufficiente al diniego delle circostanze attenuanti generiche e, rispetto a tale decisione, non assume alcun rilievo l’ulteriore considerazione svolta dalla Corte di appello circa la consegna di scritture incomplete.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 30/11/2023