Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 22385 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 22385 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 21/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DAL COL COGNOME nato a Pieve di Soligo il 20/05/1952
avverso la sentenza del 01/07/2024 della Corte d’appello di Venezia Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; udito l’Avv. NOME COGNOME per delega dell’Avv. NOME COGNOME per il ricorrente, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza oggi al vaglio della Corte è stata deliberata il primo luglio 2024 dalla Corte di appello di Venezia, che ha riformato in melius il trattamento sanzionatorio inflitto a NOME COGNOME per una serie di condotte di bancarotta, concernenti i fallimenti delle società RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
In particolare, quanto alla prima società, fallita in Treviso I’ll gennaio 2013, di cui l’imputato era stato Presidente del consiglio di amministrazione dal 23
luglio 1997 al 16 marzo 2012, vi è stata condanna per plurime condotte distrattive, realizzate a favore di società pur sempre ricollegabili al prevenuto.
Con riferimento alle bancarotte distrattiva e documentale collegate al fallimento della RAGIONE_SOCIALE – dichiarato in Treviso il 2 maggio 2013 Dal Col ne è stato chiamato a rispondere quale amministratore di fatto.
Infine l’imputato è stato condannato per bancarotta fraudolenta documentale quale amministratore unico della RAGIONE_SOCIALE, fallita in Treviso il 30 luglio 2014.
Avverso detta sentenza l’imputato ha proposto ricorso a mezzo del difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al dolo della bancarotta fraudolenta distrattiva concernente la RAGIONE_SOCIALE, tema su cui la Corte di appello era stata sollecitata con il gravame proposto, ma su cui avrebbe taciuto.
2.2. Il secondo motivo di ricorso riguarda il versante oggettivo della bancarotta relativa alla RAGIONE_SOCIALE, rispetto al quale il ricorrente lamenta una mancata risposta – non fornita se non con un rinvio alla sentenza di primo grado – alle doglianze dell’appello circa la necessità di un nesso causale tra la condotta realizzata e la determinazione del dissesto (in questo senso richiamando la sentenza di questa sezione n. 47502 del 24 settembre 2012) e circa l’epoca dell’insorgere del dissesto stesso.
2.3. Il terzo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione circa il vaglio della posizione di amministratore di fatto assunta dall’imputato rispetto alla società RAGIONE_SOCIALE (capo D).
La conferma di tale ruolo di COGNOME da parte della Corte distrettuale sarebbe fondata su una non corretta valutazione del dato testimoniale, senza alcuna illustrazione specifica circa il potere organico esercitato.
2.4. Il quarto motivo di ricorso lamenta gli stessi vizi di cui al motivo precedente quanto al riconoscimento del ruolo di amministratore di fatto della società Giromel dell’imputato. A sostegno della censura, la parte evoca gli insegnamenti di questa Corte sull’argomento.
2.5. Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al dolo della bancarotta fraudolenta documentale della NOME COGNOME (capo D) e alla mancata derubricazione nella fattispecie di cui all’art. 217 legge fall.
Il ricorrente – dopo aver riportato un passaggio della sentenza impugnata – ricorda di aver lamentato, con l’atto di appello, la mancanza di prova circa l’estraneità di COGNOME rispetto al reato, da attribuirsi al liquidatore Cazzolato.
In ordine al dolo, il ricorrente sostiene che la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto sufficiente il dolo generico ed avrebbe omesso di motivare sulla mancata derubricazione in bancarotta documentale semplice.
2.6. Il sesto motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, laddove la Corte di appello avrebbe mancato di vagliare positivamente l’incensuratezza e l’età del prevenuto.
Il 5 maggio 2025 il difensore dell’imputato ha presentato motivi aggiunti.
3.1. Il primo motivo aggiunto lamenta omessa motivazione su un tema introdotto con l’appello, ossia quello dell’esistenza di un gruppo societario a cui appartenevano le fallite e all’esistenza di vantaggi compensativi.
3.2. Il secondo motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE attribuita a Dal Col, dichiaratamente ricollegandosi al terzo motivo del ricorso principale.
3.3. Il terzo motivo aggiunto affronta il trattamento sanzionatorio, richiamando quanto sostenuto nell’atto di appello circa la necessità di applicare la circostanza aggravante di cui all’art. 219, co 2, n. 1, legge fall. piuttosto che la norma di cui all’art. 81, co 2, cod. pen. quando le società appartengono ad un unico gruppo, come nel caso di specie. Inoltre il ricorrente assume che l’aumento di pena ex art. 81, co 2 cod. pen. inflitto per i reati di cui ai capi D) e E) sarebbe illegale in quanto avrebbe dovuto trovare applicazione la predetta aggravante della continuazione fallimentare, tuttavia , nel caso di specie /non contestata.
Il 15 maggio 2025, l’Avv. NOME COGNOME per la parte civile RAGIONE_SOCIALE ha depositato una memoria, chiedendo anche la liquidazione delle spese.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel suo complesso, infondato e va, pertanto, respinto.
Il primo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al dolo della condotta di bancarotta fraudolenta distrattiva concernente la RAGIONE_SOCIALE – è del tutto generico e aspecifico, in quanto prospetta il silenzio della Corte di appello quanto alla doglianza formulata in sede di appello sul dolo della bancarotta fraudolenta distrattiva, ma poi non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata (cfr. pagg. 14 e 15), laddove
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quest’ultima ha escluso la rilevanza della consapevolezza del dissesto quale elemento integratore del reato e ha sottolineato come, data la conformazione e lo scopo schiettamente spoliativo delle condotte a favore di società comunque ricollegabili a Dal Col, il fine depauperativo fosse in re ipsa.
La pronunzia è conforme alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’elemento psicologico della bancarotta fraudolenta patrimoniale è costituito dal dolo generico, per la cui sussistenza non è necessaria la consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né lo scopo di recare pregiudizio ai creditori e men che meno una volontà protesa al dissesto, ma è sufficiente la consapevole scelta di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare o cagionino danno ai creditori (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME e altro, Rv. 270763 – 01; Sez. 5, n. 13910 del 08/02/2017, COGNOME, Rv. 269389). In coerenza con la costruzione del reato come di pericolo concreto, tale consapevolezza deve riguardare, in particolare, la rappresentazione da parte dell’agente della pericolosità della condotta distrattiva, da intendersi come probabilità dell’effetto depressivo sulla garanzia patrimoniale che la stessa è in grado di determinare e, dunque, come consapevole volontà del compimento di operazioni sul patrimonio sociale, o su talune attività, idonee a cagionare un danno ai creditori (Sez. 5, COGNOME. cit. Sez. 5, n. 15613 del 05/12/2014, dep. 2015, COGNOME ed altri, Rv. 263801).
In termini di prova della natura distrattiva di un’operazione e della relativa consapevolezza in capo al suo autore come sopra delineate, la sentenza COGNOME ha altresì enucleato degli “indici di fraudolenza” «della cui valenza dimostrativa il giudice penale – fuori dei casi di immediata evidenza dell’estraneità o, viceversa, della riconducibilità del fatto al paradigma della fraudolenza – deve dar conto con motivazione che renda ragione della puntuale analisi della fattispecie concreta in tutte le sue peculiarità e delle massime di esperienza utilizzate nel procedimento valutativo» A titolo esemplificativo la sentenza in esame ha indicato, tra gli anzidetti indici di fraudolenza, la «disamina del fatto distrattivo, dissipa tivo, etc. alla luce della condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della congiuntura economica in cui la condotta pericolosa per le ragioni del ceto creditorio si è realizzata;» il « contesto in cui l’impresa ha operato, avuto riguardo a cointeressenze dell’imprenditore o dell’amministratore rispetto ad altre imprese coinvolte nei fatti depauperativi;» la «”distanza” (e, segnatamente, nell’irriducibile estraneità) del fatto generatore di uno squilibrio tra attività e passività rispetto a qualsiasi canone di ragionevolezza imprenditoriale». Ebbene, è proprio a tali “indici di fraudolenza” che la Corte
distrettuale ha fatto riferimento allorché ha posto in luce, come sopra anticipato, la complessiva strategia depauperativa di cui COGNOME tirava le fila.
Il secondo motivo di ricorso – che concerne il profilo oggettivo della bancarotta fraudolenta distrattiva ai danni della RAGIONE_SOCIALE – è del tutto aspecifico rispetto all’ampio ragionamento probatorio svolto dalla Corte di appello, che il ricorrente non affronta affatto, limitandosi ad evocare confusamente un principio del tutto isolato nella giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, n. 47502 del 24/9/12, Corvetta) – quello cioè secondo cui sarebbe necessario accertare un nesso eziologico tra la condotta predatoria e il dissesto della società – valorizzando criticamente in tale ottica il mancato accertamento dell’epoca in cui si era verificato il dissesto della società.
A questo riguardo, il Collegio ricorda che è patrimonio acquisito, nella giurisprudenza di questa Corte, che non è richiesta l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di bancarotta distrattiva e il successivo fallimento, né tra la condotta dell’autore e il dissesto dell’impresa, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento di quest’ultima destinandone le risorse ad impieghi estranei alla sua attività (Sez. U, COGNOME, cit.; tra le altre, Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 – 01, in motivazione; Sez. 5, n. 50081 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271437 – 01, Sez. 5, COGNOME e altro, cit., in motivazione; Sez. 5, COGNOME, cit.; Sez. 5, n. 47616 del 17/07/2014, COGNOME, Rv 261683; Sez. 5, n. 32352 del 07/03/2014, COGNOME ed altri, Rv. 261942). Ciò che, piuttosto, è rilevante è che la condotta depauperativa abbia cagionato un concreto pericolo per la garanzia patrimoniale a disposizione dei creditori, donde il Giudice penale non deve verificare che la condotta predatoria sia avvenuta in un momento in cui si era verificato il dissesto della società, né che quest’ultimo sia stato cagionato dall’agire dell’imputato, avendo esclusivo rilievo l’incidenza che l’attività ascritta all’autore del fatto abbia avuto sulle disponibilità a disposizione del ceto creditorio.
Il terzo motivo di ricorso – che riguarda la conferma del ruolo di amministratore di fatto dell’imputato quanto alla società NOME COGNOME – è del tutto aspecifico rispetto al corredo fattuale posto a base della decisione avversata, con il quale il ricorrente non si confronta se non con generiche critiche di principio, ma senza sottolineare momenti di effettiva, manifesta illogicità.
Il ricorso è, dunque, privo della necessaria puntualità critica, il che lo pone in rotta con il principio consolidato e ribadito anche da Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823, secondo cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando risultino intrinsecamente
indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato.
Il quarto motivo di ricorso patisce gli stessi limiti del precedente quanto al giudizio della Corte di appello in ordine al ruolo di amministratore di fatto dell’imputato nella società RAGIONE_SOCIALE. Né la mancanza di confronto è ripianata dall’evocazione dei principi che regolano l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto, perché tanto si risolve in un costrutto del tutto teorico, che non dialoga con la sentenza impugnata, in cui sono state valorizzate in malam partem le circostanze di tempo in cui la società è stata ceduta dall’imputato e dai figli a COGNOME prestanome di professione, e la coerenza delle vicende relative alla Giromel con quelle delle altre società riferibili a Dal Col.
Il quinto motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al dolo della bancarotta fraudolenta documentale della NOME COGNOME e alla mancata derubricazione nella fattispecie di cui all’art. 217 legge fall. (capo D).
Esso è, nel suo complesso, infondato.
Quanto all’estraneità del ricorrente alla bancarotta fraudolenta documentale, il ricorso è generico perché mal costruito, nel senso che si limita a riportare un passo della sentenza impugnata e a ricordare le relative doglianze dell’appello, mancando, anche in questo caso, di dialogare criticamente con la sentenza impugnata.
Circa il dolo, non corrisponde al vero che la Corte di merito si sia espressa in termini di dolo generico, avendo valorizzato in malam partem una serie di circostanze da cui ha evinto la direzione della condotta del prevenuto in pregiudizio ai creditori, tra cui l’attività spoliativa a discapito della NOME COGNOME con la sottrazione dei macchinari.
Si tratta di indicatori che la decisione avversata ha ritenuto probanti, in termini non manifestamente illogici, della specifica direzione della condotta di sottrazione delle scritture contabili a pregiudicare le ragioni creditorie (impedendo la ricostruzione delle manovre spoliative); il richiamo alle distrazioni accertate, quindi, costituisce un’adeguata giustificazione circa il dolo tipico della bancarotta fraudolenta documentale cosiddetta specifica che viene in rilievo.
Venendo alla denunzia di omessa motivazione circa la riqualificazione in bancarotta semplice, se è vero che, nella sentenza impugnata, non si coglie uno specifico passaggio argomentativo sul punto, si tratta di una mancanza non rilevante ai fini della tenuta della pronunzia; ciò per l’essenziale ragione che la ricostruzione della Corte territoriale, allorché delinea un quadro di volontaria
sottrazione della documentazione contabile al fine di pregiudicare i creditori, costituisce una risposta implicita alla doglianza circa la riqualificazione in me/ius, impedita in radice dalla costruzione di merito fatta propria dai Giudici di appello.
6. Il sesto motivo di ricorso – che attiene al trattamento sanzionatorio e al diniego delle circostanze attenuanti generiche, laddove la Corte di appello avrebbe mancato di vagliare positivamente l’incensuratezza e l’età del prevenuto – è manifestamente infondato.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena è appena di un anno superiore al minimo edittale e la Corte territoriale ha valorizzato contra reum l’intensità del dolo legato al complesso delle operazioni fraudolente e al danno cagionato.
D’altronde l’obbligo di una motivazione rafforzata sussiste solo allorché la pena si discosti significativamente dal minimo edittale, mentre, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media, è sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 256464; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
Venendo, infine, alle circostanze attenuanti generiche, il ricorso è parimenti inammissibile perché manifestamente infondato giacché la Corte di appello ha adeguatamente motivato sul punto, facendo riferimento agli indici di natura personale e fattuale che hanno imposto di non accedere al trattamento di favore, rimarcando la neutralità – testualmente prevista dall’art. 62 bis, comma 3, cod. pen. – dell’incensuratezza dell’imputato. Tale interpretazione è ispirata alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui il giudice, quando nega la concessione delle circostanze attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma può limitarsi a fare riferimento a quelli ritenut decisivi o comunque rilevanti (Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane e altri, Rv. 248244).
7. Il 5 maggio 2025 il difensore dell’imputato ha presentato motivi aggiunti.
7.1. Il primo motivo aggiunto – che lamenta omessa motivazione su un argomento difensivo introdotto con l’appello, ossia quello dell’esistenza di un gruppo societario a cui appartenevano le fallite e dell’esistenza di vantaggi compensativi – è inammissibile perché si tratta di un tema che attiene al profilo patrimoniale e, quindi, alla bancarotta fraudolenta distrattiva, oggetto di doglianze tutte inammissibili nel ricorso principale. A questo riguardo, va
richiamato il principio di diritto secondo cui l’inammissibilità di un motivo del ricorso principale, cui si colleghi un motivo aggiunto, travolge quest’ultimo anche nel caso in cui il ricorso principale contenga altri motivi fondati e comunque non inammissibili (Sez. 5, n. 2910 del 04/12/2024, dep. 2025, COGNOME, Rv. 287482 03; il principio si ricava anche da Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275158; Sez. 6, n. 6075 del 13/01/2015, COGNOME, Rv. 262343). La riflessione che conduce a questa conclusione, in aderenza al precedente evocato, è che il motivo nuovo è legato a quello originario da un rapporto di imprescindibile connessione funzionale, che impone che il primo non possa che rappresentare il mero sviluppo o la migliore esposizione del secondo – anche per ragioni eventualmente non evidenziate, ma sempre ricollegabili all’obiettivo e al contenuto della censura originaria – e ricollega le sorti dell’uno all’altro, senza che il motivo aggiunto possa ripianare un difetto originario di impostazione dell’impugnativa principale. L’eventuale correzione del difetto implicante l’inammissibilità del motivo principale da parte di quello aggiunto, infatti, non può avere efficacia sanante, giacché nessuna fonte di integrazione successiva delle carenze dell’impugnativa principale è idonea a porre rimedio alla non corretta, iniziale impostazione della doglianza (Sez. 2, n. 34216 del 29/04/2014, COGNOME e altri, Rv. 260851 – 01; Sez. 6, n. 47414 del 30/10/2008, COGNOME e altri, Rv. 242129 – 01; Sez. 6, n. 8596 del 21/12/2000, dep. 2001, Rappo e altro, Rv. 219087 – 01). Questa tesi, d’altra parte, trova conferma nel tenore della norma generale sulle impugnazioni di cui all’art. 585, comma 4, cod. proc. pen., secondo cui l’inammissibilità dell’impugnazione principale si estende ai motivi nuovi e ciò – osserva il Collegio – a prescindere dal contenuto di questi ultimi.
7.2. Il secondo motivo aggiunto lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE attribuita a Dal Col, dichiaratamente ricollegandosi al terzo motivo del ricorso principale.
Ebbene è proprio tale collegamento che ne determina l’inammissibilità, legata all’inammissibilità della doglianza del ricorso principale per le motivazioni appena indicate quanto al primo motivo aggiunto.
7.3. Il terzo motivo aggiunto propone due censure concernenti il trattamento sanzionatorio.
Quando il ricorrente invoca, in generale, l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall, quale collante tra tutte le bancarotte in luogo della continuazione ex art. 81, comma 2, cod. pen. agitando la circostanza secondo cui le società apparterrebbero ad un unico gruppo – pone una questione inedita, in quanto il punto della decisione
concernente la continuazione non era oggetto del ricorso principale. Va ricordata, a questo riguardo, la giurisprudenza di questa Corte secondo cui sono inammissibili i motivi nuovi a sostegno dell’impugnazione, previsti nella disposizione di ordine generale contenuta nell’art. 585, quarto comma, cod. proc. pen., quando non abbiano ad oggetto i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati enunciati nell’originario atto di gravame ai sensi dell’art. 581, lett. a), cod. proc. pen. (Sez. U, n. 4683 del 25/02/1998, COGNOME ed altri, Rv. 210259; Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018, COGNOME , Rv. 272821; si vedano altresì Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016, COGNOME, Rv. 268980; Sez. 5, n. 4184 del 20/11/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262180 e Sez. 6, n. 73 del 21/09/2011, dep. 2012, Aguì, Rv. 251780, che hanno ribadito il principio anche quanto alle circostanze aggravanti).
Alla stessa conclusione deve giungersi per quanto concerne l’inedita doglianza circa l’aumento di pena ex art. 81, co 2 cod. pen. inflitto per i reati di cui ai capi D) e E) che, riguardando la medesima procedura, avrebbero dovuto essere avvinti non già dalla continuazione ordinaria, ma da quella fallimentare.
Né vale a superare lo sbarramento dell’inammissibilità di quest’ultima censura la natura del vizio dedotto, che il ricorrente pretenderebbe essere quello dell’illegalità della pena, giacché deve trovare applicazione il principio di recente ribadito da questa Corte (Sez. 5, n. 34216 del 09/05/2024, COGNOME, Rv. 286990 – 01), secondo cui finanche la duplicazione sanzionatoria legata alla concorrente applicazione sia della disciplina della continuazione fallimentare che di quella ordinaria non comporta l’illegalità del trattamento sanzionatorio, salvo che tale errore comporti l’applicazione di una pena eccedente i limiti edittali generali o quelli previsti per le singole fattispecie di reato. A questa conclusione, il precedente evocato è giunto dopo aver dato atto di divaricazioni interpretative sul tema specifico dei rapporti tra continuazione ordinaria e fallimentare e sulla natura del vizio legato all’inesatta individuazione della norma applicabile, divaricazioni che ha reputato superabili sulla scorta della giurisprudenza delle Sezioni Unite sul punto, valorizzando, in particolare, le sentenze più recenti (Sez. U, n. 47182 del 31/3/2022, COGNOME, Rv. 283818- 01, Sez U, COGNOME del 2023, cit. e Sez. U, n. 5352 del 28/9/2023, dep. 2024, P., Rv. 285851). La conclusione cui la decisione evocata è giunta – con la quale il Collegio conviene – è che si tratti di un errore di calcolo foriero di illegittimità ma non di illegalità della pena perché «la pena può essere considerata illegale non quando consegua a una mera erronea determinazione del trattamento sanzionatorio, alla quale l’ordinamento reagisce approntando i rimedi processuali delle impugnazioni, ma solo quando non sia prevista dall’ordinamento, ovvero sia superiore o inferiore ai
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limiti edittali previsti dalla legge o sia più grave per genere e specie di quella individuata dal legislatore».
8. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali; non si provvede, al contrario, sulla richiesta di
liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile, richiesta contenuta nella memoria depositata il 15 maggio 2025, in applicazione del principio secondo cui,
nel giudizio di cassazione con trattazione orale, non va disposta la condanna dell’imputato al rimborso delle spese processuali in favore della parte civile che
non sia intervenuta nella discussione in pubblica udienza, ma si sia limitata a formulare la richiesta di condanna mediante il deposito di una memoria in
cancelleria con l’allegazione di nota spese (Sez. U, n. 27727 del 14/12/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286581 – 03).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Nulla per le spese di parte civile.
Così è deciso, 21/05/2025
Il Consigliere estensore
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NOME COGNOME
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