Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4551 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4551 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a GUSPINI il 23/07/1940
avverso la sentenza del 24/10/2023 della CORTE APPELLO di CAGLIARI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME
COGNOME
che ha concluso chiedendo
udito il difensore
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Cagliari, in parziale riforma della decisione del Tribunale di Cagliari del 9 luglio 2021 – che aveva dichiarato NOME NOME colpevole di concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva – ha rideterminato la pena confermando, nel resto, la prima sentenza.
Il COGNOME è stato condannato perché, in qualità di consigliere di amministrazione dal 29 dicembre 2007 al 13 marzo 2008 della RAGIONE_SOCIALE, aveva distratto la somma di euro 406.199,00 ricevuta dalla RAGIONE_SOCIALE in esecuzione del contratto sottoscritto il 21 dicembre 2007 per l’acquisto di progetti autorizzati di impia fotovoltaici, per pagare compensi a suo favore per attività svolte negli anni 2006 e 2007 nonché in favore degli amministratori e di altri soggetti variamente legati alla socie fallita.
In particolare, dal 9 gennaio 2008 e per tutto il 2009, gli amministratori della RAGIONE_SOCIALE avevano corrisposto a proprio favore ovvero dei soci della società fallit legati tra loro da rapporti di parentela, la somma complessiva di euro 406.199,02 tramite bonifici ed assegni circolari a valere sul conto corrente bancario della RAGIONE_SOCIALE
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione COGNOME COGNOME a mezzo del difensore di fiducia, Avv. NOME COGNOME deducendo tre distinti motivi di impugnazione, d seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod proc. pen.
3.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La difesa evidenzia che al COGNOME è contestata la percezione di somme per l’incarico professionale espletato nel biennio 2005/2006, rispetto al quale non era necessaria una delibera dell’assemblea dei soci.
Sotto altro aspetto, il ricorrente aveva effettivamente effettuato le prestazio professionali, aventi ad oggetto il reperimento dei siti destinati alla realizzazione di impi fotovoltaici, con il corollario che la mancata registrazione dei costi nel bilancio societario poteva inficiare l’esistenza della prestazione e del vantaggio conseguito dalla società.
3.2. Con il secondo motivo si eccepisce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza di correlazione tra imputazione e sentenza.
La Corte di Appello ha addebitato all’imputato la responsabilità per presunti atti distratti intervenuti successivamente alla cessazione della carica di consigliere di amministrazione (13 marzo 2008).
Tale assunto è fondato sul riconoscimento nei confronti del COGNOME della qualifica di concorrente extraneus, ma si tratta di qualifica estranea al capo di imputazione con conseguente violazione dell’art. 521 cod. proc. pen.
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Sotto altro aspetto difetterebbe la tipicità della condotta distrattiva, atteso che momento in cui il COGNOME era in carica come amministratore (fino ad agosto 2008), il pagamento
nei confronti dei collaboratori esterni per l’attività svolta antecedentemente alla sottoscrizio del contratto con RAGIONE_SOCIALE non pregiudicava gli interessi dei creditori: lo stat insolvenza è intervenuto a distanza di tempo dai pagamenti contestati.
3.3 Con il terzo motivo si deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
In particolare, la difesa contesta la sussistenza dell’elemento soggettivo giacché gli asseriti pagamenti sono stati effettuati allorquando la società era in bonis, vale a dire in un momento temporale in cui le disposizioni patrimoniali rendevano imprevedibile la messa in pericolo della società.
Con requisitoria scritta del 15.10.2024, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, dott.ssa NOME COGNOME chiedeva il rigetto del ricorso.
Con conclusioni scritte del 7 novembre 2024, il difensore del ricorrente, nel riportarsi ai motivi del ricorso, insisteva per la non riconducibilità della condotta alla norma incriminatri contestata, in quanto priva di rilevanza penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto è infondato.
La giurisprudenza di questa Corte è costante nel riconoscere il principio della reciproca integrazione motivazionale delle sentenze di primo e di secondo grado, ammettendosi che la sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, quando le due decisioni di merito concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettiv decisioni e, ancor più, quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate e ampiamente chiarite nella sentenza di primo grado (Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229; Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595; Sez. 6, n. 8309 del 14/01/2021, COGNOME, n.m.).
D’altra parte, quando si censuri la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., occorre che tali vizi risulti testo del provvedimento impugnato, ovvero che il testo del provvedimento si presenti manifestamente carente di motivazione e/o di logica, essendo esclusa la possibilità di opporre alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una divers ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19 giugno 1996, Di NOME, Rv. 205621).
Inoltre, quando si prospetta un’apparente denuncia di violazione di legge, occorre che il ricorso non solleciti complessivamente un riesame del merito, attraverso una rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti, non essendo ciò consentito in sede di legittimità. In tal senso è pacifico l’insegnamento di legittimità secondo cui al Corte di cassazione “è normativamente preclusa la possibilità non solo di sovrapporre la
propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli d ragionamento mutuati dall’esterno; ed invero, avendo il legislatore attribuito riliev esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto costituente un sistema logico in sé compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale del provvedimento in se e p sé considerato, verifica necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui esso è “geneticamente” informato, ancorché questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260; Sez. 5, n. 14932 del 05/03/2024 s.m.).
Passando all’analisi del reato contestato, si osserva che secondo l’indirizzo giurisprudenziale del tutto consolidato, ai fini della sussistenza del reato di bancarot fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione ed il successivo fallimento (Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME, Rv. 261942; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 11095 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 262741; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv. 261683; Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 260690; Sez. 5, n. 11793 del 05/12/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 260199).
La rilevanza sub specie di bancarotta fraudolenta patrimoniale del fatto di distrazione indipendentemente dalla distanza temporale che lo separa dalla sentenza dichiarativa di fallimento non comporta, peraltro, né l’indifferenza tout court di tale dato temporale, né la ricostruzione della fattispecie in esame in termini, sostanzialmente, di reato di pericolo presunto.
Per un verso, infatti, “la disciplina relativa alla bancarotta fraudolenta patrimonia è in grado, nella sua concreta applicazione, di selezionare i comportamenti in ragione del tempo che li separa dalla pronuncia giudiziale, dovendo il giudice pur sempre dar conto dell’effettiva offesa alla massa dei creditori (oggetto della tutela penale), quale portato comportamento illecito, anche mediato e consequenziale, derivato dalla perdita di ricchezza e non compensato medio tempore da alcun riequilibrio economico” (così, in motivazione, Sez. 5, n. 523 del 22/11/2006, dep. 2007, Cito, Rv. 235694, in una fattispecie in cui “pur cronologicamente lontana dalla sentenza dichiarativa di fallimento, la sottrazione di ricchezza si ripercosse nel tempo direttamente sull’impoverimento dell’asse patrimoniale, con diretto danno per la massa creditoria”).
Per altro verso, è la concreta messa in pericolo della “conservazione dell’integrità del patrimonio dell’impresa, costituente la garanzia per i creditori della medesima” (Corte Cost., ord. n. 268 del 1989) che funge da parametro dell’applicazione della norma incriminatrice; invero, “l’offesa provocata dai reato non può ridursi al mero impoverimento dell’asse patrimoniale dell’impresa, ma si restringe alla diminuzione della consistenza
patrimoniale idonea a danneggiare le aspettative dei creditori” (Sez. 5, n. 16388 del 23/03/2011, COGNOME, Rv. 250108, in motivazione).
Un’offesa che, nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, è configurata secondo il paradigma del pericolo concreto: invero, la natura di reato di pericolo concreto “comporta che ogni condotta idonea concretamente – a pregiudicare la garanzia dei creditori rientra nel fuoco della norma” (Sez. 5, n. 18210 del 03/03/2015, COGNOME; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 13590 del 24/02/2015, COGNOME, n.m.).
Infatti, come messo in luce, all’esito di un’approfondita disamina della giurisprudenza di questa Corte e sulla base di coordinate interpretative condivise dal Collegio, da Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, n.m. “l’offensività della condotta è limitata ai fatti che creano un pericolo concreto”, ossia allorquando possa affermarsi che “la diminuzione della consistenza patrimoniale comporta uno squilibrio tra attività e passività”, risultando, pertanto, l’atto depauperativo idoneo a “creare un vulnus all’integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura della procedura concorsuale”.
3.1. La natura di reato di pericolo concreto rivestita dalla fattispecie di bancarott fraudolenta patrimoniale assume poi un particolare rilievo con riguardo alla configurazione dell’elemento psicologico del reato, nonché alla definizione dei corrispondenti oneri motivazionali in capo al giudice di merito: profilo, quest’ultimo, che contribuisce, per u verso, a delineare ulteriormente l’approccio alla questione della distanza temporale tra fatti di bancarotta e sentenza dichiarativa di fallimento e, per altro verso, conferma l rispondenza della norma incriminatrice, così come interpretata dal diritto vivente, ai principi costituzionali in tema, segnatamente, di colpevolezza.
L’orientamento del tutto consolidato della giurisprudenza di questa Corte – di recente ribadito dalle Sezioni unite – è nel senso che l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, essendo sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa da quella di garanzia delle obbligazioni contratte (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266805): su un piano generale, infatti, “per integrare l’elemento psicologico del delitto in questione non occorr che l’impresa sia in stato di dissesto e che di tale stato sia consapevole l’agente” (Sez. 5, n. 29896 del 01/07/2002, COGNOME, Rv. 222388; conf. Sez. 5, n. 16579 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879).
Per la sussistenza del dolo di bancarotta patrimoniale è necessaria “la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, la rappresentazione del rischio di lesione degli interessi creditori tutelati dalla norma incriminatrice” (Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014 dep. 2015, COGNOME, Rv. 263804-01). Lungi dall’esaurirsi nella rappresentazione e nella
volizione del fatto distrattivo, dissipativo, etc., il dolo di bancarotta investe anch pericolosità di tali fatti rispetto alla preservazione della garanzia patrimoniale dei credit in questa prospettiva, “la “fraudolenza”, intesa come connotato interno alla distrazione, implica, dal punto di vista soggettivo, che la condotta di tutti coloro che si predi concorrono nella attività distrattiva risulti perlomeno assistita dalla consapevolezza che si stanno compiendo operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare danno ai creditori” (Sez. 5, n. 9807 del 13/02/2006, COGNOME, Rv. 234232, in motivazione).
Consapevolezza, questa integrante il dolo di bancarotta in correlazione alla necessaria “fraudolenza” del fatto distrattivo, che non può comunque essere confusa con un dolo specifico, estraneo alla fattispecie in esame: invero, l’elemento psicologico del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione o per occultamento è il dolo generico e consiste nella “coscienza e volontà di compiere gli atti di distrazione o di occultamento, per i quali, sebbene abbiano la sostanza della frode, non è richiesto il fine specifico recare pregiudizio ai creditori” (Sez. 5, n. 14905 del 25/02/1977, COGNOME, Rv. 137341). La pericolosità concreta del fatto di bancarotta patrimoniale, declinata in correlazione con la sua intrinseca “fraudolenza”, richiede che la relativa condotta “risulti assistita da consapevolezza di dare al patrimonio sociale o a talune attività una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori”, occorrendo, in altri termini, che l’agente, pur non perseguendo direttamente il danno dei creditori, “sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo (…), anche remoto ma concreto” (Sez. 5, n. 7555 del 30/01/2006, COGNOME, Rv. 233413, in motivazione).
3.2. In questa prospettiva, anche le questioni che ruotano intorno, da un lato, alla distanza temporale tra fatto – astrattamente – di bancarotta e sentenza dichiarativa di fallimento e, dall’altro, alla concreta pericolosità del fatto distrattivo non possono ess distolte dal piano della prova del reato di pericolo concreto e, segnatamente, del correlato elemento psicologico, nonché dei relativi oneri motivazionali del giudice di merito. Invero, “la definizione del dolo generico del reato in termini di consapevolezza e volontà di determinare, col proprio comportamento distrattivo o dissipativo, un “pericolo di danno per i creditori” si traduce nel riconoscimento che “il reato in esame punisce non già, indifferentemente e sempre, qualsiasi atto in diminuzione del patrimonio della società ma soltanto e tutti quelli che quell’effetto sono idonei a produrre in concreto, con esclusione pertanto, di tutte le operazioni o iniziative di entità minima o comunque particolarmente ridotta e tali, soprattutto se isolate o realizzate quando la società era in bonis, da non essere capaci di comportare una alterazione sensibile della funzione di garanzia del patrimonio” (Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, P.G. in proc. Sistro, Rv. 261446); fatti, questi ultimi, che si rivelano in radice – già sotto il profilo dell’elemento oggett insuscettibili di essere ascritti al paradigma della fraudolenza.
All’estremo opposto, la casistica giurisprudenziale consegna, non sporadicamente, casi in cui la fattispecie concreta dà conto, in termini di immediata evidenza dimostrativa (e al di fuori di qualsiasi logica presuntiva), della “fraudolenza” del fatto di bancaro patrimoniale e, dunque, non solo dell’elemento materiale, ma anche del dolo del reato in esame: ciò in ragione dei più vari fattori, quali, ad esempio, il collocarsi del singolo fatto una sequenza di condotte di spoliazione dell’impresa poi fallita ovvero in una fase di già conclamata decozione della stessa.
Fuori dei casi “estremi” cui si è fatto cenno, la motivazione della decisione di merito deve dar conto – oltre che della connotazione del fatto in termini di pericolo concreto, secondo quanto già rilevato – della riconoscibilità del dolo generico sulla base di una puntuale analisi (Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, COGNOME, in motivazione) della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità, rifuggendo da qualsiasi approccio astrattizzante e ricercando appunto nel caso di specie i possibili (positivi o negativi) “indi di fraudolenza” necessari a dar corpo, da un lato, alla prognosi postuma di concreta messa in pericolo dell’integrità del patrimonio dell’impresa funzionale ad assicurare la garanzia dei suoi creditori e, dall’altro, alla proiezione soggettiva di tale concreta messa in pericol “indici di fraudolenza” rinvenibili, ad esempio, nella disamina del fatto distratti dissipativo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e dell congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata; nel contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatt depauperativi; nella “distanza” (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fat generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone ragionevolezza imprenditoriale: con la precisazione, in merito a quest’ultimo, possibile, “indice di fraudolenza”, che la riconducibilità della condotta ad una anomala gestione dei beni dell’impresa (cfr. Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME, cit.) viene in rilievo al solo fine dell’accertamento del dolo secondo i consueti canoni utilizzati dall giurisprudenza e non certo per operare un sindacato sull’opportunità delle scelte discrezionali dell’imprenditore, sindacato precluso anche al giudice civile, come costantemente affermato in sede civile da questa Corte (Sez. 1, n. 3409 del 12/02/2013, Rv. 625022). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Il ricorso non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata e con la motivazione della sentenza di primo grado, che hanno evidenziato come l’imputato nella sua qualità di consigliere di amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE abbia posto in essere operazioni oggettivamente distrattive e comportanti un corrispondente suo ingiustificato arricchimento.
Con riferimento alla condotta distrattiva contestata, i giudici di merito hanno evidenziato come l’imputato nella suddetta qualità di consigliere di amministrazione della società RAGIONE_SOCIALE abbia versato a partire dal 9 gennaio 2008 e sino a tutto il
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2009 la somma di euro 673.653,70 in suo favore e degli amministratori nonché di altri soggetti variamente legati alla società fallita, adducendo, a giustificazione dei versamenti, causali generiche e senza indicazione di elementi che ne consentissero una adeguata valutazione (compensi amministrazione, rimborso spese sostenute anticipate per vostro conto).
Inoltre, i giudici di secondo grado hanno evidenziato che: –a) i verbali assembleari non prevedevano il compenso agli amministratori né le modalità di determinazione; –b) i compensi relativi alle attività di selezione dei siti e coordinamento alla progettazione ed agli iter approvativi dei progetti sono stati liquidati unitamente ai compensi per l’amministrazione, senza alcuna differenziazione (compenso per attività di consiglio ivi comprese le attività di selezione dei siti e coordinamento alla progettazione ed agli iter approvativi), in assenza di una puntuale esposizione dei costi e con una contabilizzazione grossolana; –c) le prestazioni professionali asseritamente svolte dal ricorrente non potevano dirsi provate dai contratti preliminari prodotti, trattandosi di scritture pri prive di data certa e quindi inoppugnabili; –d) i costi di esercizio per anni 2005/2006 e 2006/2007 non erano stati registrati, non consentendo il corretto rilevamento dei costi sostenuti (le asserite attività compiute non sono state contabilizzate negli anni in cui so state realizzate); –e) i documenti fiscali recavano indicazioni generiche, senza che fossero definibili le prestazioni; –f) non vi era la prova del conferimento dell’incarico professionale a soci, terzi ed amministratori per il compimento delle attività professionali per le quali e stati effettuati i pagamenti; –g) erano assenti delibere assembleari di approvazione delle spese.
In altri termini, il ricorrente ha prelevato dalle casse sociali somme corrispondenti a crediti da lui vantati per il “lavoro” prestato nell’interesse della società, senza l’indicaz di dati ed elementi di confronto che ne consentissero un’adeguata valutazione, quali, ad esempio, gli impegni orari osservati, i risultati raggiunti.
Quanto alla tesi sostenuta dal ricorrente a mente della quale il pagamento per sé dell’importo di euro 115.000,00 per il biennio 2008/2009 per l’attività prestata risult congruo rispetto all’impegno profuso è agevole rilevare che, dalla ricostruzione operata dalla sentenza impugnata, i compensi invocati dal ricorrente non hanno trovato alcun riscontro documentale, poiché i crediti lavorativi, non in qualche modo contrattualizzati, non risultano in alcun altro modo provati.
La Corte osserva come è mancata, soprattutto, fin dal gravame di merito, una difesa che riguardasse la “congruità” delle somme ricevute ed elargite (altrimenti detto, l’adeguatezza rispetto all’attività prestata per conto della società); il concetto “congruità” è stato genericamente evocato, ma non circostanziato (il ricorrente determina il compenso mensile in euro 4.800,00, dividendo la somma complessiva di euro 115.000,00 per 48 mesi, offrendo una valutazione priva di criterio oggettivo di parametrazione).
Di fronte all’oggettività della percezione, il deficit dimostrativo circa la congruità dei compensi ridonda a carico della parte che intenda contestare la natura predatoria della sua percezione e che tale deficit, nel caso di specie, non è stato colmato dall’imputato.
La dedotta circostanza che i prelevamenti per cassa fossero corrispondenti a emolumenti maturati per l’attività svolta in favore della società fallita per il reperimen dei terreni ove costruire impianti fotovoltaici, è stata solo prospettata dal ricorrente, sen confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata, in cui i Giudici di merito hanno, invece, segnalato come l’imputato si sia limitato ad incassare i crediti (derivanti da un’anticipazione su attività futura, cfr. art. 5.2. del contratto sottoscritto con RAGIONE_SOCIALE, sottoposto a condizione per il 50% dell’importo, attività che non solo non stata svolta nell’interesse della società, a vantaggio della quale non ha portato alcuna utilità, ma che ha distratto tali rediti dal patrimonio della RAGIONE_SOCIALE privan creditori della relativa garanzia.
Deve osservarsi che entrambi i giudici del merito hanno ritenuto provato che i prelevamenti ed i bonifici integrassero altrettante distrazioni di risorse economiche della società fallita in virtù dell’omessa dimostrazione della destinazione delle somme e per l’assenza della delibera sociale che stabilisse il compenso degli amministratori.
In conclusione, appare del tutto condivisibile il passaggio motivazionale in cui la corte di appello rileva che i compensi percepiti dal Melis erano distrattivi, in quanto privi giustificazione: il prelevamento da parte dell’imputato di denaro dalle casse della società non era correlato ad una prestazione effettiva svolta dallo stesso ed all’impegno da lui profuso (v. pag. 14-17 della motivazione della sentenza di appello).
5. Il secondo motivo è inammissibile.
Invero, è assolutamente irrilevante la circostanza che la Corte di appello avrebbe tenuto conto – ai fini della configurabilità del delitto contestato – anche delle fat emesse per i compensi relativi all’attività professionale, successivamente al 13 marzo 2008 (data di cessazione della carica di consigliere di amministrazione).
Infatti, tale circostanza non esclude che lo stesso COGNOME abbia concorso alla distrazione nel periodo in cui aveva rivestito qualifiche formali in seno alla società falli provvedendo a pagare compensi a suo favore nonché in favore degli amministratori e di altri soggetti variamente legati alla società fallita.
Ad ogni modo, i giudici di appello con motivazione adeguata e priva di contraddizioni o manifeste illogicità hanno ritenuto che anche relativamente alle fatture emesse per i compensi relativi all’attività professionale, successivamente al 13 marzo 2008 (data di cessazione della carica di consigliere di amministrazione), il COGNOME abbia concorso a titolo di extraneus alla distrazione, circostanza desumibile: –a) della conoscenza dello svolgersi dell’attività della società; –b) delle condizioni e presupposti per la ricezione dei pagamenti; –c) dalla partecipazione alle assemblea in qualità di rappresentate della figlia, senza eccepire alcunché sulla irregolarità dei pagamenti.
Quanto all’eccezione processuale si precisa che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalia legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa.
Al riguardo, il Collegio condivide il consolidato orientamento secondo cui non integra la violazione del principio di correlazione tra reato contestato e reato ritenuto i sentenza la decisione con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di bancarotta fraudolenta, qualora rimanga immutata l’azione distrattiva ascritta (Sez. 5, n. 18770 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 264073; Sez. 5, n. 4117 del 09/12/2009, dep. 2010, COGNOME, Rv. 246100).
La condizione per ritenere insussistente una violazione delle norme processuali poste a salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato, che deve poter conoscere gli elementi fondamentali di fatto dell’accusa che gli viene mossa, è quella dell’immutata azione distrattiva ascrittagli: qualora la condotta concreta che gli viene attribuita nel cor del processo, e rispetto alla quale egli ha potuto difendersi, quindi, rimanga sostanzialmente identica, non può ritenersi configurata una violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza.
6. La difesa ripropone censure già sviluppate in appello concernenti l’elemento soggettivo del delitto di bancarotta fraudolenta e la sussistenza del pericolo concreto della bancarotta distrattiva, tenuto conto che nel momento in cui il COGNOME era in carica come amministratore (fino ad agosto 2008), il pagamento nei confronti dei collaboratori esterni per l’attività svolta antecedentemente alla sottoscrizione del contratto con RAGIONE_SOCIALE non pregiudicava gli interessi dei creditori: lo stato di insolvenza è intervenuto a distanza di tempo dai pagamenti contestati.
La Corte non ravvisa vizi rilevanti nel percorso logico-argomentativo dei giudici di appello, che hanno sottolineato come il rapporto con RAGIONE_SOCIALE, unico cliente nel portafoglio della società fallita, era in divenire e dal quale potevano derivare rilevan debiti restitutori, legati al inattuabilità dei progetti.
Sul punto, la Corte di Appello ha correttamente evidenziato che per pagare i compensi, il COGNOME ha utilizzato la somma versata da RAGIONE_SOCIALE a titolo di commissione di opzione per terreni (pari a 960.000,00 euro), somma che per come previsto dal punto 5.2. del contratto doveva essere restituita in caso di recesso, come nella specie avvenuto.
Nella fattispecie sono stati, del tutto coerentemente, ritenuti indici di fraudolenza l mancanza di documenti contabili certi e, soprattutto, la consapevolezza della restituzione della somma erogata dalla RAGIONE_SOCIALE in caso di inadempimento contrattuale, generando un rilevante debito societario.
Sicché al momento dell’incameramento e dell’utilizzo integrale dell’anticipazione, il ricorrente era consapevole che la somma poteva essere restituita, generando un rilevante debito societario: l’imputato ha incassato i crediti (derivanti da un’anticipazione su attivi futura, cfr. art. 5.2. del contratto sottoscritto con RAGIONE_SOCIALE), sottopos condizione per il 50% dell’importo, attività che ha distratto tali rediti dal patrimonio de RAGIONE_SOCIALE privando i creditori della relativa garanzia a causa de depauperamento dell’impresa.
Inoltre, la Corte di Appello ha evidenziato come nei bilanci 2005, 2006 e 2007 la RAGIONE_SOCIALE non aveva prodotto alcun tipo di reddito, sicché l’utilizzo integral dell’anticipazione, somma che poteva essere restituita, è stato ritenuto idoneo ad incidere sulla garanzia dei creditori alla luce delle specifiche condizioni dell’impresa.
Dunque anche in questo caso il giudice di appello ha desunto la sussistenza del dolo in capo al prevenuto dalle concrete circostanze e dalle modalità esecutive dell’azione criminosa, attraverso le quali, con processo logico-deduttivo, la corte territoriale coerentemente risalita alla sfera intellettiva e volitiva del soggetto, in modo d evidenziarne la cosciente volontà e rappresentazione degli elementi oggettivi del reato.
Al rigetto dell’impugnazione consegue obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 15/11/2024
L’estensore
La Presidente