Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 6400 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 6400 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a AGRIGENTO il DATA_NASCITA
NOME COGNOME nato a RACALMUTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/11/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, NOME COGNOME, il quale, riportandosi alla requisitoria scritta depositata, ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udito, per il ricorrente COGNOME, l’AVV_NOTAIO, che si è riportato ai motivi di ricorso e ha insistito per l’accoglimento degli stessi;
udito, per il ricorrente COGNOME NOME, l’AVV_NOTAIO, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Palermo confermava la pronuncia di condanna di primo grado resa nei confronti dei ricorrenti dal Tribunale di Agrigento per i delitti, quanto al ricorrente COGNOME NOME, di cui al capo a) dell’imputazione e, quanto al ricorrente COGNOME, di cui ai capi a), esclusa la distrazione delle immobilizzazioni materiali, b), previo parziale assorbimento nello stesso dei fatti di cui ai capi e) e c), esclusa la distrazione della somma di euro 303.202,91.
Avverso la richiamata sentenza l’imputato COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, articolando nove motivi di impugnazione, di seguito riportati nei limiti previsti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del provvedimento impugnato rispetto agli artt. 192 e 533 cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 81, comma 2, 40, comma 2, 110 cod. pen., 223, comma 1, n. 1, e 219, comma 2, n. 1, I. fall., in ordine al suo concorso nella bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché di bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale da reato societario della stessa RAGIONE_SOCIALE, in assenza di prove idonee a ritenerne la colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio per tutti i capi di imputazione per i quali è stato condannato, con pronunce idonee ad integrare una c.d. doppia conforme, nei gradi di merito.
In particolare, sussisterebbe un evidente travisamento della prova laddove la decisione della Corte territoriale:
con riguardo al delitto di cui al capo a), ha, per un verso, ricondotto alla distrazione ipotizzata la differente ipotesi della dissipazione e, per un altro, non si è confrontata con l’esistenza del contratto di comodato, incompatibile con la volontà di porre in essere la bancarotta fraudolenta distrattiva e, dunque, con il relativo elemento soggettivo;
con riferimento al delitto di cui al capo b), ha considerato sussistenti le distrazioni ipotizzate senza confrontarsi con i dati probatori acquisiti, indicati ne quarto motivo di ricorso, incompatibili con il dolo;
rispetto al delitto di cui al capo c), ha ritenuto integrate le fattispec distrattive;
in relazione al delitto di cui al capo e), ha omesso di vagliare che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società RAGIONE_SOCIALE è stata realizzata senza la necessità di utilizzare documenti esterni.
Nel complesso, inoltre, in contrasto con gli insegnamenti rinvenienti dalla sentenza delle Sezioni Unite c.d. Franzese e con il principio sancito dall’art. 533 cod. proc. pen., la sentenza impugnata avrebbe omesso di considerare le più logiche ricostruzioni alternative idonee a concretare un dubbio ragionevole:
quanto ai capi a), b) e c) dell’imputazione, per l’assenza di qualsivoglia pericolo per le garanzie riservate ai creditori;
rispetto ai capi a), b) e c), per la mancanza della finalità di ledere o mettere in pericolo le garanzie riservate ai creditori;
con riguardo al capo e), stante la possibilità di ricostruire il patrimonio e le operazioni senza ricorrere a fonti esterne.
2.2. Con il secondo motivo, il COGNOME denuncia inosservanza o erronea applicazione degli artt. 81, comma 2, 110 cod. pen., 223, comma 1, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1) e 219, comma 2, n. 1), I.fall., nonché vizio di motivazione e travisamento probatorio, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo della bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare delle società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo a) dell’imputazione.
A fondamento del motivo, la difesa del ricorrente espone che, quanto alla distrazione della somma di euro 521.415,60, la pronuncia impugnata si fonderebbe sulle conclusioni alle quali è pervenuto il Tribunale nell’azione civile di responsabilità nei confronti del predetto, che, tuttavia, ha ritenuto integrata una dissipazione e non una distrazione del patrimonio della società RAGIONE_SOCIALE a vantaggio della società RAGIONE_SOCIALE
La dissipazione infatti è integrata, secondo il ricorrente, in presenza di una spesa priva di giustificazione razionale e di utilità per l’impresa, e dunque si distingue dalla distrazione, come reso evidente dalla circostanza che, qualora il trasferimento di un bene avvenga dall’azienda dell’imprenditore al suo patrimonio personale non si determina una distrazione perché l’oggetto del trasferimento è apprendibile dalla Curatela fallimentare, senza che venga compromessa la garanzia in favore dei creditori.
2.3. Il ricorrente COGNOME lamenta, inoltre, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 40, comma 2, 81, comma 2, 110 cod. pen., 223, comma 1, in relazione all’art. 216, comma 1, n. 1) e 219, comma 2, n. 1), I.fall., nonché vizio di motivazione e travisamento probatorio, con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo della bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare delle società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo a) dell’imputazione, in quanto la pronuncia impugnata non si sarebbe confrontata con la consapevolezza e volontà dello stesso di ledere il ceto creditorio, tralasciando di considerare, a tal fine, la valenza del contratto
di comodato alla stessa società fallita dell’immobile oggetto dei lavori di ristrutturazione.
2.4. Con il quarto motivo l’imputato denuncia inosservanza ed erronea applicazione delle medesime disposizioni normative di cui ai motivi precedenti e travisamento probatorio rispetto alla ritenuta integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare in danno della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo b) dell’imputazione, poiché la decisione della Corte territoriale non si sarebbe confrontata con le plurime deduzioni svolte con i motivi di appello circa il momento nel quale era insorto lo stato di insolvenza di detta società, che non sarebbe maturato, come ritenuto da tale pronuncia, tra la fine dell’anno 2007 e l’inizio dell’anno 2008, con conseguente disarticolazione dell’intero ragionamento inferenziale compiuto dalla stessa.
Inoltre, con lo stesso motivo, COGNOME evidenzia che la motivazione posta a fondamento della condanna per la distrazione della somma di euro 1.576.444,73 non si è confrontata con i plurimi elementi probatori addotti nei motivi di gravame, quali i documenti di trasporto del rame lavorato dalla società RAGIONE_SOCIALE nell’interesse esclusivo della fallita; l complementarità tra le due società, nel senso che la RAGIONE_SOCIALE acquistava il rame grezzo, poi venduto alla fallita la quale, a sua volta, dopo averlo lavorato, lo rivendeva alla RAGIONE_SOCIALE; l’assenza nelle scritture contabili del pagamento del debito sorto negli anni 2003 e 2004 nei confronti della RAGIONE_SOCIALE; l’erronea valutazione del residuo credito di euro 99.281,23 vantato dalla COGNOME e compensato dalla fallita per lavori di manutenzione eseguiti nei capannoni della prima.
Lamenta ulteriormente la difesa del ricorrente che, sempre con riferimento al capo b) dell’imputazione, la Corte d’Appello di Palermo, anche rispetto alla distrazione della somma di euro 670.742,70, non si è confrontata con gli elementi istruttori evidenziati nei motivi di appello, ossia con l annotazioni della disponibilità liquida finanziaria di tale importo nella contabilit sequestrata dalla RAGIONE_SOCIALE.
Quanto alla distrazione della somma di euro 443.020,57, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto che era stata erogata ad esso imputato il quale, a propria volta, aveva offerto alla banca i suoi assegni a garanzia.
Infine, rispetto alla distrazione della somma di euro 358.788,24, la decisione impugnata avrebbe omesso di considerare – come dedotto nei motivi di appello – che solo il 55,7% del credito complessivo non era stato oggetto di compensazione, e il restante 42,5% era stato compensato con fatture della RAGIONE_SOCIALE a fronte di lavori documentati, nonché l’ulteriore 1’1,8% con una fattura della società RAGIONE_SOCIALE
2.5. Il COGNOME deduce, altresì, con il quinto motivo di ricorso, inosservanza ed erronea applicazione delle medesime disposizioni normative di cui ai motivi precedenti e travisamento probatorio rispetto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo b) dell’imputazione, in quanto una lettura costituzionalmente orientata del dato normativo dovrebbe far ricostruire il delitto in questione come reato di pericolo concreto anche rispetto alla volizione della lesione del ceto creditorio rispetto a una preconizzabile situazione di insolvenza.
2.6. Mediante il sesto motivo il ricorrente assume inosservanza ed erronea applicazione delle medesime disposizioni normative di cui ai motivi precedenti e travisamento probatorio rispetto alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo c) dell’imputazione.
Lamenta, in particolare, che la Corte territoriale, nel ritenere integrata la distrazione della somma di euro 682.431,99, non si sarebbe confrontata con la circostanza che, nel mese di maggio, esso imputato aveva effettuato un conferimento soci di euro 500.000,00 per il quale aveva contratto, in data 25 maggio 2007, un mutuo ipotecario né con il fatto che le anticipazioni dei soci nell’anno 2008 ammontavano ad euro 154.675,65 ed erano state restituite entro il 31 dicembre 2008.
2.7. Con il settimo motivo il COGNOME denuncia inosservanza ed erronea applicazione delle medesime disposizioni normative di cui ai motivi precedenti e travisamento probatorio rispetto alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo c) dell’imputazione, in quanto la sentenza impugnata avrebbe omesso di accertare la sua consapevolezza, anche a voler ritenere integrata la condotta materiale dell’indebita restituzione dei conferimenti di cui all’art. 2626 cod. civ., di arrecare pregiudizio ai creditori.
2.8. Mediante l’ottavo motivo il ricorrente assume inosservanza ed erronea applicazione delle medesime disposizioni normative di cui ai motivi precedenti e travisamento probatorio rispetto alla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del delitto di bancarotta societaria fraudolenta impropria documentale prefallimentare della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo e) dell’imputazione, atteso che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita era stata possibile senza dover ricorrere a documentazione esterna rispetto alla contabilità sociale.
2.9. Con il nono motivo COGNOME denuncia, infine, inosservanza o erronea applicazione degli artt. 132, 133, 62-bis cod. pen. e correlato vizio di motivazione poiché la Corte territoriale, a fronte di specifici elementi dedotti per la concessione delle circostanze attenuanti generiche, si era limitata a richiamare la parte della motivazione della pronuncia del Tribunale nella quale era stato evidenziato che non sussistevano elementi positivi da vagliare a tal fine.
Avverso la richiamata sentenza della Corte d’Appello di Palermo ricorre anche NOME COGNOME, mediante il difensore di fiducia, AVV_NOTAIO, affidandosi a tre motivi di impugnazione, di seguito riportati entro i limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
3.1. Il ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 223, 216, comma 1, n. 1) e 219, comma 2, n. 1, I.fall., e correlato vizio di motivazione, anche sotto forma di travisamento probatorio, rispetto alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato e al suo concorso nello stesso.
A fondamento della doglianza COGNOME l’imputato sottolinea, inoltre, che dall’istruttoria svolta era emerso che rivestiva il ruolo di mero amministratore formale, mentre il vero dominus della società fallita era il padre COGNOME NOME del cui operato in favore dell’impresa costituita per avviare i figli ad un’attività imprenditoriale, anche per le cospicue risorse che vi aveva destinato, non avrebbe potuto dubitare.
Talché la Corte territoriale sarebbe incorsa nei vizi lamentati per avere semplicemente, a pag. 31, quanto alla sua buona fede, compiuto un riferimento alla sentenza di primo grado che, tuttavia, a propria volta, a pag. 57, aveva assunto da un lato che NOME COGNOME era un mero prestanome e, da un altro, che egli era consapevole delle attività svolte dal padre che lo affiancava nell’attività imprenditoriale.
La decisione avrebbe sotto questo aspetto trascurato di considerare che, come evidenziato dalla stessa Relazione ex art. 33 I.fall., i vari imprenditori sentiti dal Curatore sulla vicenda non avevano mai conosciuto esso ricorrente che, peraltro, pur avendo sottoscritto alcuni atti, prima della metà dell’anno 2008 non avrebbe potuto avere alcuna consapevolezza del dissesto.
3.2. Mediante il secondo motivo NOME COGNOME assume violazione delle medesime norme in relazione all’art. 192 cod. proc. pen. per omessa, illogica e contradditoria motivazione sulla valutazione della prova e sul travisamento della medesima rispetto alla sussistenza della condotta distrattiva, stante la mancata considerazione della relazione tecnica dell’AVV_NOTAIO. COGNOME che avrebbe costituito la chiave di volta per una lettura alternativa del compendio probatorio. In particolare, dalle risultanze di tale relazione era emersa l’effettività dei lavo
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svolti, mentre la Corte territoriale si era fondata solo sulle differenti conclusion dell’AVV_NOTAIO COGNOME, smentite da prove documentali e testimoniali.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia, infine, in via subordinata, violazione e falsa applicazione dell’art. 378 cod. pen. in luogo degli artt. 223, 216, comma 1, n. 1) e 219, comma 2, n. 1, I.fall., e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale ha ritenuto integrato a proprio carico il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva e non, al più, quello, meno grave, di favoreggiamento, in ragione delle circostanze rappresentate a fondamento del primo motivo (e ripercorse sub 3.1.).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso di COGNOME è inammissibile.
E’ opportuno ricordare, infatti, che il vizio di travisamento della prova o di “contraddittorietà processuale” vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistent divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME Welton, Rv. 283370 – 01).
A voler intendere, invero, il vizio di travisamento della prova come possibilità di dedurre in sede di legittimità, nell’accezione pretesa dalla difesa dell’imputato, singoli aspetti di contraddizione emersi nel vaglio di plurime risultanze istruttorie, in sé suscettibili di differenti valutazioni nell’ambito giudizio di fatto, detto vizio sarebbe inteso come vizio di travisamento del fatto che non può essere fatto valere come motivo di ricorso per cassazione (cfr. Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01).
Nella fattispecie in esame, non sussistono detti presupposti in relazione alle censure formulate.
In primo luogo, se sul piano squisitamente semantico il termine “dissipazione” utilizzato nella pronuncia civile di responsabilità per mala gestio del NOME richiamata dai giudici di merito può essere diverso da quello di “distrazione”, nel contesto in esame, anche alla luce del differente vaglio demandato ai giudici civili nell’ambito della predetta azione di responsabilità, le due espressioni finiscono con il convergere, come è stato correttamente ritenuto dalla decisione oggetto di ricorso.
Sempre in relazione al capo a), nel lamentare una sorta di travisamento per omissione nell’assunta mancata considerazione, sul piano dell’elemento
soggettivo, dell’esistenza di un contratto di comodato a favore della fallita sul bene dove sarebbero stati eseguiti i lavori, il ricorrente omette di confrontarsi con l’ampia motivazione resa da entrambe le decisioni di merito, che hanno evidenziato le ragioni per le quali tali lavori non devono ritenersi effettivamente compiuti, restando di qui priva di rilievo la disponibilità dell’immobile in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, che non ha beneficiato dei lavori di manutenzione straordinaria.
Quanto alle deduzioni relative all’imputazione di cui al capo b), almeno il primo motivo di ricorso difetta, poi, anche della necessaria autosufficienza in quanto costruito per relationem alle doglianze, ivi non riportate, svolte solo con il quarto motivo di ricorso.
Assolutamente generiche sono inoltre le deduzioni relative al capo c), laddove con esse si assume, semplicemente, senza alcun confronto con la motivazione delle decisioni di merito, che esse abbiano ritenuto integrate le distrazioni ipotizzate tralasciando di considerare l’insussistenza delle stesse, anche sul piano dell’elemento soggettivo, senza indicare alcun elemento che giustificherebbe detto assunto.
La doglianza relativa al delitto di cui al capo e), con la quale il COGNOME si duole del travisamento per omissione realizzato perché non sarebbe stato considerato che la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società RAGIONE_SOCIALE è stata realizzata senza la necessità di utilizzare documentazione esterna, non si confronta, ancora una volta, in alcuna misura con la motivazione della Corte territoriale laddove, nel rispondere ad analoga censura svolta con i motivi di appello, a pag. 13, ha ricordato che la bancarotta fraudolenta documentale ricorre anche quando, come nella fattispecie concreta, siano state riscontrate dal curatore fallimentare plurime irregolarità nella contabilità che abbiano reso più difficoltosa, e non impossibile, la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della società fallita. Valutazione che è coerente con il principio per il quale nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile (Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455 – 01), talché detto delitto sussiste non solo quando la ricostruzione del patrimonio si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza (ex aliis, Sez. 5, n. 45174 del 22/05/2015, COGNOME e altro, Rv. 265682 – 01).
La seconda parte dello stesso primo motivo con il quale il COGNOME lamenta la violazione del principio di accertamento della responsabilità penale al di là di
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ogni ragionevole dubbio in relazione a tutti i capi di imputazione è svolta, per ciascuno di essi, in maniera priva di autosufficienza – almeno all’interno di detto motivo – perché non si indicano neppure gli elementi concreti dai quali, per i delitti di cui ai capi a), b) e c), dall’istruttoria svolta sarebbe emersa, sul pia dell’elemento oggettivo dei reati, una ricostruzione alternativa tale per cui non vi sarebbe alcun pericolo per le garanzie dei creditori e, quanto all’elemento soggettivo, sarebbe assente la finalità di ledere o mettere in pericolo dette garanzie.
Per quanto attiene alla doglianza afferente il capo e), la stessa è di fatto riproduttiva di quella già vagliata rispetto alla prima parte del motivo in esame.
2.11 secondo motivo è manifestamente infondato, poiché, a differenza di quanto assume la difesa del COGNOME, la bancarotta fraudolenta patrimoniale può realizzarsi anche mediante dissipazione del patrimonio societario, secondo quanto espressamente previsto dalla norma incriminatrice.
Se è vero che rispetto a condotte dissipative è più complesso individuare la distinzione concreta tra bancarotta fraudolenta e bancarotta semplice per operazioni di pure sorte, Sez. 5, n. 34836 del 30/05/2017, COGNOME, Rv. 27078401, ha già sottolineato, a riguardo, come la distinzione fra le due ipotesi si basi su elementi di carattere sia oggettivo che soggettivo, in quanto, sotto il primo profilo, le operazioni contestate, per essere ascritte alla fattispecie della bancarotta semplice, devono presentare un minimo carattere di coerenza e razionalità nella prospettiva delle esigenze dell’impresa, laddove la fattispecie fraudolenta si realizza in presenza di operazioni incoerenti con le esigenze dell’impresa, tali da ridurne il patrimonio, mentre, per l’aspetto soggettivo, la configurabilità dell’ipotesi della bancarotta fraudolenta richiede comunque la prova del dolo tipico della distrazione o della dissipazione, ossia della consapevolezza dell’imputato di diminuire il patrimonio per scopi del tutto estranei all’impresa.
Ciò che, quindi, viene in rilievo, ai fini dell’integrazione della fattispecie bancarotta fraudolenta patrimoniale dissipativa, è la connotazione di originaria ed inequivocabile incoerenza della condotta, la quale deve essere non solo tale da determinare quantomeno il pericolo di una effettiva diminuzione della garanzia patrimoniale, ma, al contempo, non deve trovare alcuna giustificazione in una scelta gestionale che sia compatibile con la logica d’impresa (Sez. 5 n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550 – 02, in motivazione).
Di qui la condotta di “distrazione” si concreta in un distacco dal patrimonio sociale di beni cui viene data una destinazione diversa da quella di garanzia dei creditori, non rilevando se in quel momento l’impresa versi in stato di insolvenza, mentre quella di “dissipazione” consiste nell’impiego dei beni in maniera distorta e fortemente eccentrica rispetto alla loro funzione di garanzia patrimoniale, per
effetto di consapevoli scelte radicalmente incongrue con le effettive esigenze dell’azienda, avuto riguardo alle sue dimensioni e complessità, oltre che alle specifiche condizioni economiche ed imprenditoriali sussistenti (Sez. 5 n. 7437 del 15/10/2020, dep. 2021, Cimoli, Rv. 280550 – 02).
Nella fattispecie in esame, dunque, in alcuna delle violazioni denunciate, neppure sul piano della congruità della motivazione, è incorsa la Corte territoriale facendo ricorso alle conclusioni cui è pervenuto il Tribunale civile nell’accogliere l’azione di responsabilità per mala gestio, in ragione della dissipazione del patrimonio sociale, da parte dell’imputato COGNOME perché proprio da quelle conclusioni è stato logicamente desunto, con argomentazione autonoma e congrua, da parte della sentenza impugnata, che le condotte dissipative dell’imputato si sono rivelate gravemente distorsive rispetto alle finalità sociali e quindi depauperative della garanzia del ceto creditorio.
Con riferimento al terzo motivo di ricorso proposto da COGNOME, si è già evidenziato, nel decidere sul primo, che il contratto di comodato dell’immobile da parte della società fallita non aveva alcuna rilevanza per la ricostruzione della fattispecie di reato, una volta accertato da parte della Corte territoriale che i lavori di manutenzione straordinaria sul bene non erano stati eseguiti, con la conseguenza che i rilevanti importi corrisposti dalla società RAGIONE_SOCIALE alla RAGIONE_SOCIALE erano stati distratti dalla finalità di soddisfare le esigenze di detta impresa e da quella di tutelare i creditori della stessa.
Le apparentemente articolate censure veicolate dal quarto motivo di ricorso in relazione alla condanna per bancarotta societaria fraudolenta impropria patrimoniale per distrazione pre-fallimentare della società RAGIONE_SOCIALE di cui al capo b) dell’imputazione, sono in realtà prive della necessaria specificità, con conseguenze inammissibilità in forza dei principi espressi da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
Invero, vi è che, non solo, a differenza di quanto sostenuto dall’imputato nelle censure riportate al § 2.4. del ritenuto in fatto, la Corte territoriale s puntualmente confrontata con le relative doglianze formulate con l’atto di appello, ma è in realtà il motivo di ricorso per cassazione in esame, piuttosto, a non tenere conto, anche solo per confutarle, delle congrue e articolate motivazioni, di qui peraltro sottratte al sindacato in sede di legittimità in quanto logicamente argomentate, compiute dalla pronuncia impugnata sugli aspetti che si assumono omessi (e, in particolare, rispetto: al momento di insorgenza del dissesto a pag. 3-4; alla distrazione di euro 1.576.444,73 a pag.5-6-7; alla distrazione della somma di euro 670.742,70 a pag. 7-8; alla distrazione della somma di euro 443.020,57 a pag. 8-9 e a quella di euro 358.788,24 a pag. 9).
Il quinto motivo proposto da COGNOME, che investe anch’esso la condanna per il capo b) dell’imputazione, è manifestamente infondato.
Occorre premettere che la Corte territoriale ha dato ampia evidenza della circostanza che, già alla fine dell’anno 2007, le perdite della società RAGIONE_SOCIALE di una somma pari al doppio del capitale sociale, integrante una causa di scioglimento automatico della società, avrebbero imposto al COGNOME di chiederne il fallimento e che, nel gennaio 2018, la medesima impresa aveva chiesto l’accesso alla Cassa integrazione Guadagni, di talché non avrebbe potuto assumersi una non chiara consapevolezza del dissesto della società da parte dell’amministratore.
A fronte di ciò il ricorrente invoca una lettura costituzionalmente orientata del dato normativo, che dovrebbe condurre alla ricostruzione del delitto in questione come reato di pericolo concreto anche rispetto alla volizione della lesione del ceto creditorio rispetto ad una preconizzabile situazione di insolvenza.
Tale doglianza è manifestamente infondata: il collegio ritiene infatti di dover ribadire il principio, da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità e del quale la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione, in forza del quale l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, Passarelli, Rv. 266805 – 01).
6. Il sesto motivo è, ancora una volta, generico, poiché non si confronta in alcun modo con l’articolata motivazione, contenuta a pag. 11-12 della sentenza impugnata, nonché alle pag.68 e ss. di quella di primo grado, e in particolare con il dato, sul quale il ricorso dell’imputato tace, per il quale, rispetto all’impor complessivo versato in assegni bancari e circolari di euro 564.517,94 dai soci, la considerevole somma di euro 376.364,75 era stata oggetto di riaddebito in quanto non pagata.
Tale circostanza ha indotto la Corte d’Appello a ritenere, con una motivazione non manifestamente irragionevole, sottratta al sindacato di legittimità, che le erogazioni in questione erano state un mero espediente contabile per dissimulare la distrazione dell’attivo societario in un momento nel quale la società era già in una situazione di forte crisi economica e nel quale, in ogni caso, la restituzione dei crediti dei soci per finanziamenti a favore della società avrebbe dovuto essere postergata rispetto alla soddisfazione dei creditori.
7. Il settimo motivo proposto dalla difesa di NOME COGNOME è, parimenti, manifestamente infondato.
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Come noto, la contestata fattispecie di fallimento cagionato da operazioni dolose, prevista dall’art. 223, comma secondo, n. 2, legge fall., presuppone una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo, ma da un fatto di maggiore complessità strutturale, riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato e si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma primo, e 216, comma primo, n. 1), legge fati. in cui, invece, le disposizioni di beni societari (qualificabili in termini distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione) sono caratterizzate, secondo una valutazione “ex ante”, da manifesta ed intrinseca fraudolenza, in assenza di qualsiasi interesse per la società amministrata (cfr., ex multis, Sez. 5, n. 12945 del 25/02/2020, Mora, Rv. 279071 – 01).
Ebbene poiché, come si è già osservato nel § 6, nel momento in cui sono state compiute le restituzioni ai soci questa era già in stato di evidente dissesto e le restituzioni attenevano a somme superiori a quelle che effettivamente erano entrate nella casse sociali, la Corte territoriale ne ha non irragionevolmente desunto che l’operazione è stata realizzata con lo specifico intento di distrarre dalla soddisfazione dei creditori le risorse della società.
L’ottavo motivo è manifestamente infondato per quanto già osservato nel § 1, stante l’integrazione della bancarotta fraudolenta documentale anche quanto la scorretta o incompleta tenuta della contabilità da parte dell’imprenditore fallito renda solo più difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari da parte degli organi della procedura.
Il nono motivo del ricorso di NOME COGNOME, ancora una volta, è inammissibile perché esso non si confronta con la motivazione che la Corte d’appello ha reso, a pag. 24-25, per argomentare l’omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche. Infatti, la decisione impugnata sotto tale aspetto non si è limitata a richiamare quella di primo grado ma ha sottolineato che le modalità con le quali sono state poste in essere le condotte sono espressive di abilità e spregiudicatezza, in relazione anche alla rilevante entità delle somme distratte, e all’intensità del dolo, attestato dalla reiterazione delle condotte medesime in un arco temporale limitato. A fronte di ciò, la decisione impugnata si è confrontata con le deduzioni svolte dal COGNOME in appello ritenendo lo stato di incensuratezza dello stesso elemento insufficiente per concedere le circostanze attenuanti generiche ed osservando che la stimata professionalità del medesimo non poteva essere vagliata favorevolmente per la mitigazione del trattamento sanzionatorio, in quanto le gravi condotte commesse dallo stesso erano state poste in essere proprio nell’ambito della sua attività imprenditoriale. Ancora, la Corte d’appello ha evidenziato che non avrebbe
potuto a tal fine essere valorizzata neppure la condotta collaborativa dell’imputato perché il consenso prestato a non rinnovare l’istruttoria dopo il mutamento del collegio è espressione di una strategia difensiva. A fronte di tale diffuso percorso argomentativo, che non è manifestamente illogico, la decisione impugnata si sottrae in parte qua al sindacato di legittimità (v., ex plurimis, Sez. 3, n. 2233 del 17/06/2021, dep. 2022, Bianchi, Rv. 282693 – 01; Sez. 3, n. 23055 del 23/04/2013, COGNOME, Rv. 256172 – 01).
10. Passando ad esaminare il ricorso di NOME COGNOME, il primo e il terzo motivo, suscettibili di valutazione unitaria, sono manifestamente infondati.
Va premesso che, in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso “ex” art. 40, comma secondo, cod. pen., dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale (ex nnultis, Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, COGNOME, Rv. 263225 – 01; Sez. 5, n. 38712 del 19/06/2008, COGNOME, Rv. 242022 – 01).
Orbene, nella fattispecie per cui è processo, seppur sia risultato nel corso del dibattimento il ruolo di dominus delle società da parte dell’amministratore di fatto COGNOME, vi è anche che il dolo del figlio NOME, amministratore della stessa, è stato desunto dalla Corte territoriale, in maniera congrua, in virtù di plurimi elementi, che consentono di sottrarre le relative valutazioni al sindacato di legittimità. In proposito è stato valorizzato, in primis che le distrazioni sono avvenute in favore di società riconducibili nell’ambito del gruppo familiare dei NOME dei quali il ricorrente era parte.
Inoltre, non vi è stato da parte di NOME COGNOME, quale mera “testa di legno”, un semplice concorso omissivo nelle condotte di COGNOME, cui lo stesso ha partecipato direttamente sottoscrivendo, come evidenziato in sede di merito, atti formali, come la compravendita di beni sociali a prezzo incongruo, che lo avevano posto direttamente a confronto con attività distrattive delle quali non può dunque ritenersi lo stesso sia stato inconsapevole.
11. Il secondo motivo del ricorso di NOME COGNOME, oltre a vertere in massima parte su circostanze di mero fatto, è manifestamente infondato poiché non tiene conto, insistendo sulle risultanze di una consulenza tecnica di parte, a fronte dell’esaustiva motivazione delle conformi decisioni di merito sulle articolate conclusioni in ordine alla mancata effettuazione dei lavori straordinari in favore della società fallita, del principio per il quale il giudice, se ha indica esaurientemente le ragioni del proprio convincimento, non è tenuto a rispondere in motivazione a tutti i rilievi del consulente tecnico della difesa, in quanto
la consulenza tecnica costituisce solo un contributo tecnico a sostegno della parte e non un mezzo di prova che il giudice deve necessariamente prendere in esame in modo autonomo (Sez. 2, n. 15248 del 24 gennaio 2020, COGNOME, Rv. 279062 – 01; Sez. 5, n. 21821 del 19/06/2014, COGNOME, Rv. 262111 – 01; (Sez. 4, n. 7947 del 11/04/1972, COGNOME, Rv. 122439-01). Tale assunto si colloca del resto coerentemente nel costante e più generale orientamento per il quale l’onere motivazionale del giudice è soddisfatto attraverso la valutazione globale delle deduzioni delle parti, senza che sia necessario un esame dettagliato delle stesse laddove ciascun rilievo risulti disatteso dalla motivazione della sentenza, complessivamente considerata (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794; Sez. 6, n. 20092 del 04/05/2011, COGNOME, Rv. 250105; Sez. 1, n. 27825 del 22/05/2013, COGNOME, Rv. 256340).
Nella specie, come si è già osservato, la relativa valutazione è stata condotta in base al dato, coerentemente ritenuto decisivo, dei puntuali accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio in ordine alle ragioni per le quali non risultavano effettuati i dedotti lavori di manutenzione straordinaria, ampiamente ripercorsi dalla pronuncia di primo grado e, poi, dalla sentenza impugnata (pag. 19-20).
11. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen., al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, atteso che l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non consente di ritenere i ricorrenti medesimi immuni da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19 dicembre 2023
COGNOME
Il Consigliere Estensore
Il Presidente