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Bancarotta fraudolenta: dolo e operazioni dolose

La Corte di Cassazione, con la sentenza 31842/2024, ha rigettato il ricorso di un amministratore condannato per bancarotta fraudolenta impropria. La Corte ha chiarito che, per integrare il reato tramite operazioni dolose, è sufficiente la consapevolezza di compiere un’operazione pericolosa per la società (dolo generico), non essendo necessario l’intento specifico di causarne il fallimento (dolo specifico). L’omesso pagamento sistematico dei debiti tributari e i finanziamenti a società controllate in perdita sono stati considerati operazioni dolose idonee a causare il dissesto.

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Pubblicato il 13 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale

Bancarotta Fraudolenta: Quando le Operazioni Dolose Portano al Fallimento

La gestione di un’impresa in crisi richiede equilibrio e prudenza. Ma cosa succede quando le scelte dell’amministratore, anziché risanare, aggravano la situazione fino a causare il fallimento? La recente sentenza della Corte di Cassazione n. 31842/2024 offre un’analisi cruciale sulla bancarotta fraudolenta impropria, distinguendo nettamente l’intento richiesto per questo grave reato. La pronuncia chiarisce che per essere condannati non è necessario voler deliberatamente far fallire l’azienda; è sufficiente compiere consapevolmente operazioni rischiose che ne determinano il crollo.

I Fatti del Caso

Un amministratore di una S.r.l. è stato condannato in primo e secondo grado a due anni di reclusione per bancarotta fraudolenta impropria. Secondo i giudici, egli aveva causato il fallimento della sua società, dichiarato nel 2015 con un passivo di oltre 5 milioni di euro, attraverso una serie di operazioni dolose. Queste condotte includevano:

1. Inadempimento sistematico dei debiti tributari e previdenziali: La società ha omesso per anni di versare le imposte, utilizzando tali somme come una forma di finanziamento illecito per proseguire l’attività.
2. Finanziamento a una società controllata: L’amministratore ha continuato a finanziare un’altra società del gruppo, nonostante questa fosse priva di capitale e con un patrimonio netto negativo.
3. Mancato ricorso a procedure concorsuali: Pur avendo perso il capitale sociale già dal 2009, l’amministratore non ha avviato le procedure previste dalla legge, mascherando lo stato di crisi con appostazioni di bilancio di comodo.

L’Appello e le Argomentazioni della Difesa

L’amministratore ha presentato ricorso in Cassazione, basando la sua difesa su due punti principali:

Violazione del principio del bis in idem*: La difesa sosteneva che l’imputato era già stato assolto in un altro procedimento per omesso versamento IVA “perché il fatto non costituisce reato”, formula che escluderebbe il dolo. Pertanto, lo stesso fatto (il mancato pagamento delle imposte) non poteva essere considerato un’operazione dolosa ai fini della bancarotta.
* Assenza di dolo: Secondo i legali, le azioni dell’amministratore non erano dettate dall’intento di causare il fallimento, ma da una “speranza non velleitaria” di salvare l’azienda. Al massimo, si sarebbe trattato di “imprudenza colposa”, configurabile come bancarotta semplice e non fraudolenta.

La Bancarotta Fraudolenta per Operazioni Dolose: Profili di Dolo

Il cuore della questione giuridica risiede nella natura dell’elemento psicologico richiesto dall’art. 223, comma 2, n. 2 della Legge Fallimentare. Questa norma distingue due fattispecie:
1. Cagionare il fallimento “con dolo”: Richiede l’intenzione diretta di provocare il dissesto.
2. Cagionare il fallimento “mediante operazioni dolose”: In questo caso, il fallimento è l’effetto di una condotta volontaria ma non necessariamente diretta a produrlo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali.

In primo luogo, ha escluso la violazione del bis in idem. La precedente assoluzione riguardava solo una parte dei debiti tributari (l’IVA per alcuni anni), mentre la contestazione di bancarotta si fondava su un inadempimento molto più vasto e prolungato, che includeva anche debiti previdenziali. I fatti, quindi, non erano identici.

Sul punto cruciale del dolo, la Corte ha ribadito un principio consolidato: nel reato di bancarotta fraudolenta per operazioni dolose, il dolo è generico. Ciò significa che è sufficiente la consapevolezza e volontà di compiere l’operazione che si sa essere pericolosa per la salute economico-finanziaria della società. Non è richiesta la volontà di cagionare il fallimento. Basta che l’amministratore si rappresenti e accetti il rischio che la sua condotta possa portare alla decozione.

Nel caso specifico, l’insieme delle operazioni – il sistematico omesso versamento delle imposte, i finanziamenti a fondo perduto a una società decotta e l’occultamento dello stato di crisi – erano state poste in essere per mantenere artificiosamente in vita un’impresa già dissestata dal 2009. Tali condotte, intrinsecamente pericolose, hanno causalmente determinato il fallimento. L’intento dell’amministratore di compiere queste operazioni era sufficiente a integrare il reato, a prescindere da una sua eventuale speranza di ripresa.

Conclusioni

La sentenza n. 31842/2024 rafforza un importante monito per gli amministratori: la gestione di una società in crisi non può tradursi in manovre azzardate che mettono a rischio il patrimonio sociale e gli interessi dei creditori. La bancarotta fraudolenta scatta non solo quando si agisce per frodare, ma anche quando si compiono, con coscienza e volontà, operazioni intrinsecamente rischiose che, di fatto, conducono l’impresa al collasso. La “speranza” di salvare l’azienda non è una scusante se si fonda su atti gestori irragionevoli e pregiudizievoli.

Quando l’omesso pagamento sistematico dei debiti tributari integra il reato di bancarotta fraudolenta?
Secondo la sentenza, il sistematico inadempimento delle obbligazioni tributarie diventa un’operazione dolosa rilevante per la bancarotta fraudolenta quando è utilizzato come strumento per finanziare illecitamente la società e prolungarne artificialmente la vita, nonostante uno stato di dissesto conclamato.

Che tipo di dolo è necessario per la bancarotta fraudolenta per operazioni dolose?
È sufficiente il dolo generico. L’amministratore deve avere la consapevolezza e la volontà di compiere un’operazione intrinsecamente pericolosa per la salute finanziaria della società. Non è necessario che abbia l’intenzione specifica di causare il fallimento, ma basta che abbia accettato il rischio che tale evento si verificasse come conseguenza della sua condotta.

Un’assoluzione per reati tributari impedisce una condanna per bancarotta basata sugli stessi fatti?
Non necessariamente. La Corte ha chiarito che il principio del bis in idem (divieto di un secondo processo per lo stesso fatto) si applica solo se i fatti sono perfettamente identici. Se l’accusa di bancarotta si basa su una condotta più ampia e su un periodo diverso rispetto al reato tributario per cui c’è stata assoluzione, un nuovo processo è legittimo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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