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Bancarotta fraudolenta: dolo e ruolo del prestanome

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24083/2025, ha confermato la condanna per bancarotta fraudolenta documentale a carico di un amministratore che si professava mero prestanome (‘testa di legno’). I giudici hanno ritenuto provato il dolo specifico, ovvero l’intenzione di danneggiare i creditori, non dalla semplice assenza delle scritture contabili, ma da elementi concreti come l’azzeramento del fatturato della società sotto la sua gestione e il suo coinvolgimento in altre aziende dello stesso gruppo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta Documentale: Non Basta Essere un Prestanome per Evitare la Condanna

La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata su un caso di bancarotta fraudolenta documentale, offrendo importanti chiarimenti sulla responsabilità penale dell’amministratore che agisce come ‘testa di legno’ o prestanome. La sentenza sottolinea come la prova del dolo specifico, ovvero l’intenzione di danneggiare i creditori, possa essere desunta da elementi fattuali che dimostrano un coinvolgimento attivo nella gestione fallimentare della società, superando la semplice difesa basata sulla mancanza di competenze o sulla mera apparenza della carica ricoperta.

I Fatti del Caso

Il caso riguarda l’amministratore di una S.r.l., nominato nel marzo 2011 e rimasto in carica fino alla dichiarazione di fallimento nell’ottobre 2014. L’imputato è stato condannato in primo grado e in appello per aver sottratto le scritture contabili della società, impedendo di fatto al curatore fallimentare di ricostruire il patrimonio e il flusso degli affari.

L’amministratore ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di essere stato una semplice ‘testa di legno’ e di non possedere le competenze per comprendere quali documenti contabili gli dovessero essere consegnati dall’amministratore uscente. A suo dire, la sola mancanza dei libri contabili non era sufficiente a dimostrare la sua volontà specifica di arrecare un danno ai creditori, elemento necessario per configurare il reato contestato.

La decisione sulla bancarotta fraudolenta documentale

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito la distinzione fondamentale all’interno della bancarotta fraudolenta documentale prevista dalla legge fallimentare.

Esistono due fattispecie distinte:
1. Sottrazione, distruzione o occultamento delle scritture contabili: Questa ipotesi, contestata nel caso di specie, richiede il ‘dolo specifico’, cioè la prova che l’amministratore abbia agito con il preciso scopo di trarre un ingiusto profitto per sé o per altri o di recare pregiudizio ai creditori.
2. Tenuta irregolare o incompleta delle scritture: Questa condotta richiede solo il ‘dolo generico’, ovvero la semplice coscienza e volontà di tenere la contabilità in modo non conforme alla legge, senza che sia necessario provare un fine ulteriore.

Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che i giudici di merito avessero correttamente individuato la fattispecie nella sottrazione dei documenti e avessero adeguatamente motivato la sussistenza del dolo specifico.

Le motivazioni: come si prova il dolo specifico del prestanome

La parte più interessante della sentenza riguarda le motivazioni con cui la Cassazione ha ritenuto provato l’elemento soggettivo del reato. I giudici hanno affermato che la responsabilità dell’amministratore, anche se si qualifica come ‘testa di legno’, non può essere esclusa a priori. È necessario valutare il suo effettivo grado di coinvolgimento.

Nel caso specifico, sono stati due gli elementi decisivi che hanno smentito la tesi difensiva dell’imputato come soggetto passivo e inconsapevole:

1. L’andamento della società: Proprio a partire dall’ingresso in scena dell’imputato nel 2011, la società aveva completamente azzerato il proprio fatturato. Nonostante ciò, continuava a maturare debiti, ad esempio per l’acquisto di fattori di produzione. Questo andamento, in netta controtendenza rispetto ad altre società collegate dello stesso gruppo, è stato visto come un chiaro indicatore di una gestione finalizzata non alla produzione, ma ad altri scopi, con la consapevolezza del danno ai creditori.
2. Il coinvolgimento in altre società: La Corte ha valorizzato il fatto che l’imputato non fosse un soggetto estraneo al contesto imprenditoriale, ma risultasse coinvolto anche in altre società del medesimo gruppo. Questo elemento ha rafforzato la convinzione che egli non fosse un prestanome ingenuo, ma una figura consapevole del proprio ruolo all’interno di un più ampio disegno operativo.

Questi dati fattuali, secondo la Suprema Corte, rendono logica e coerente la conclusione che l’amministratore avesse agito con la specifica intenzione di occultare le tracce contabili per danneggiare i creditori, integrando così pienamente il reato di bancarotta fraudolenta documentale specifica.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: assumere la carica di amministratore, anche solo formalmente, comporta doveri e responsabilità precise. La difesa basata sul ruolo di ‘testa di legno’ non è un salvacondotto automatico per sfuggire alle conseguenze penali. Le corti valuteranno sempre il contesto e le azioni concrete per determinare il grado di consapevolezza e l’intenzionalità della condotta. In presenza di indizi gravi, precisi e concordanti – come un andamento aziendale palesemente anomalo e il coinvolgimento in schemi societari complessi – il dolo specifico può essere provato, portando a una condanna per un reato grave come la bancarotta fraudolenta.

Qual è la differenza tra le due forme di bancarotta fraudolenta documentale citate nella sentenza?
La sentenza distingue due ipotesi. La prima è la sottrazione, distruzione o occultamento dei libri contabili, che richiede il ‘dolo specifico’, ossia l’intenzione di danneggiare i creditori o trarre profitto. La seconda è la tenuta irregolare o incompleta della contabilità, che richiede solo il ‘dolo generico’, cioè la coscienza e volontà di non tenere i registri a norma di legge.

Essere un amministratore ‘testa di legno’ (prestanome) esclude la responsabilità per bancarotta?
No. Secondo la sentenza, il ruolo di prestanome non è una difesa sufficiente. I giudici valutano il reale coinvolgimento soggettivo dell’amministratore. Se, come nel caso esaminato, emergono elementi che dimostrano una sua partecipazione consapevole alla gestione dissennata dell’azienda, egli è ritenuto responsabile.

Come è stato provato il ‘dolo specifico’ dell’amministratore se i documenti erano semplicemente mancanti?
Il dolo specifico non è stato desunto dalla sola assenza dei documenti, ma da prove indiziarie. In particolare, i giudici hanno considerato due fattori: l’andamento palesemente illogico della società (fatturato azzerato ma debiti in crescita) durante la sua gestione e il suo coinvolgimento in altre società dello stesso gruppo, elementi che contraddicevano la sua presunta inconsapevolezza e dimostravano la volontà di nascondere le operazioni per pregiudicare i creditori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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