Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 8918 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 8918 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME, nata a Livorno DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 3 aprile 2023 della Corte d’appello di Napoli; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 3 aprile 2023, la Corte d’appello di Napoli, confermando la condanna pronunciata in primo grado, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile, nella sua qualità di amministratrice della “RAGIONE_SOCIALE” (dichiarata fallit 20 giugno 2013), del reato di bancarotta fraudolenta documentale, per aver
sottratto o occultato i libri e le scritture contabili allo scopo di recare pregiudizio creditori.
Ricorre per cassazione l’imputata articolando due motivi di censura, il primo formulato sotto il profilo della violazione di legge e il secondo sotto quello del connesso vizio di motivazione.
La difesa sostiene che l’istruttoria dibattimentale non avrebbe condotto ad un pieno accertamento di una partecipazione della ricorrente alla fattispecie di reato contestata: non risulterebbe alcuna prova concreta dell’avvenuta sottrazione o dell’occultamento delle scritture contabili, né, a monte, di alcuna attività di gestione da parte della RAGIONE_SOCIALE, tanto più che gli atti relativi alla procedura fallimentare sarebbero stati notificati presso la sede della società e, solo in ultimo, presso la sua residenza; notifica, comunque, perfezionata per compiuta giacenza.
Tanto anche sotto il profilo psicologico, attesa l’assoluta mancanza di prova di una sua consapevole sottrazione delle scritture. E la mera accettazione dell’incarico gestorio non potrebbe ritenersi elemento sufficiente sul quale fondare, di per sé solo, la responsabilità penale dell’amministratore.
Quanto al profilo sanzionatorio, sostiene la difesa, la Corte non avrebbe valutato correttamente la personalità dell’imputata, essendosi limitata a richiamare un risalente precedente penale, per la quale la COGNOME sarebbe stata condannata alla sola pena pecuniaria.
Il 27 novembre 2023, il difensore dell’imputata ha depositato una memoria difensiva con la quale, riportandosi ai motivi di ricorso, censura, in particolare, il diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Va premesso che, in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture. Obbligo che discende, ex lege, dalla sola formale assunzione delle funzioni gestorie.
Cosicché, ogni censura afferente alla all’esistenza o meno di un’attività gestoria da parte della RAGIONE_SOCIALE o alla consapevolezza dell’esistenza di una
procedura concorsuale o, ancora, al ruolo (maggiore o minore) avuto all’interno della società è, francamente, irrilevante.
Quanto al profilo soggettivo, va premesso che lo scopo di recare danno ai creditori impedendo la ricostruzione dei fatti gestionali può essere desunto dalla complessiva ricostruzione della vicenda e dalle circostanze del fatto che ne caratterizzano la valenza fraudolenta colorando di specificità l’elemento soggettivo, che, pertanto, può essere ricostruito sull’attitudine del dato a evidenziare la finalizzazione del comportamento omissivo all’occultamento delle vicende gestionali (Sez. 5, n. 10968 del 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284304).
Ebbene, la Corte territoriale evidenzia l’assoluta irreperibilità dell’amministratrice (ricercata presso la sede e presso il suo domicilio), la rilevante entità del passivo e l’ingiustificato azzeramento delle rimanenze attive risultanti dal bilancio del 2009. Circostanze idonee, sotto il profilo inferenziale, per dedurre, alla luce di quanto osservato, l’esistenza di una consapevole volontà diretta a recare pregiudizio ai creditori.
Quanto al profilo sanzionatorio, è sufficiente rilevare come la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142). E sotto tale profilo, deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione del giudice di merito sulla determinazione in concreto della misura della pena allorché siano indicati nella sentenza gli elementi ritenuti rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva dichiarata applicazione di RAGIONE_SOCIALE i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998, Rv. 211582; Sez. 1, n. 3155 del 25/09/2013, dep. 2014, Rv. 258410).
Ciò considerato, in concreto la pena è stata determinata in misura pari al minimo edittale, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Per cui, correttamente, in assenza di ulteriori elementi positivamente valutabili, la Corte ne ha confermato la determinazione.
Fondata, invece, la censura afferente al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena.
Va premesso che il riconoscimento di tale beneficio rappresenta una facoltà discrezionale del giudice di merito, che può essere esercitata solamente quando ne ricorrono le condizioni.
La relativa motivazione, tuttavia, non può essere limitata alla sussistenza delle condizioni che permettono l’esercizio del potere discrezionale di concedere il beneficio, ma si deve estendere all’esercizio concreto di tale facoltà, che deve essere rispettoso dei criteri indicati dall’art. 164 cod. pen. (che rinvia alle circostanze indicate nel precedente art. 133 cod. pen.).
Il giudice di merito, quindi, una volta accertato che non vi siano ostacoli alla concessione della sospensione condizionale della pena, deve passare a formulare una prognosi sulla probabilità che in futuro “il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati”, evidenziando I percorso logico giuridico fondante la sua decisione.
Ebbene, la Corte territoriale ha rilevato l’esistenza di un precedente specifico e da ciò solo ha dedotto l’impossibilità di formulare una prognosi favorevole.
La motivazione è manifestamente illogica, alla luce delle concrete contingenze che caratterizzano il caso concreto.
È pur vero, infatti, che il giudice del merito, nel valutare la concedibilità del beneficio, non ha l’obbligo di prendere in esame RAGIONE_SOCIALE gli elementi richiamati nell’art. 133, potendo limitarsi ad indicare quelli da lui ritenuti prevalenti in senso ostativo alla sospensione, ma deve dare conto dell’incidenza di quelli ritenuti rilevanti rispetto alle concrete allegazioni di parte. Tanto più alla luce della risalenza del procedente valorizzato e dell’età dell’imputata.
In conclusione, la sentenza deve essere annullata limitatamente al diniego del beneficio della sospensione condizionale della pena, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per nuovo esame sul punto.
Il ricorso va dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al beneficio della sospensione condizionale della pena e rinvia per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto. Così deciso il 12 dicembre 2023
Corte Suprenic Cassazione stensore GLYPH
Il Presidente