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Bancarotta fraudolenta: dolo generico e prova del danno

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un amministratore per il reato di bancarotta fraudolenta, chiarendo un principio fondamentale: per la configurazione del reato di distrazione non è richiesto il dolo specifico, ovvero l’intenzione di danneggiare i creditori, ma è sufficiente il dolo generico. Quest’ultimo consiste nella consapevolezza di dare ai beni sociali una destinazione diversa da quella aziendale. La Corte ha rigettato il ricorso dell’imputato, che sosteneva di aver agito per negligenza e non con l’intento di frodare, confermando le decisioni dei giudici di merito.

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Pubblicato il 3 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: Dolo Generico Sufficiente per la Condanna

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19108 del 2025, torna a fare luce su un tema cruciale del diritto penale fallimentare: la natura dell’elemento soggettivo nel reato di bancarotta fraudolenta per distrazione. La Suprema Corte ha confermato la condanna di un amministratore, ribadendo un principio consolidato: per integrare il reato è sufficiente il dolo generico, e non è necessario dimostrare la volontà specifica di arrecare un danno ai creditori.

I Fatti del Processo

Il caso riguarda l’amministratore unico di una S.r.l., dichiarata fallita nel 2015. L’imputato era stato condannato in primo grado e in appello per diversi reati, tra cui bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, bancarotta impropria da falso in bilancio e bancarotta semplice.

Le condotte contestate erano molteplici:
Distrazione di beni: l’amministratore si era appropriato di tre telefoni cellulari di proprietà della società e aveva prelevato dal conto corrente una somma di circa 40.000 euro.
Bancarotta documentale: aveva tenuto le scritture contabili in modo tale da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Falso in bilancio: aveva esposto crediti inesistenti per oltre 100.000 euro e omesso di indicare ingenti debiti verso l’erario, alterando significativamente il risultato d’esercizio e il patrimonio netto.

La Corte d’Appello aveva parzialmente riformato la sentenza di primo grado, dichiarando prescritto uno dei reati minori, ma confermando nel complesso l’impianto accusatorio e la condanna per i reati più gravi.

I Motivi del Ricorso e la Bancarotta Fraudolenta

L’amministratore, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su tre argomenti principali.

In primo luogo, ha sostenuto l’insussistenza del dolo. A suo dire, gli errori commessi erano frutto di ‘sbadataggine’ e non dell’intento di danneggiare i creditori. Chiedeva quindi l’assoluzione o, in subordine, la riqualificazione del reato in bancarotta semplice documentale, meno grave.

In secondo luogo, ha contestato l’accusa di falso in bilancio, definendo ‘irrilevante’ l’errata apposizione di alcuni crediti, in quanto le somme incassate sarebbero state usate per pagare debiti verso le banche.

Infine, ha negato la distrazione della somma di denaro, sostenendo che si trattasse della restituzione di un finanziamento soci, avvenuta peraltro ben quattro anni prima del fallimento.

La Decisione della Corte: il Dolo nella Bancarotta Fraudolenta

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, giudicandolo infondato in ogni suo punto. La parte centrale della sentenza si concentra sulla natura del dolo nella bancarotta fraudolenta per distrazione.

Il Dolo Generico è Sufficiente

Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, i giudici hanno ribadito che ‘il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico’. Ciò significa che, per la sussistenza del reato, non è necessario che l’agente abbia la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa né che agisca con lo scopo specifico di recare pregiudizio ai creditori (dolo specifico).

È invece sufficiente la ‘consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori’. In altre parole, l’amministratore che sottrae un bene alla società, pur senza pensare direttamente a frodare i creditori, commette il reato perché è consapevole che quell’atto impoverisce l’azienda e riduce la garanzia patrimoniale per i terzi.

Analisi delle Altre Contestazioni

La Corte ha ritenuto infondate anche le altre doglianze:
Bancarotta documentale: I giudici di merito avevano già accertato che le irregolarità contabili erano state commesse con dolo generico e non per mera negligenza.
Attenuante del danno di speciale tenuità: La richiesta è stata respinta, considerando il valore non trascurabile sia dei telefoni sottratti sia, soprattutto, della somma di denaro distratta (quasi 40.000 euro).
Falso in bilancio e distrazione di fondi: La Corte ha evidenziato come la difesa non avesse contestato l’omessa annotazione degli ingenti debiti verso l’erario, un fatto di per sé grave. Inoltre, riguardo alla somma prelevata, i giudici hanno sottolineato che non era stata fornita alcuna prova di un pregresso finanziamento del socio alla società, rendendo l’operazione una pura e semplice distrazione di cassa.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su un orientamento giurisprudenziale consolidato. La ratio della norma sulla bancarotta per distrazione è quella di proteggere l’integrità del patrimonio aziendale come garanzia per i creditori. Qualsiasi atto che, consapevolmente, depaupera tale patrimonio in favore dell’amministratore o di terzi, a prescindere dal fine ultimo, è considerato penalmente rilevante. Distinguere tra dolo generico e specifico è fondamentale: richiedere la prova di un intento specifico di frodare renderebbe molto più difficile la repressione di condotte che, di fatto, mettono a rischio gli interessi dei creditori. La Corte, pertanto, conferma che la volontaria destinazione dei beni a scopi extra-aziendali è di per sé sufficiente a integrare l’elemento soggettivo del reato.

Le Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante monito per tutti gli amministratori di società. La gestione del patrimonio sociale deve essere improntata alla massima correttezza e trasparenza. La Suprema Corte chiarisce ancora una volta che la legge non punisce solo chi agisce con il preciso scopo di ingannare i creditori, ma anche chi, con le proprie azioni, mette consapevolmente a repentaglio le sorti dell’impresa e le garanzie patrimoniali. La linea di confine tra una gestione imprudente e una condotta penalmente rilevante può essere sottile, ma la distrazione di beni, anche di valore apparentemente modesto, è un atto che la legge sanziona con severità.

Per essere condannati per bancarotta fraudolenta per distrazione è necessario aver agito con lo scopo specifico di danneggiare i creditori?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che è sufficiente il ‘dolo generico’, ovvero la consapevolezza e volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella aziendale, senza che sia necessario dimostrare l’intento specifico di pregiudicare i creditori.

Cosa si intende per dolo generico in questo contesto?
Si intende la semplice volontà di compiere atti che distraggono beni dalla società, con la consapevolezza che tali atti possono causare un danno ai creditori. Non è richiesta l’intenzione mirata di provocare l’insolvenza o di frodare.

La semplice ‘sbadataggine’ o negligenza nella gestione contabile può giustificare una condanna per bancarotta fraudolenta documentale?
No, la negligenza non è sufficiente per la bancarotta fraudolenta, che richiede il dolo. Tuttavia, nel caso esaminato, i giudici hanno ritenuto che la tenuta delle scritture contabili fosse tale da impedire la ricostruzione del patrimonio e fosse stata posta in essere con dolo generico, e non per mera sbadataggine, confermando la condanna.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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