Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4586 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5   Num. 4586  Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 01/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 03/03/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 3 marzo 2023, la Corte d’appello di Milano ha confermato per quanto rileva in questa sede- il giudizio di responsabilità pronunciato dal Giudice di primo grado nei confronti di NOME COGNOME per i reati di cui agli artt. 216, primo comma, 223, secondo comma, nn. 1) e 2), in relazione all’art. 2621 cod. civ. Secondo la rubrica, l’imputato -in qualità di amministratore unico della società RAGIONE_SOCIALE nonché, a partire dal 2011, di liquidatore della medesima società, dichiarata fallita dal Tribunale di Milano in data 22 ottobre 2015- 1) falsificava, con lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, i libri e le altre scritture contabili, o comunque li teneva in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, segnatamente omettendo, a partire dal 2007 e fino alla dichiarazione di fallimento, di rilevare tra le passività i debiti della società nei confronti dell’erario accumulati a partire dal 2003 e sfociati in un debito era riale dell’ammontare di circa 70 milioni di euro; 2) cagionava il dissesto della società commettendo il reato di false comunicazioni sociali; 3) cagionava, infine, per effetto di operazioni dolose, il fallimento della società omettendo, a partire dal 2003, il pagamento dei tributi dell’Iva, occultando la perdita del capitale sociale e proseguendo l’attività senza prendere necessari
provvedimenti nonostante il dissesto e l’accumularsi dei debiti erariali.
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, AVV_NOTAIO, affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento agli artt. 216, primo comma, 223, secondo comma, nn. 1) e 2), in relazione all’art. 2621 cod. civ, imperniando la censura, segnatamente, sulla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo degli ascritti reati. La Corte territoriale avrebbe erroneamente trascurato la rilevanza dell’annullamento, da parte della Commissione tributaria provinciale di Milano, di cartelle esattoriale dell’importo di euro 405.000. Più precisamente, osserva la difesa che un corretto esame di due provvedimenti emessi dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, prima, e dalla Commissione tributaria regionale di Milano, poi, avrebbe smentito la tesi accusatoria del sistematico inadempimento, da parte del ricorrente, dei doveri tributari, consentendo un più approfondito vaglio del cd. cassetto esattoriale della fallita società tra il 2007 e il 2012. Peraltro, dai due provvedimenti in parola emergeva di fatto l’annullamento dell’accertamento induttivo per l’anno 2008
relativo ai periodi ricompresi tra il 2004 e il 2006; entrambe le sentenze della commissione tributaria confermavano, inoltre, la tenuta corretta dei registri di libri dei bilanci almeno fino al 2007.
Diversamente da quanto sostenuto dalla Corte territoriale, la cristallizzazione del debito erariale in capo alla fallita società poteva ritenersi sussistente, a tutto voler concedere, a partire dal 2012, anno in cui fu notificata al ricorrente una cartella esattoriale per un importo di circa 60 milioni di euro, cui seguì, nel 2013, il pignoramento. Prima del 2012, non vi sarebbe prova dell’esistenza e dell’esigibilità di un debito erariale; pertanto, fino a quella data l’imputato non avrebbe violato alcun obbligo di inserimento del debito erariale in bilancio. Tant’è che il debito in parola veniva regolarmente annotato tra le passività del bilancio nel 2013, con nota integrativa del bilancio 2012.
La difesa osserva anche che gli otto accertamenti risalenti al 2011, su cui insiste immotivatamente la Corte territoriale, erano di modesto valore e, in ogni caso, per gli stessi venivano poi effettuati i dovuti pagamenti. I rimanenti quattro accertamenti annuali, per i periodi 2003-2006, erano relativi ad attività d’indagine riferite a fatti anteriori al 2006 e, comunque, non rilevanti ai fini dell’odierna imputazione, atteso che i suddetti accertamenti riguardavano più società estranee alla persona del ricorrente. Inoltre, gli otto accertamenti risalenti al 2011 vennero emessi con otto anni di ritardo, giungendo, quindi, inaspettati: dal che discende l’illogicità della motivazione, avendo la Corte ritenuto prevedibile il dissesto, data la crescita esponenziale del debito erariale, e affermando, su tale base, la responsabilità dell’imputato per la condotta cd. di bancarotta fiscale.
2.2 Con il secondo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, per avere la Corte d’appello ritenuto che le omissioni espositive dei debiti fiscali nei bilanci successivi al 2007 siano state dolosamente effettuate dall’imputato. In particolare, non sarebbe adeguatamente argomentata la sussistenza del dolo specifico, necessario per configurare l’ipotesi del reato di sottrazione, distruzione o falsificazione delle scritture contabili, e consistente nello scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori. La Corte territorial non avrebbe dato risposta alla cruciale questione dello specifico interesse fraudolento dell’imputato alla condotta contestata, atteso che, già a far data dall’anno 2007, la società non aveva più avuto movimentazioni significative e che, dal 2008, i rapporti con la società di leasing e con gli istituti bancari erano stati chiusi.
2.3 Col terzo motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata derubricazione dell’ascritto reato nel delitto di bancarotta semplice documentale. Alcuna considerazione sarebbe stata attribuita alla
consegna alla curatela, da parte dell’imputato, di tutta la documentazione in suo possesso, pur non regolarmente tenuta. Le singole condotte materiali attribuite al ricorrente sono peraltro tutte antecedenti al 2015, anno in cui l’art. 2621 cod. civ. veniva novellato. Prima di allora, i reati di false comunicazioni sociali e di falso in bilancio avevano natura meramente contravvenzionale. Essi devono essere pertanto ritenersi assorbiti nel reato di bancarotta fraudolenta documentale.
2.4 Col quarto motivo, contesta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, le conclusioni scritte del AVV_NOTAIO Procuratore generale, AVV_NOTAIO, la quale ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Sono pervenute conclusioni scritte dell’AVV_NOTAIO, riferite ai già esposti motivi di ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, non confrontandosi, la difesa, con le logiche, esaustive e giuridicamente fondate argomentazioni sviluppate dal Giudice d’appello in relazione all’accertamento della responsabilità dell’imputato per le ascritte condotte. Risulta, innanzitutto, logicamente contraddetto, e con dovizia di argomenti, l’assunto difensivo relativo all’irrilevanza temporale dei debiti accumulati dal 2003. A tal proposito, la Corte d’appello ha correttamente puntualizzato che le omissioni espositive risalgono non già al 2007 o al 2012, come preteso dal ricorrente, bensì al 2003; poiché quest’ultimo aveva amministrato, senza soluzione di continuità, la fallita società dal momento della sua costituzione -1983- fino alla data di dichiarazione di fallimento -2011- suo precipuo dovere era quello di dar conto, in modo veritiero, dei propri debiti erariali nei bilanci depositati e, ancor prima, nella contabilità che, come ricordato dal Giudice territoriale, costituisce il sostrato del bilanci stessi (Sez. 5, n. 42568 del 19/06/2018. E., Rv. 273925 – 01).
Sul punto, il motivo è oltremodo generico e aspecifico: per i fatti anteriori al 2006 – si sostiene, infatti, nel ricorso, v. p. 10- il danno erariale era di importo modesto, posto che gli accertamenti di quell’epoca riguardavano società estranee alla fallita. Ebbene, tale assunto non è altrimenti specificato; del resto, sarebbe stato impossibile farlo, dal momento che, come puntualizzato dai Giudici di merito, dalle risultanze processuali era emerso che, nell’ambito di quegli accertamenti riguardanti società fornitrici della fallita, si era appreso dell’esistenza di debiti liquidi, esigibili e muniti di titolo esecutivo, non esposti nei bilanci depositati dall società.
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Posta, dunque, la dimostrata omissione della regolare tenuta della contabilità a far data dal 2003, la Corte ha rimarcato la sistematicità del comportamento omissivo per i quattro esercizi consecutivi al 2003, razionalmente escludendo la rilevanza del dato relativo all’annullamento, da parte della Commissione tributaria provinciale di Milano, di cartelle esattoriale dell’importo di euro 405.000.
La correttezza della valutazione della Corte territoriale sul punto è saldamente ancorata a un triplice ordini di considerazioni: 1) per un verso, si è infatti notata l’irrilevanza di detto annullamento (visto l’importo: 405.000 euro) ai fini della causazione del dissesto (quantificato nella somma superiore ai 67 milioni di euro) e, dall’altro, 2) si è osservato che l’annullamento in parola non valesse a escludere l’intenzionalità (ciò che rileva anche ai fini dell’inammissibilità del secondo motivo di ricorso, come si vedrà) della condotta omissiva, atteso che esso annullamento atteneva alle sole poste minori che erano state sottoposte a esame. Infine, 3) la Corte ha correttamente ravvisato la sistematicità dell’inadempimento data la reiterazione, per ben quattro esercizi consecutivi, delle condotte omissive ascritte, che, lungi dal restare isolate, si associarono alla successiva attività decettiva finalizzata all’occultamento del dissesto e nell’artificioso prolungamento in vita della società (cfr. Sez. 5, n. 42272 del 13/06/2014, Alfano, Rv. 260394 – 01: integra il reato di bancarotta impropria la condotta dell’amministratore che, esponendo nel bilancio dati non corrispondenti al vero, eviti che si manifesti la necessità di procedere a interventi di rifinanziamento o di liquidazione, in tal modo consentendo alla fallita la prosecuzione dell’attività di impresa con accumulo di ulteriori perdite negli esercizi successivi).
A nulla conduce, infine, l’osservazione difensiva relativa alla regolare annotazione tra le passività del bilancio nel 2013, con nota integrativa del bilancio 2012, del debito erariale maturato fino al 2012, dal momento che, tra le condotte ascritte all’imputato (pur valutate, dalla Corte d’appello, come espressive di un’unica condotta), figura il reato di bancarotta fraudolenta documentale, che ha a oggetto i “libri” e le “scritture contabili”, di cui all’art. 216, comma primo, n. 2, I. f dalla cui nozione esula, a rigore, il bilancio (cfr. la già citat Sez. 5, n. 42568 del 2018, Rv. 273925 – 03).
Parimenti disattese con motivazione esente da vizi logici sono le eccezioni relative al momento in cui il debito erariale si sarebbe cristallizzato -secondo la difesa, a partire dal 2013- attesa la prevedibilità dell’esponenziale crescita dei debiti erariali, suscettibili di diventare insostenibili, come ricordato dalla Corte territoriale, nel medio e lungo periodo, a fortiori per un’impresa di piccole dimensioni.
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato, avendo il ricorrente eluso un effettivo e critico confronto con gli argomenti utilizzati nel provvedimento
impugnato, ed essendosi lo stesso limitato, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 24383801).
I Giudici di merito hanno compiutamente ricostruito la valenza fraudolenta delle condotte ascritte, evidenziando -come in parte già segnalato sub. 1 di questo “considerato in diritto”- la convergenza delle tre condotte dell’imputato, così come descritte in rubrica, verso un’intenzionale azione, protratta per anni, tesa, da un lato, a occultare la contabilità (segnatamente, omettendo di segnalare, a partire dal 2007, i debiti erariali), in modo di cagionare pregiudizio al principale creditore (l’erario) e, dall’altro, a occultare il dissesto (come dimostrato. a) dalla , contemporanea e artificiosa protrazione in vita della società, la cui attività produttiva era già cessata nel 2007, b) dal difetto di serie iniziative di risanamento, c)dalla ricorrenza di pratiche illecite utili a occultare la reale situazione della società, d) dalla sistematicità della condotta di illecito ricorso all’autofinanziamento, costituita dall’evadere il fisco) e a cagionare, in tal modo, il fallimento della società.
E’, dunque, dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle singole circostanze dei fatti illustrate dalla Corte territoriale che emerge la specifica connotazione dolosa delle ascritte condotte (“in tema di bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta della contabilità interna, lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali” : Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME Pietra, Rv. 284304 01).
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, perché generico, aspecifico oltre che reiterativo. Ribadito che il principale – e, anzi, de facto unico – creditore pregiudicato dalle condotte ascritte all’imputato è stato l’erario, i Giudici del merito hanno chiarito, fin dal primo grado di giudizio, che l’omessa indicazione delle passività (debiti erariali) risale al 2007; in quell’anno, il debito erariale era giunto a otto milioni, ciò che, già all’epoca, costituiva un dato oggettivamente in grado di determinare un prevedibile dissesto, come evidenziato dalla Corte d’appello. Sicché l’invocata derubricazione delle condotte ascritte nel reato di bancarotta documentale semplice, in vista della consegna, da parte dell’imputato, “di tutta la documentazione in proprio possesso” (p. 20 del ricorso) risulta, come giustamente
osservato dalla Corte territoriale, indifendibile, se è vero, come è vero, che la sistematica elusione dell’obbligo fiscale ha comportato l’omessa indicazione, in contabilità, delle operazioni poste in essere dalla fallita.
Quanto, infine, alla dedotta natura meramente contravvenzionale dei reati di false comunicazioni sociali e di falso in bilancio prima del 2015, osserva il Collegio come l’eccezione sia irrilevante per l’assorbente ragione che, ben prima dei fatti ascritti e, precisamente dal 2002 (v. art. 4 del d. Igs. n. 61 del 11 aprile 2002), la formulazione dell’art. 223 I. fall. attribuiva rilievo alle violazioni -tra l’altro- dell 2621 cod. civ., qualora avessero causato il dissesto della società.
Anche il quarto motivo è manifestamente infondato, avendo i Giudice del merito specificato l’assenza di elementi positivamente apprezzabili al fine della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto, la motivazione dell’impugnata sentenza si mostra esente da manifesta illogicità, sottraendosi, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenu decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, COGNOME, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
Per i motivi fin qui illustrati, il Collegio dichiara inammissibile il ricors All’inammissibilità consegue la condanna della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. (come modificato ex I. 23 giugno 2017, n. 103), al pagamento delle spese del procedimento e al versamento della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, così equitativamente determinata in relazione ai motivi di ricorso che inducono a ritenere la parte in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. 13/6/2000 n.186). 
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, in data 1/12/2023
Il Consigliere estensore