Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18867 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18867 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a BERGAMO il 13/07/1969
avverso la sentenza del 03/07/2024 della Corte d’appello di Brescia Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata quanto alla bancarotta fraudolenta documentale e l’inammissibilità nel resto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sentenza impugnata è stata deliberata il 3 luglio 2024 dalla Corte di appello di Brescia che – pronunciandosi su appello dell’imputata – ha confermato la decisione del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Bergamo che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato NOME COGNOME per i reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e documentale, quale amministratore della società RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita dal Tribunale di Bergamo il 23 novembre 2017.
Avverso detta sentenza ha presentato ricorso l’imputata con il ministero del proprio difensore di fiducia, che ha affidato le censure a due motivi.
2.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge quanto al dolo della bancarotta fraudolenta distrattiva, che difetterebbe perché le attività depauperative erano coeve alla costituzione della RAGIONE_SOCIALE, quindi – si legge nel ricorso – esse si collocherebbero in una fase in cui la società non versava in una condizione di dissesto; l’inattività successiva della società, di contro, sarebbe legata a vicende personali dell’imputata.
2.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione di legge quanto al coefficiente soggettivo della bancarotta fraudolenta documentale. Dopo aver enunciato una premessa quanto alle differenze, in punto di coefficiente soggettivo, tra la bancarotta fraudolenta documentale generale e quella specifica, la ricorrente conclude che il dolo generico richiesto sarebbe indimostrato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata quanto alla bancarotta fraudolenta documentale mentre, per il resto, il ricorso è inammissibile.
Nel primo motivo di ricorso si assommano vari difetti: la genericità e l’aspecificità della doglianza, da una parte, e la sua manifesta infondatezza, dall’altra.
Partendo da quest’ultimo aspetto, il Collegio rileva che la tesi della ricorrente – che, sia pure con argomentazione vaga, attribuisce un ruolo, nella dimostrazione del coefficiente soggettivo del reato, al dissesto della società diverge dal costante insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, che reputa irrilevante, nella delineazione dei contorni della fattispecie tipica di bancarotta fraudolenta distrattiva, la condizione di decozione dell’impresa, sia prima che dopo l’attività predatoria e, che, di conseguenza, nega rilievo alla coscienza e volontà del dissesto in capo all’autore del fatto.
A questo riguardo, il Collegio ricorda che è patrimonio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, che non è richiesta l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di bancarotta distrattiva e il successivo fallimento, né tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento di quest’ultima destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804; tra le altre, Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 01, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437 – 01,
Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME e altro, Rv. 270763 – 01, in motivazione; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942). Ciò che, piuttosto, è rilevante è che la condotta depauperativa abbia cagionato un concreto pericolo per la garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, donde il Giudice penale non deve verificare che la condotta predatoria sia avvenuta in un momento in cui si era verificato il dissesto della società, né che quest’ultimo sia stato cagionato dall’agire dell’imputato, avendo esclusivo rilievo l’incidenza che l’attività ascritta all’autore del fatto abbia avuto sulla garanzia patrimoniale a disposizione del ceto creditorio.
Da questa costruzione discende, quanto al versante soggettivo, che l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Sez. U, COGNOME; Sez. 5, COGNOME, Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389), con la rappresentazione «della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice» (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME ed altri, Rv. 263801). In coerenza con la costruzione del reato come di pericolo concreto, tale consapevolezza deve riguardare, in particolare, la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, come consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori (Sez. 5, COGNOME).
In termini di prova della natura distrattiva di un’operazione e della relativa consapevolezza in capo al suo autore come sopra delineate, la sentenza COGNOME ha altresì enucleato degli “indici di fraudolenza” «della cui valenza dimostrativa il giudice penale – fuori dei casi di immediata evidenza dell’estraneità o, viceversa, della riconducibilità del fatto al paradigma della fraudolenza – deve dar conto con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo» A titolo esemplificativo la
sentenza in esame ha indicato, tra gli anzidetti indici di fraudolenza, la «disamina del fatto distrattivo, dissipa tivo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata;» il « contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi;» la «”distanza” (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale». Ebbene, è proprio a tali “indici di fraudolenza” che la Corte distrettuale ha fatto riferimento allorché ha posto in luce l’eccentricità della scelta dell’imputata di cedere a titolo gratuito ad altra entità imprenditoriale l’intero parco automezzi – costituito, si badi, da ben quindici veicoli – rispetto a qualsiasi logica imprenditoriale, sì da colorare di inequivocabile illiceità la scelta effettuata.
Né rileva, nella specie, la distanza temporale tra l’attività depauperativa e la dichiarazione di fallimento, dal momento che, come correttamente sottolineato dal Procuratore generale nella sua requisitoria scritta, dopo la fuoriuscita dei beni strumentali dal patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, nessuna ulteriore attività è stata compiuta e la società è stata abbandonata al suo destino, senza che sia stato posto in essere qualsivoglia tentativo di ripianare la perdita cagionata al patrimonio sociale. Tanto più che, come pure si legge nella decisione avversata, i debiti tributari che costituiscono il passivo fallimentare erano maturati fin dagli anni 2009 e 2010 e, quindi, l’amministratrice della società sapeva che privare la RAGIONE_SOCIALE dei veicoli attraverso i quali poteva essere svolta l’attività di impresa avrebbe pregiudicato irrimediabilmente le ragioni creditorie del Fisco.
1.2. Come anticipato, il ricorso è, in parte qua, inammissibile anche per genericità intrinseca ed estrinseca, dal momento che affida le ragioni di censura ad argomentazioni vaghe e si limita, per la gran parte, all’evocazione di principi giurisprudenziali, senza tuttavia collegarli alle affermazioni che si leggono nella sentenza impugnata quanto alla natura schiettamente distrattiva della cessione a titolo gratuito dell’intero parco veicoli ad altra società e alla conseguente sottrazione alla RAGIONE_SOCIALE di ogni bene strumentale, sì da destinarla inesorabilmente all’inattività, come incontestabilmente emerso e come ammesso dalla stessa difesa.
E’ fondato, invece, il motivo di ricorso che attiene alla bancarotta fraudolenta documentale.
Quanto a quest’ultimo addebito, occorre precisare che la sentenza di primo grado aveva ritenuto l’imputata colpevole del reato di bancarotta fraudolenta
documentale cosiddetta generale (cfr. pag. 5 della sentenza di primo grado), per avere tenuto la contabilità in modo da impedire la ricostruzione del patrimonio societario.
La Corte di appello, dal canto suo, sul presupposto che «la distruzione, l’occultamento o la mancata consegna al curatore e l’omessa o irregolare o incompleta tenuta delle scritture contabili» siano condotte equivalenti, pare concludere che all’imputata vada ascritta l’omessa tenuta della contabilità, condotta che la Corte di merito ha ritenuto sorretta dalla consapevolezza di rendere «impossibile una puntuale ricostruzione della vita della fallita e del patrimonio della stessa» (così la sentenza impugnata a pag. 7).
Ebbene, il costrutto della Corte territoriale evidenzia varie anomalie, non tutte rimarcate nel ricorso ma, comunque, incidenti sull’errore di inquadramento della fattispecie e della concreta regiudicanda e sul deficit argomentativo in punto di coefficiente soggettivo, che è l’obiettivo della censura.
La prima anomalia è rappresentata dal fatto di avere mutato l’addebito rispetto a quello ascritto all’imputata in primo grado, passando da bancarotta fraudolenta documentale generale a quella specifica da omessa tenuta. Con riferimento a questo primo aspetto, si ricorda che l’omessa tenuta della contabilità interna integra gli estremi del reato di bancarotta documentale fraudolenta, e non di quello di bancarotta semplice, se lo scopo dell’omissione è quello di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 18320 del 07/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 279179; Sez. 5, n. 11115 del 22/01/2015, COGNOME, Rv. 262915; la rilevanza ex art. 216 legge fall. dell’omissione laddove collegata al fine pregiudizievole è richiamata anche in Sez. 5, n. 42754 del 26/05/2017, COGNOME, Rv. 271847 e Sez. 5, n. 47923 del 23/9/2014, COGNOME, rv. 261040). Tale ipotesi, insieme alla sottrazione, distruzione o falsificazione, costituisce una fattispecie autonoma ed alternativa – in seno all’art. 216, comma primo, n. 2), legge fall. – rispetto alla fraudolenta tenuta di tali scritture che, invece, integra un’ipotesi di reato a dolo generico e presuppone un accertamento condotto su libri contabili effettivamente rinvenuti ed esaminati dai predetti organi (Sez. 5, n. 26379 del 05/03/2019, COGNOME, Rv. 276650 Sez. 5, n. 43966 del 28/06/2017, COGNOME, Rv. 271611; Sez. 5, n. 18634 del 01/02/2017, Autunno e altro, Rv. 269904).
Ed è proprio da questo mutamento – che la ricorrente sembra non avere colto – che discende un’insuperabile falla argomentativa nella pronunzia avversata, ossia quella di non avere offerto alcuna motivazione che giustificasse il dolo specifico della fattispecie in concreto ritenuta, ma, anzi, in definitiva, di avere confuso il coefficiente soggettivo della bancarotta da omessa tenuta con quello della bancarotta fraudolenta documentale generale; la sentenza individua,
infatti, l’oggetto del dolo della prima nella consapevolezza che l’omessa tenuta della contabilità avrebbe reso impossibile la ricostruzione del patrimonio sociale,
mentre sarebbe stato necessario spiegare se ed in che termini la condotta omissiva della prevenuta fosse diretta a pregiudicare i creditori.
Da tanto consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia, che
dovrà nuovamente esaminare i motivi di appello sulla bancarotta fraudolenta documentale, da inquadrare secondo i principi sopra rievocati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello
di Brescia. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 14/04/2025.