Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 19108 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 19108 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CAREZZANO il 28/03/1956
avverso la sentenza del 15/07/2024 della CORTE APPELLO di TORINO visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria a firma del Sostituto Procuratore Generale NOME
COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa il 16 febbraio 2022, il Tribunale di Alessandria aveva condannato COGNOME NOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva, bancarotta fraudolenta documentale, bancarotta impropria da falso in bilancio e bancarotta semplice per aggravamento del dissesto, in relazione alla società “RAGIONE_SOCIALE, fallita il 5 giugno 2015. Aveva assolto, invece, il COGNOME dall’imputazion
di non avere depositato i bilanci, entro tre giorni dalla comunicazione della sentenza di fallimento (capo E).
Con sentenza emessa il 15 luglio 2024, la Corte di appello di Torino ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando l’estinzione per prescrizione del reato di bancarotta semplice per aggravamento del dissesto (capo B), riconoscendo le attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sull’aggravante, rideterminando il trattamento sanzionatorio e riconoscendo il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Secondo la Corte di appello, l’imputato – nella qualità di amministratore unico – avrebbe distratto tre telefoni cellulari di proprietà della fallita e avrebbe ten le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e l’andamento degli affari della società (capo A).
Avrebbe, inoltre, aggravato il dissesto, commettendo il reato di cui all’art. 2621 cod. civ. In particolare: esponeva crediti inesistenti verso clienti per l’ammontare di euro 105.276,00; ometteva di esporre nel passivo gli ingenti debiti che la società aveva nei confronti dell’erario, rappresentando un’alterazione del risultato di esercizio superiore al 5% e un’alterazione del patrimonio netto superiore all’r/o (capo C).
Avrebbe, infine, distratto la somma di euro 39.300,00, prelevandola dal conto corrente della società (capo D).
Avverso la sentenza della Corte di appello, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216, 219, 223 e 224 legge fall.
Sostiene che l’imputato avrebbe dovuto essere assolto dal reato contestato al capo A oppure, «in via gradata», il reato di bancarotta fraudolenta documentale avrebbe dovuto essere riqualificato in bancarotta semplice documentale.
Dall’istruttoria, infatti, sarebbe emersa in modo evidente l’insussistenza del dolo specifico richiesto per l’integrazione della bancarotta fraudolenta. Dalle dichiarazioni dei testi COGNOME COGNOME e COGNOME, invero, sarebbe emerso che l’imputato era una brava persona, i cui errori erano determinati da sbadataggine e non dall’intento di arrecare danno ai creditori.
In ogni caso, i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere la circostanza attenuante prevista dall’art. 219, comma 3, legge fall., atteso che non sarebbe stato provato, «in maniera certa», quale sarebbe stato il danno patrimoniale cagionato.
2.2. Con un secondo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 223 legge fall.
Contesta la sussistenza del falso in bilancio, sostenendo che l’apposizione nel bilancio al 31 dicembre 2011 dei crediti verso i clienti COGNOME e COGNOME, nonostante i creditori avessero già pagato quanto dovuto, sarebbe irrilevante. Invero, «gli importi incassati sarebbero stati destinati al pagamento dell’esposizione verso il sistema bancario».
L’annotazione di tali crediti, in ogni caso, sarebbe stata frutto di un mero errore nella redazione del bilancio. La scarsa rilevanza dell’errore emergerebbe anche dalle dichiarazioni rese dai testi NOME e COGNOME.
2.3. Con un terzo motivo, deduce il vizio di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 223 legge fall.
Contesta la sussistenza della distrazione della somma di euro 39.300,00, prelevata dal conto corrente della società.
Al riguardo, rappresenta che: dalla scheda contabile del 2011, risultava che si trattava di restituzione di finanziamenti ai soci; la società era fallita ben quatt anni dopo la restituzione dei finanziamenti; l’art. 2467 cod. civ. prevede la postergazione del rimborso dei finanziamenti dei soci, con restituzione dei rimborsi effettuati, solo se avvenuti nell’anno precedente alla dichiarazione di fallimento.
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che si tratterebbe non di una distrazione di denaro, ma solamente di un pagamento preferenziale, neppure penalmente perseguibile per la collocazione temporale della restituzione ben quattro anni prima del fallimento della società.
Il Procuratore generale, nelle sue conclusioni scritte, ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
L’avv. NOME COGNOME per l’imputato, ha presentato conclusioni scritte, con le quali ha chiesto, in via principale, di annullare l sentenza impugnata e, in via subordinata, di annullare la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo E), perché estinto per prescrizione, con conseguente rideterminazione della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere rigettato.
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
Il ricorrente invero si limita a delle generiche asserzioni, riferite confusamente sia alla bancarotta distrattiva che a quella documentale.
Al riguardo, va chiarito che, al capo A della rubrica, sono contestati sia la bancarotta fraudolenta distrattiva che la bancarotta fraudolenta documentale.
Con riferimento alla prima, come già evidenziato dalla Corte di appello, le asserzioni della difesa relative all’insussistenza del dolo specifico appaiono prive di rilievo, atteso che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la bancarotta fraudolenta distrattiva non richiede il dolo specifico, ma quello generico. Sotto tale profilo, deve essere ribadito che «il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori» (Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 260407; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, COGNOME, Rv. 253932), ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
Le asserzioni del ricorrente relative all’insussistenza del dolo specifico assumono scarsa rilevanza anche con riferimento alla bancarotta documentale, atteso che, come evidenziato dalla Corte di appello, nel caso in esame, il reato era stato contestato nella forma a dolo generico e i giudici di merito in tale forma lo hanno ritenuto dimostrato (cfr. pagine 3 e 4 della sentenza impugnata).
Risulta generica anche la deduzione relativa alla circostanza attenuante prevista dall’art. 219, comma 3, legge fall., atteso che l’applicazione di una circostanza attenuante presuppone che ne sia stata provata la sussistenza. Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto dedurre che risultava dimostrata la particolare tenuità del danno patrimoniale arrecato con le condotte distrattive e non limitarsi ad asserire che non sarebbe stato provato, «in maniera certa», quale sarebbe stato il danno patrimoniale cagionato. Va, peraltro, evidenziato che, con riferimento a tale deduzione, il motivo si presenta privo di specificità estrinseca, non confrontandosi con la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte di appello esclude l’applicabilità della circostanza in questione alle condotte distrattive contestate all’imputato, atteso il valore dei telefoni trafugati l’importo (euro 39.300,00) della somma sottratta.
1.2. Il secondo motivo è infondato.
Va, in primo luogo, evidenziato che il ricorrente espone le sue argomentazioni con specifico riferimento all’erronea apposizione in bilancio dei crediti e non contesta la mancata annotazione in bilancio degli ingenti debiti nei confronti dell’erario, descritta nell’imputazione e ritenuta dimostrata dai giudici di merito (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
Va, poi, rilevato che la Corte di appello ha ritenuto infondata la tesi della difesa, secondo la quale l’errata apposizione in bilancio di crediti già soddisfatti
sarebbe irrilevante, atteso che «gli importi incassati sarebbero stati destinati al pagamento dell’esposizione verso il sistema bancario». Tale tesi era infondata in
quanto si basava su un presupposto non provato, ossia che le somme pagate dai clienti COGNOME e NOME fossero finite sui conti della società e poi destinate al
pagamento dei debiti verso le banche. La Corte di appello ha evidenziato anche che la tesi dell’errore era poco verosimile, atteso che l’interessato non aveva
provveduto a correggere il presunto errore neppure nei quattro anni successivi.
L’apposizione in bilancio di tali crediti, d’altronde, si inseriva in un più ampi quadro di falsa rappresentazione della situazione della società, finalizzata a
coprirne le considerevoli perdite.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata
con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 6 della sentenza impugnata), con le quali il ricorrente non si è effettivamente confrontato.
La Corte di appello, in particolare, ha posto in rilievo che le somme distratte dalle casse sociali non potevano essere considerate delle restituzioni di somme anticipate dal socio, atteso che mancava la prova della pregressa immissione di liquidità da parte dell’imputato in favore della società.
1.4. Del tutto priva di fondamento è la richiesta, avanzata dal ricorrente in sede di conclusioni scritte, di dichiarare la prescrizione del reato contestato al capo E), atteso che, in ordine a tale reato, è stata pronunciata sentenza di assoluzione fin dal primo grado di giudizio.
Al rigetto del ricorso per cassazione, consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 7 marzo 2025.